Possiamo ora aprire il
Canzoniere, aprirlo anche a caso. Come i pensieri e i sentimenti stanno
ciascuno di per sé, non come parti svolgentisi da intrinseco processo,
così ciascuna poesia è un tutto intelligibile in se stessa. Potete
leggerlo, come leggereste i pensieri di Pascal, pensiero per pensiero,
sonetto per sonetto. E vi sarebbe difficile a leggerlo in altro modo, e,
come si dice, d'un fiato; perché, non vi essendo né varietà di soggetti,
che desti la curiosità, né una vera successione storica, che vi tenga in
una gradevole sospensione, lascereste ben presto il libro per stanchezza.
Soprattutto è bene non fermarsi alle prime poesie, e subito buttar fuori
il .proprio giudizio; essendo quelle le pessime della raccolta, composte
probabilmente più tardi a introduzione. La porta è cattiva, ma l'edifizio
è bello; e, se, o lettori, vi dà l'animo d'entrare, io voglio
accompagnarvi e fare il cicerone.
Troveremo sonetti, canzoni, ballate, madrigali, sestine. Ne' poeti
antecedenti vi è maggior varietà di versi e di metri, così alla confusa,
senza determinazioni; nei seguenti sono comparse nuove forme liriche,
alcune recate a perfezione. Il sonetto e la canzone si possono considerare
come il nocciolo di tutte queste forme, ed in Dante ed in Petrarca hanno
una compiuta espressione...
Ma sotto queste diverse forme vi è facile riconoscere lo stesso uomo,
soprattutto all'elocuzione, all'uso de' colori. Se poeta fu mai atto a
raggentilire una lingua ed una poesia, certo fu il Petrarca, dotato di una
tanto squisita sensibilità. Nella lingua italiana si sentivano ancora gli
elementi diversi che vi entravano, il latino, il municipale, il
provenzale. Il Petrarca sviluppò quell'elemento cantabile e musicabile che
la costituisce, e ne fece la dolcissima delle lingue. Guidato da un
orecchio delicatissimo, vince ciò che di aspro è ancora nella etimologia
con lievi cambiamenti eufonici; e questo fa con tanta sicurezza e finezza
di gusto, che dove delle parole di Dante molte sono rimase anticate, le
sue sono ancor fresche e giovani, come coniate pur ieri. Rifiuta le parole
e i pensieri comuni, cerca con accuratezza quelle che rinchiudono il più
d'accessorii, esimio soprattutto nella scelta degli epiteti e de' verbi.
Mira a comprender molto in poco, a condensar pensieri ed immagini, che
spesso ti vengono innanzi, non in virtù delle parole, ma per il solo
effetto dello splendore e della grazia del tono. Come nella scelta e nel
collocamento delle parole, così nella struttura del verso è
artificiosissimo, maestro così dotto di melodie, che spesso, mentre la
parola ti dà l'immagine, la melodia- te ne dà il sentimento, quasi testo e
musica. Non vuole solamente che la forma sia bella per rispetto alla
materia, ma che la sia bella in sé stessa. Ha l'idolatria della parola,
non pur come espressione dell'idea, ma staccata, presa in sé come suono,
attentissimo a sceverare le parole nobili dalle plebee, le poetiche dalle
prosaiche, ed esprimer tutto con forbitezza ed eleganza, come un nobil
signore che, anche a dir cose volgari, non dimentica il frasario dei suoi
pari. Mai non puoi coglierlo in veste da camera; mai non ti viene innanzi
che in guanti gialli e cravatta bianca. Le sue parole son tutte col
blasone, tutte pietre preziose; i suoi versi, prima di giungere all'anima,
si trattengono deliziosamente nell'orecchio. E poiché la forma opera
immediatamente sui lettori, non è maraviglia che tanta perfezione tecnica
abbia da prima generato un culto superstizioso per il Petrarca, tenuto per
lungo tempo il direttore del gusto pubblico. Quella bella forma fu
staccata dal suo fondo, lavorata in sé stessa, insino a che, fatta
indiferente al contenuto, si esalò in una vuota sonorità. Ne nacque un
gusto fattizio, fondato sopra quattro parole, che per lungo spazio hanno
tiranneggiato in Italia: purità, dignità, eleganza e sonorità. Qui è tutta
l'arte poetica, qui è il succo dell'arte dello scrivere professata anche
oggi da parecchi critici e scrittori sotto il nome di stile letterario...
