QUATTROCENTO

  • IL CENTRO POETICO DEL CANZONIERE DEL BOIARDO
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    Autore: Emilio Bigi Tratto da: La poesia del Boiardo

     
         

    L'ispirazione genuina del Boiardo tende ad accentuare, fino alla crudezza, l'intima vitalità del paesaggio in una vera esagerazione e deformazione di colori e di movimenti (il sole che esce tutto iubato, e incende la marina; la rosa che si apre d'un colore infiammato, come foco sulla verde spina; l'erbetta che esce su dalla terra), sottolineando anzi l'impeto di questa vitalità erompente con quel ritmare incalzante di consecutive e di parole fortemente accentate (tùtto iubàto; tàl lùce; sì infiammato).
    Questo motivo ritorna assai spesso nel Canzoniere ma al solito come frammento, come immagine staccata, per lo più nelle comparazioni paesistiche delle situazioni amorose.
    Così la canzone (15), che il poeta stesso chiama « Cantus comparativus », comincia alla maniera petrarchesca (« Chi troverà parole e voce eguali? ») per poi istituire confronti fra la donna e alcuni spettacoli della natura cronologicamente disposti: la luna fra le stelle, la stella Espero, l'aurora, il sole che sorge; la costruzione è freddamente e letterariamente pensata, ma i quattro paesaggi celesti, che dovrebbero essere solo paragoni, sono animati da un vivissimo colorismo drammatico che riesce veramente a infondere un fremito di vita anche alle immobili cose del cielo; ecco il paesaggio lunare:

     

    Si come più resplende,
    allor che il giorno è spento,
    in tra le stelle rade
    la luna di color di puro argento,
    quando ha di fiame il bianco viso tento
    e le sue corna ha più già di lume piene
    solo a sua vista è il nostro sguardo intento...


    I versi e le immagini non sono ancora perfetti: ma se la prima quartina, limpida nel disegno, è però ancora un po' convenzionale, gli ultimi versi sono nella loro rozzezza già molto significativi: la visione della luna, suscitatrice da Saffo ai romantici di tante dolenti malinconie colla sua luce velata, nel B. perde ogni sfumatura incerta e misteriosa, e acquista fuori d'ogni regola letteraria una veemenza coloristica che può quasi urtare (« quando ha di fiame... »). La stessa violenta esagerazione di tinte è nella descrizione di Vespero che appare alla fine della notte e in quella dell'Aurora che sorge: ma qui l'arte del B. si fa più ricca e si adorna di immagini piene di lussureggiante vitalità:

     

    Come in la notte liquida e serena
    vien la stella d'amore avanti al giorno
    di ragi d'oro e di splendor sì piena
    che l'orizzonte è di sua luce adorno ...
    ...ed ella a tergo mena
    l'altre stelle minore ...
    ...indi rorando splendido liquore
    da l'umida sua chioma, onde se bagna
    la verde erbetta e 'l colorito fiore,
    fa rugiadosa tutta la campagna.


    Si è osservato che le descrizioni paesistiche di questa canzone hanno la loro fonte in poeti classici; ma, nella sua originale commozione artistica, il B. perde assolutamente il senso della fonte latina da cui prende lo spunto... È facile vedere come il B. alla nitidezza lievemente malinconica delle immagini raccolte e meditate di Virgilio, opponga la sua umanistica visione piena di una vita tumultuosa ed entusiastica, che si riversa in un'abbondanza di aggettivi sensuosi (splendido licore... umida chioma... verde erbetta... colorito fiore... rogiadosa) e sembra rimanere impacciata nei freni della costruzione insolitamente complessa (onde se bagna ecc.). Anche la personificazione non è qui un ricordo letterario, ma acquista una vera funzione estetica in questo render vive le cose celesti: si legga, per persuadersene ancora, la rappresentazione del sole nella sua ascesa splendida e trionfale pel cielo mattutino:

     

    Qual fuor dell'ocean di ragi acceso
    risurge il sole al giorno mattutino
    e sì come tra l'unde e il ciel sospeso
    va tremolando sopra il suol marino,
    e poi ch 'l freno ha preso
    dei soi corsier focosi
    con le rote d'or fino
    ad erto adrizza i corsi luminosi... ;


    In questa levata del sole il B. ha sentito soprattutto il movimento, l'impulso gioioso e irrefrenabile che spinge il sole a drizzare « ad erto » il suo corso luminoso, sviluppandolo progressivamente attraverso le immagini della strofa: da quella sospensione « fra l'unde e 'l cielo », animata da quel tremolo così lontano dal ricordo dantesco; non più elemento idillico del paesaggio, tua quasi fremito d'inizio, alla rapida ascesa dei settenari che è come raccolta e slanciata verso il cielo dal robusto e luminoso endecasillabo finale...

    Per finire voglio notare un altro momento di questa capacità del poeta nel cogliere nella sua immediatezza originaria la vitalità delle cose di natura: l'interesse per la vita degli animali, che ritornerà anche nell'Innamorato. Posso citarne un solo esempio nel Canzoniere, ma molto interessante, anche perché non è mai stato citato. Si tratta anche qui di un canto comparativo, alla maniera petrarchesca, in cui il poeta si paragona successivamente a quattro animali, a cui come a lui piace morire: l'unicorno, la fenice, l'ermellino, il cigno: per brevità, e anche perché è il più riuscito poeticamente, citerò l'accenno all'ermellino, di cui il poeta ammira e partecipa con ingenua e commossa comprensione, la nobile delicatezza che gli fa preferire di morire piuttosto che lordare la sua candida bellezza:

     

    Sotto la tramontana al breve giorno
    ove l'onda marina al gel se indura
    un picolo animal tra monti nasce,
    bianco di pelo, e di facione adorno,
    e si nemico al tutto di lordura,
    che sol di neve candida si pasce.
    Tanto gentile il fece la natura
    che, se, forsi cacciato, il luto vede
    sostien da quello il dilicato piede,
    e più bellezza che la vita cura.


    C'è già quell'interesse intenso per la vitalità degli animali che ispirerà i frequenti e vivaci paragoni animaleschi dell'Orlando innamorato.
     

     
         
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    Letteratura italiana 2002 - Luigi De Bellis