Tutti coloro che si sono
volti a considerare l'affascinante problema della scrittura di Leonardo -
di un non mediocre artista della parola, cioè, il quale pure, si direbbe,
non si propose mai con esatta consapevolezza il concetto del proprio stile
e certo avrebbe sdegnosamente rifiutato ogni qualifica di letterato -
hanno ricordato alcune sue battute polemiche di non ambiguo significato
contro i pedanti sempre pronti a vantare l'ampiezza e il peso della loro
dottrina, contro i « recitatori e trombetti delle altrui opere », i quali
se ne « vanno sgonfiati e pomposi, vestiti e ornati,, non delle loro, ma
delle altrui fatiche ». Di fronte a costoro, egli portava con fierezza il
suo esempio di « uomo sanza lettere», che non sa e non vuole «allegare gli
autori», e preferisce in ogni caso appellarsi all'esperienza, « la quale
fu maestra di chi bene scrisse », « maestra ai maestri » di cui questi
dotti si proclamano discepoli e ripetitori. « Orno sanza lettere »,
appunto, ma anche « inventore », « scopritore », che si pone a tu per tu
con la natura e ne accoglie in forma diretta, senza fastidiosi diaframmi,
l'insegnamento fondamentale. Non letterato; ma indagatore del mondo fisico
nelle sue più diverse manifestazioni, inteso pertanto a riprodurre nella
forma più lucida ed esatta la verità dei fenomeni che osserva; ingegnere e
tecnico di tutte le arti, che la parola mette al servizio di un'operazione
pratica, che non consente evasioni e soste fantastiche; pittore, infine,
che nel suo dipingere e disegnare fa prima di tutto uno strumento di
conoscenza intera e sensibile dell'oggetto da rappresentare, e un mezzo
tecnico, un'esperienza di perfetto artigianato.
Non c'è dubbio che una tale polemica colpisce prima di tutto i residui di
una mentalità scolastica, medievale; e s'inserisce pertanto nel quadro di
quella più vasta battaglia che Leonardo combatté, in quanto precursore e
iniziatore di una più moderna metodologia scientifica e filosofica, che
all'immagine del filosofo immobile collocato al centro dell'universo e
intento a ricostruirne l'ordine e le apparenze secondo un processo
meramente speculativo contrappone quella dello scienziato che si piega ad
osservare e sperimentare e tenta con mille prove la deduzione empirica
delle leggi; che deride la « bugiarda e confusa scienzia » di coloro
(siano essi maghi o alchimisti, astrologi o anche teologi) i quali si
applicano a una sorta di studio che « principia e finisce nella niente »,
ovvero futilmente discorrono delle « cose ribelli ai sensi » (essenza di
Dio, immortalità dell'anima), e sulle vane scienze mentali afferma con
nettezza la superiorità di quelle « meccaniche », e anche di queste
postula sempre come scopo supremo la funzionalità, il legame con il mondo
reale e con le esigenze della pratica (« ricordati di mettere sotto a
ciascuna proposizione li sua giovamenti; acciò che tale scienzia non sia
inutile »).
