Che le Stanze venissero
così presto interrotte, io non saprei poi farne tante querimonie. Se il
poeta negli altri libri si fosse lasciato andare, come portavalo la natura
sua, a quelle lungaggini che nella materia dilettevolissima del primo si
comportano volentieri non so che sarebbe avvenuto della sua fama: un
giuoco d'armi del resto descritto dal classico messer Angelo, posto pure
che ei non discendesse mai alle volgari enumerazioni di Luca Pulci, si può
tener quasi per certo che non avrebbe retto al confronto dei combattimenti
dell'Ariosto e del Tasso, ben altri maestri di arme e con altri eroi
tradizionali alla mano. Un panegirico in più canti sarìa stato un noioso
poema di più, letto soltanto dagli eruditi; e già nel secondo libro la
poesia scade in paragone del primo. Mentre, così com'è, quel frammento è
di fama quasi popolare, e in opera di stile sta veramente fra le rarissime
preziosità delle lettere nostre. Non ha l'altissima perfezione delle
Georgiche e né men quella dell'Aminta; poemi ambedue che segnano il colmo
del buon gusto nelle due età più polite della doppia letteratura d'Italia.
Oltre le più rilevanti sconvenienze nell'imitazion generale e
nell'orditura del poema che dal fin qui discorso dovrebbono risultare a
bastanza, qualche piccolo difetto di versificazione e di stile è pur
notato nelle Stanze. Altri vi riprende il frequente uso degli sdruccioli,
basso snono in grave argomento: ma a cui ne' suoni cerca anzi tutto la
varietà, a cui le rime sdrucciole piacciono a' lor luoghi in Dante e
nell'Ariosto, piaceranno anche nel Poliziano. Altri torce il naso a certe
desinenze in orono delle terze persone plurali dei perfetti, e appunta
messer Angelo che egli imitasse gli antichi più che ad elegante poeta si
convenisse: dovea piuttosto accusarlo che egli scrivesse la lingua parlata
al tempo suo, perché allora non era ancor l'Italia, grazie a Dio, caduta
sì basso, che ci fosse questa maledizione del dovere imitare anche la
lingua. Con più ragione è ripreso di parecchi latinismi; ma né pure ai
migliori è concesso scuotere in tutto il giogo del proprio secolo; e di
qualche ridondanza a danno dell'efficacia e della proprietà; e di pochi
sgradevoli accoppiamenti di suoni; e della sconvenienza di certe imagini,
coane là dove assomigliò i pargoletti Amori ad altrettanti galeotti (II,
2,). Ma il carattere speciale dello stil della Giostra è in questo, che
posto l'autore tra il finire di una età letteraria primitiva e originale
così nell'inventare come nello esprimere e 'l cominciare d'una età
d'imitazione e di convenienza tiene del rozzo e del vigoroso dalla prima
come dell'aggraziato e del morbido dalla seconda. Gli ultimi vestigi della
prima età scompariranno mano a mano più sempre nelle Api del Rucellai, nel
Tirsi del Castiglione, nella Coltivazione dell'Alamanni: la seconda poi
risplenderà tutta pura nella Ninfa tiberina del Molza, e nello
stupendissimo Aminta: la Giostra apre la serie. Del resto quel misto di
grazia e di forza, di finezza e d'ingenuità, conferisce non poco alla
originalità nell'imitazione che niuno può disdire al Poliziano. La quale
io credo che sia anche aiutata dal metro che il poeta si elesse. Portar
tanta ricchezza di rimembranze e d'imitazioni nell'ottava, non veramente
fino allora nobilitata, era un dissimularla: più, coi varai ondeggiamenti
e movimenti d'armonia che primo il Poliziano fece prendere a quel metro,
giunse a ricoprire i suoni diversi dell'esametro antico e della terzina e
della canzone che pure dalle molteplici imitazioni dovevano emergere. E
questo del perfezionamento dell'ottava è vanto singolarissimo del
Poliziano. Prender l'ottava, diffusa e sciolta quale lasciolla il
Boccaccio, che nato gran prosatore e specialmente narratore la segnò
troppo della sua impronta; stemperata, quale dal Pucci in poi l'avean
ridotta i poeti popolari; rotta, quale dal dialogo delle rappresentanze
era dovuta uscire; aspra in fine e ineguale, quale sotto il rude piglio
del Medici, tiranno anche delle rime, avea dovuto farsi per divenir
lirica; prenderla, dico, in simili condizioni, e con l'unità d'armonia
darle il carattere metrico suo proprio che ha poi sempre conservato,
mettervi dentro tanta varietà concorde, vibrarla, allargarla,
arrotondarla, distenderla, imporle il raccoglimento del terzetto e
l'ondeggiamento della stanza, la risolutezza del metro finito e la
fluidità del perenne, farla eco a tutti i suoni della natura e della
fantasia, dal sussurrare delle piante, dal gemere dell'aure, dal canto
dell'usignolo, fino al tripudio bacchico, alla foga della galea, alla
tromba di Megera; e ciò un giovine, e da sé solo senza predecessori;
mentre a condurre la canzone e il sonetto alla sua perfezione dai
tentativi di Federigo II e Pier delle Vigne occorse un secolo e due scuole
diverse, di Guittone e del Guinicelli, e in fine due uomini come
l'Alighieri e il Petrarca: ciò per me è un miracolo più grande che non
sarebbe l'avere il Poliziano scritto le stanze a quattordici anni, e tale
che, ove ogni altro argomento mancasse, attesterebbe la gran facoltà
poetica, almeno esterna, del mio autore. Al Giordani il verso del
Poliziano qualche volta pareva duro; né io il negherò, recandone pure al
secolo la cagione: ma certo non è mai dura l'ottava, la quale pare a me
che raccolga le due doti diverse di quella dell'Ariosto e dell'altra del
Tasso: grave e sonora, ma non tornita e rimbombante come la seconda;
libera e varia, ma non soverchio disciolta come la prima; l'ottava del
Poliziano, dov'è proprio bella, supera a parer mio, quelle de' due grandi
epici; è l'archetipo dell'ottava italiana.
|