Solo ponendo mentalmente i limiti ideali che sorgono dalle
considerazioni fatte, si può dunque accettare, per quel che ci
riguarda, la denominazione di neoclassici, data al Monti e al
Foscolo: denominazione che acquista, d'altra parte, un
significato del tutto superficiale, e scolastico. La verità è,
invece, che col Foscolo, e perciò egli è un grande poeta, il
romanticismo che aveva trovato un solitario precursore in
Alfieri, irrompe davvero, finalmente, come fiume vivificatore,
prima e assai meglio che non con la piccola breccia apparente
della lettera di Grisostomo, nella vecchia ma già ridestantesi
terra d'Italia; di questa totale rigenerazione in tutti i
campi dell'attività egli è l'espressione profondamente
pensosa, umana e musicale al tempo stesso. Veramente un popolo
sorgeva dai sepolcreti della tradizione, acceso dalle nuove
idee, ansioso di opere, nel tumulto immenso della moderna vita
europea.
Da quanto sin qui si è detto intorno ai poeti neoclassici e,
più indietro ancora, dell'Alfieri e del Parini, risulta
provata, mi auguro, anche l'impossibilità di restringere il
significato della parola romanticismo al suo valore
originario, cioè al moto iniziato dal piccolo gruppo di
scrittori ribelli che in Germania si dissero romantici e che
possono considerarsi continuatori e affini degli Stúrmer und
Drànger. Già sono convinto che più si cerca da alcuni di
limitare il significato o meglio il valore di questa parola e
più facilmente essa scappa dalle mani; e saremo costretti, per
tentare di riafferrarla, ad aiutarci con molteplici
distinzioni. E non è poi difficile vederne il perché. Basterà
passare dalla superficiale considerazione del fatto storico
contingente dell'esistenza dei primi romantici in Germania a
quella più intima e sostanziale del valore della loro dottrina
(è noto che lo Schlegel s'ispirava a Fichte e a Schiller),
dell'intimo impulso che li muoveva adoperare, per avvederci
subito che il romanticismo fu, comunque lo si consideri,
soprattutto un moto di idee, rispondenti ad un profondo
bisogno dell'anima europea, senza le quali il romanticismo
sarebbe rimasto, come oggi il futurismo, una curiosità e una
stranezza. E invece i romantici parlarono e furono intesi e
come! in tutta l'Europa, e nessuno può ormai più considerare
romantici il Tieck e il Novalis perché tedeschi,
dimenticandosi dello Chateaubriand e del Byron.
Voglio dire che non è colpa mia se la parola romanticismo
nacque con un contenuto ideale, indubbiamente ricco e
concreto, e se il significato di quella parola andò
allargandosi fino a divenire espressione d'un mondo spirituale
sempre più vasto e profondo. Anche questo è fatto storico
innegabile e ricercarne le ragioni significa appunto
comprendere il romanticismo...
Si parla già di un'epoca romantica, e non vi ha dubbio che in
avvenire sarà sempre meglio determinata quasi un nuovo
Rinascimento, che, avendo questa volta il suo maggior focolare
presso le genti germaniche, si diffonde vigorosamente
alimentato dai popoli più civili.
Si può forse giudicare il Rinascimento soltanto dagli umanisti
ritrovatori di codici che lo iniziarono, ovvero dai
petrarchisti e dal ciceronianismo? Certo anche questi fatti
non possono essere dimenticati nel gran quadro di quell'età,
ma il Rinascimento si giudica dal Boccaccio e dall'Ariosto, da
Raffaello e dal Bramante e da Michelangelo, dal Bruno e dal
Campanella.
Ebbene, oggi siamo ancora a questo: che si può udir discorrere
di romanticismo in poesia e in arte, dimenticando
tranquillamente il romanticismo filosofico, almeno da Schiller
a Schelling, e giungere quindi a conclusioni di questo genere:
che cioè il romanticismo sia una sorta di degenerazione del
sentimento poetico, e magari, della tecnica artistica, per
cui, in luogo di guardare sinceramente e naturalmente la
realtà del mondo, si cerchi di rappresentarla artificiosamente
sfornata, ora sfumando i contorni in una nebbia sibillina, ora
calcando le immagini con colori impressionanti e paurosi,
preferendo spesso le scene più orrende e perdendosi altre
volte con la fantasia nei vapori musicali di una
sentimentalità malata e inconsistente.
Creato così un concetto morboso del romanticismo, lo si
contrappone al concetto sano del classico, tutto luce, misura,
armonia, finitezza.
Ed è a un simile raffronto che si deve la conclusione
accattata e ripetuta da molti, che, in fondo, un romanticismo
italiano non esiste, nel senso che i nostri scrittori più
grandi restarono soltanto italiani e ben poco riecheggiarono
del grande moto europeo; e il Manzoni, che fu il capo del
nostro romanticismo, riuscì nelle sue opere uno dei più
misurati e classici poeti della nostra letteratura...