Chi ha un po' di pratica del Petrarca, penserà: - Questa bella forma non è
un puro artificio tecnico, una costruzione meccanica fatta a freddo ed a
priori; ma è il prodotto della sua anima. Checché gli si offre, egli ha
una tendenza inconsapevole a trasformarlo in un sensibile, o, per dir
meglio, gli si offre sensibilmente; e quel sensato egli ha una tendenza
inconsapevole ad abbellirlo e raggentilire. Ha l'istinto della bellezza;
quella melodia che sentite nei suoi versi, risonava già nell'anima; quei
lumi, quello splendore, quella grazia, quella magnificenza d'elocuzione è
un riflesso della luce interiore. Se medita, i pensieri sono illuminati
dall'immaginazione; se si duole o s'allegra. l'emozione è trasformata in
immagine. L'intimità e la profondità de' sentimenti non è il carattere de'
popoli primitivi, come non è de' fanciulli; non è il carattere del
Petrarca, che pure in questa via è il più vicino ai popoli adulti.
L'emozione e la meditazione passano presso di lui nella contemplazione.
Come quel pittore che si inginocchiò innanzi ad un San Girolamo, pinto da
lui stesso, il Petrarca rimane rapito e immemore innanzi alla bella faccia
immaginata da lui, e dice: - Quanto è bella! -. Né sai se ami più Laura
reale, o il bel fantasma che sotto il suo nome gli scintilla innanzi;
disposto a consolarsi, se in luogo della donna amata possa aver sempre
innanzi il suo fantasma:
In
tante parti e sì bella la veggio,
Che se l'error durasse, altro non cheggio. |
Potete dunque rendervi ragione dell'impressione che la lettura di questo
poeta produrrà su di voi. Di rado vi spunta la lacrima, di rado chinate il
capo pensosi, assorti negli abissi del vostro cuore. Per entro a questi
lamenti amorosi penetra costante serenità, elegante, pulita, abbagliante
d'immagini, che vi tiene sempre al di fuori, e vi commuove sì, ma
dolcemente, senza turbazione. Prendiamo qualche esempio. Il poeta vuol
dire che talora sente de' desiderii sensuali. Un poeta moderno scende
subito nella profondità del suo cuore, e vi descrive i diversi fenomeni
che accompagnano questo sentimento. Il Petrarca corre subito all'immagine,
fa di questo sentimento un sensibile. I desiderii carnali gli si
presentano come un mare tempestoso, e paragona sé al povero nocchiero che
faticoso e stanco ripara alfine nel porto:
Non d'atra e tempestosa onda marina
Fuggìo in porto giammai stanco nocchiero,
Com'io dal fosco e torbido pensiero
Fuggo ove 'l gran desio mi sprona e 'nchina. |
Sono quattro versi ammirabili. Il primo, con quegli accenti urtantisi
sulla sesta e settima sillaba, ti dà come l'accavallare delle onde; il
secondo, censurato a torto dal Muratori, con quelle vocali intoppate le
une nelle altre ti dà il travaglio e l'affanno dello scampo; quel « fosco
e torbido », quel « mi sprona e 'nchina » sono da soli tutta una
descrizione. Certo, è questo un gioco d'immagini: l'emozione è rintuzzata,
oltrepassata; non è una forza misteriosa che ti scuote l'anima, ma una
bella faccia che diletta l'immaginazione. Di che un esempio ancora più
scolpito ci dà la canzone quarta:
Nella stagion che 'l ciel rapido inchina. |
Il concetto è che il dolore dell'innamorato poeta non ha mai riposo. In
luogo di riflettere lo sguardo in sé ed esprimere tutte la gradazioni ed
apparenze del suo dolore, il poeta guarda al di fuori, e fa vari paragoni
tra il suo stato e quello degli altri mortali. La vecchierella, che di
lontano paese ritorna in patria, dopo le fatiche della giornata trova
riposo la sera, dov'io, - dic'egli allora appunto sento crescere il mio
dolore. E seguita a questo modo a compararsi col zappadore, col pastore,
co' naviganti, co' buoi. Ciascuna strofa contiene uno di questi paragoni.
Il contrasto fra la calma della natura ed il proprio affanno, tra il
finito di tutte le cose e l'infinità del proprio sentimento, è certo
straziante. Ma il paragonato è affatto secondario, ed il sostanziale della
canzone è il paragone. Il poeta è attirato fuori verso la natura, come ape
verso il fiore, vi si indugia, vi si diletta; diresti che il suo dolore è
un pretesto per descrivere ciò che si passa intorno a lui. Invano gitta le
alte grida:
Perché dì e notte gli occhi miei son molli |
Sentite che quegli occhi debbono pure in qualche momento essere asciutti,
proprio in quel momento che li dice molli, poiché, a veder con quanta
compiacenza vi pone innanzi la bellezza di quegli spettacoli, ha ben
l'aria di un uomo che, abbattutosi a una bella vista, si asciuga gli occhi
e guarda. Il suo dolore è sincero, ma è distratto e raddolcito. Ond'è che
questa canzone è rimasta celebre, non come effusione di dolore, ma come
tessuto di vaghissime descrizioni. Quella soprattutto della vecchierella
pellegrina, e l'altra del pastore sono per grazia e semplicità ciò che di
meglio si trova nella poesia italiana.
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