Ma è altrettanto certo che un tale atteggiamento polemico investe anche,
per molti riguardi, la mentalità umanistica, e la preminenza che
nell'umanesimo italiano tendevano a prendere in alcuni ambienti il culto
della forma in se stessa, dell'imitazione letteraria, dell'erudizione
linguistica e filologica. E tocca anche, diremmo, la letteratura per sé
stessa, e la poesia. Può darsi che a determinare una tale considerazione
sprezzante dei puri letterati avesse il suo peso l'esperienza fatta da
Leonardo dei mediocrissimi retori coi quali ebbe ad incontrarsi nelle
corti da lui frequentate; mi sembra tuttavia che essa vada al di là di
queste circostanze occasionali. Si pensi al gusto con cui egli si
compiaceva di derivare pretesti alle sue favole dall'Acerba di Cecco
d'Ascoli: non è improbabile che Leonardo facesse sua, almeno in parte,
l'aspra polemica del maestro marchigiano contro le favole dei poeti. Ed è
certo che trascriveva, non a caso, nel primo foglio del codice Trivulziano,
una terzina sarcastica, rivolta a colpire le vanità delle finzioni d'amore
di cui si dilettavano i petrarchisti contemporanei (né dal sarcasmo rimane
esente lo stesso Petrarca): « Se 'l Petrarca amò sì forte 'l lauro, Gli è
perché è bon tra la salsiccia e 'l tordo: Non posso di lor ciance far
tesauro » ; dove la grossolanità del motto, che sta qui ad esprimere non
certo un'insensibilità volgare, sì piuttosto il fastidio di una mente
vigorosa, apre la via alla netta affermazione della superiorità di chi
indaga il vero sull'esteta chiacchierone; e « ciance » sono, da un certo
punto di vista e in certi momenti, anche le invenzioni dei poeti e il loro
indefesso travaglio di perfezione stilistica e di intensità verbale.
Non s'intende, con ciò, descrivere un Leonardo del tutto immaginario, che
parte paradossalmente in guerra contro tutta la cultura del suo tempo; sì
soltanto dare il giusto rilievo a talune posizioni polemiche, che oggi si
vogliono da qualche critico collocare piuttosto in ombra e che restano
invece essenziali per un'esatta valutazione del suo genio. Chi l'ha
rappresentato come un autodidatta, diceva senza dubbio alcunché di
inesatto; sottolineava quel che di prodigioso appare nella varietà e nella
complessità dei suoi interessi scientifici e tecnici ed artistici,
dimenticando gli innumerevoli precedenti che confluiscono nelle sue
indagini e ne illustrano la genesi e ne definiscono in termini più precisi
la grande e pur limitata novità, e i suoi contatti giovanili con i
neoplatonici fiorentini, e le letture più numerose e varie che non si
creda. Resta vero che, se dobbiamo indicare i suoi maestri più genuini,
dovremo pur sempre fermarci da una parte alla scuola manuale e artigiana
del Verrocchio, dall'altra alle istituzioni matematiche di Luca Pacioli. E
se, restando nell'ambito della nostra più stretta ricerca, vorremo
identificare le fonti della sua cultura letteraria, non dovremo
dimenticare che essa è fatta in gran parte di testi volgari e di
volgarizzamenti trecenteschi e del primo Quattrocento, e da essa deriva la
particolare tonalità del suo linguaggio e del suo stile, con quella
sintassi franta e popolaresca, mossa e inventiva, con quel lessico misto
di dialettismi. e di latinismi, dove la voce dialettale illumina la
cordiale immediatezza della annotazione e persino il vocabolo o il giro di
frase ricalcati sul modello latino acquistano nel contesto non so che
affettuoso sapore idiomatico...
Oggi troppo spesso si vuole circoscrivere la bellezza dei suoi scritti nei
limiti del frammento, o addirittura della frase singola o della parola. Ma
il cosiddetto frammentismo di Leonardo è soltanto un'illusione determinata
dalle condizioni esterne in cui ci sono pervenuti i suoi testi. Vero è che
assai spesso rimane in questi uno squilibrio fra la tensione espressiva e
l'effettivo risultato raggiunto; donde anche il frequente ritornare su un
singolo concetto od immagine in una lunga serie di tentativi per aggredire
da mille parti e impossessarsi della formula piena e pregnante. Ma è
altrettanto certo che questa tensione dello stile anche nelle sue
frequenti cadute e nella faticosa insoddisfazione, è sempre rivolta alla
mira di una rappresentazione piena e netta, concreta e definita
nell'amorosa indagine dei particolari, rigorosa e perentoria nella sintesi
che riconduce ogni particolare alla norma di un severo criterio
scientifico.
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