Chi neghi o attenui l'importanza delle correnti romantiche in
Italia, non solo dovrà chiudere ostinatamente gli occhi al
significato ideale, che nel presente lavoro si è cercato di
determinare, delle opere dei nostri grandi poeti del secolo
XIX, bensì dovrà dimenticare che il pensiero italiano in
questo secolo, pur tra apparenti e reali reazioni e contrasti
che confermano la verità della conclusione sintetica, è
sostanzialmente dominato dal movimento idealistico, dal
Rosmini e il Gioberti al De Sanctis e fino allo stesso Croce,
che, a parte ogni altra considerazione che riguardi il
complesso e le singole manifestazioni della sua imponente
attività nel campo della filosofia, della storia, della
critica letteraria, maturò la sua teoria dell'arte,
fondamentale nel suo sistema, nella più intima esperienza
della estetica romantica.
Quando si tengano presenti del romanticismo le espressioni
d'arte malate e squilibrate che presso di noi culminano nel
byronismo, bisogna considerare che, come non è lecito
confondere in una stessa condanna il petrarchismo e il
Petrarca, bisognerà subito avvertire la potenza espressiva di
molte pagine del Byron e ricordarsi che, se il Goethe, come in
Italia il Foscolo e il Leopardi, combatté il romanticismo in
quanto moto passionale, stato d'animo in convulsione, ansioso
di esprimersi prima d'aver raggiunto il suo equilibrio
interiore, è anche incontestabile che, ad es., il Werther, di
cui è figlio legittimo l'Ortis foscoliano, e il Faust senza il
romanticismo non s'intendono...
Il Manzoni doveva pur avere qualche ragione nel sentirsi e
dichiararsi romantico e combattere i classicisti (e anche
questo è un fatto e non si può ignorarlo) e infine non
dobbiamo dimenticare che, come ognun sa, romanticismo anche
presso di noi fu sinonimo di rivoluzione, e la libertà
nell'arte, proclamata dalla lettera di Grisostomo,
s'identificò presto cori quella politica e sociale.
E non bisogna confondere col precedente il problema della
originalità di ciascuno scrittore...
Così è doveroso riconoscere che i nostri grandi scrittori di
poesia del secolo XIX ebbero ciascuno un originalissimo
atteggiamento, indimenticabilmente raffigurato, pur movendosi
nello stesso campo ideale del romanticismo europeo.
Il resto, e cioè una pretesa forma classica della quale ho
ricordato quale concetto il buon senso insegna si debba avere
(né si può distinguere meno che superficialmente un
classicismo dinamico e operante, vivo insomma, dal
romanticismo, distinzione che in pratica, come per Goethe, ci
porterebbe a considerare in uno stesso volto la chioma
romantica e il naso greco !), o, peggio, una forma
romantico-italiana in relazione con altre simili ricette
composite straniere, sono utili modi di dire, non concetti su
cui ci si possa fondare troppo, senza implicitamente superarli
in un significato più vasto...
La verità è che nuove tendenze spirituali chiedevano nuovi
mondi fantastici, e a tali tendenze ubbidivano i primi
romantici in Germania, anche se inconsci che la questione di
un'arte nazionale fosse solo apparente o superficiale. Il
problema estetico, che è l'anima del pensiero romantico,
diviene problema di tutto lo spirito: motivo fondamentale
attorno a cui si adegua, in sempre più vasta armonia, tutta la
realtà.
Si tratta d'una nuova religione dello spirito, che monta come
una sinfonia beethoveniana sino al meraviglioso di Shelling
dal quale si svolgerà più tardi l'idealismo assoluto di Hegel.
Appunto l'ansia religiosa è forse il sentimento più largamente
caratteristico di tutta l'arte romantica, compresi i
neoclassici, di cui s'è parlato, e giungendo fino al
Nietzsche. Onde si spiega benissimo il ritorno alla tradizione
religiosa cristiana, biblica e medievale, e l'atteggiamento
proprio della maggior parte dei romantici, che ha del
fantasioso e del sognante. S'intende che, a parte il carattere
più o meno passionale e accendibile, o contemplativo e
mistico, o calmo ed equilibrato di ciascuno scrittore, c'è poi
sempre la differenza tra il grande poeta e il piccolo poeta:
tra quello che parla soltanto quando l'estro detta dentro, e
quello che, in buona o in mala fede, a scopo cioè di ottenere
effettacci, si afferra allo stile in voga, e magari lo
esagera.
Ripeto: una questione di forma appare ingenua e fallace.
Classicismo e romanticismo non erano, se mai, due astratte e
metafisiche forme in contrasto, ma simboleggiavano la lotta
tra tradizione e spirito moderno.
Con Alessandro Manzoni, in Italia, la coscienza di questa
lotta e della necessità del distacco (coscienza che al Foscolo
mancò) è piena e completa.
Il problema della mitologia, assai più importante di quanto
non si creda, che diviene quasi un fatto comico agitato dal
Monti, sorge semplice, lucido, naturale nella mente del
Manzoni, che quel mondo mitologico ha superato davvero
spiritualmente e non a parole.
Egli sentiva, chiamandosi romantico, e prendendo una ferma
posizione di lotta, che, così facendo, ubbidiva a una profonda
esigenza interiore: non a quella di imitare il cosiddetto
stile romantico, ma a quella di esprimere il nuovo mondo
ideale che gli riempiva l'animo. |