CRITICA: ROMANTICISMO

 LA POESIA DELL'ESILIO IN BERCHET

 AUTORE: Benedetto Croce    TRATTO DA: Poesia e non poesia

 

Accanto e frammista all'oratoria e didascalica patriottica, si schiude nel Berchet quella che si potrebbe chiamare la lirica dell'esule, Bella quale la sua nostalgia, il suo immenso affetto per la sua terra, accresciuto dalla lontananza, la tenerezza per ogni cosa che gli ricordi l'Italia, il sogno di un'Italia libera, forte e grande, il tormento del dubbio, pari all'ardore del desiderio, se gl'Italiani sapranno davvero riscuotersi, sollevarsi, combattere e vincere, sfidando pericoli e rinunziando ai loro comodi e piaceri prendono forma diretta e viva. Il Trovatore è qualcosa di più che una semplice romanza da mettere in musica: ci dice il distacco straziante dai luoghi in cui si sognò e si amò:


Scese - varcò le porte; -
stette; - guardone ancor: -
e gli scoppiava il cor
come per morte...



Nei Profughi di Parga non c'è solo l'atto d'accusa e la maledizione alla politica inglese. C'è il rimpianto e il desiderio sconsolato per il paese dell'infanzia; c'è il «tiglio» (l'albero della nostalgia!), accennante di lontano che sotto quel monte sono le case della diletta Para, il tiglio solitario:


Se mai vien ch'io risalga secura
a posar sotto il tiglio romito,
che di Parga incorona l'altura...



E la pagina più bella del poemetto è quella in cui la popolazione, consegnata dagli inglesi al musulmano, preferisce l'esilio in massa, e dissacra, nell'abbandonarlo costretta, quel luogo a lei sacro. Erano i giorni «santi ed amari» della passione di Cristo, e la popolazione si radunò e pregò nel tempio:


Poi, gemendo il novissimo addio,
surse: e forme dei suoi sacerdoti
taciturna la turba seguio...



E s'avviò al camposanto, all'angolo di terra, dove


sotto il salcio dei rami piangenti
dormian gli avi di Parga sepolti,
dormian fossa dei nostri parenti...



E tolse quelle ossa dalle tombe e le ammucchiò e le arse su un rogo, quasi in vista dell'avanguardia nemica, per sottrarle all'insulto degl'infedeli. E discese dalla piccola città tra gemiti e grida e atti pietosi delle donne:


Qui toglievasi un'altra dal petto
il lattante, e, fermando il cammino,
con istrano delirio d'affetto
si calava al ruscello vicino,
vi bagnava per l'ultima volta
nelle patrie fontane il bambino.
E chi un ramo, un cespuglio, chi svolta
dalle patrie campagne traeva
una zolla nel pugno raccolta...



Finché la misera popolazione giunge alla spiaggia ed entra nelle barche:


Noi salpammo. - E la quieta marea
si coverse di un lungo ululato...



Vediamo altri aspetti di questa condizione d'animo. L'esule si aggira tra nuove genti, tra nuovi costumi, chiamato a nuove relazioni e amicizie:


Accolto in mezzo i liberi
al conversar fidente,
ramingo tra gli schiavi,
chiuso il pensier prudente...



e sempre «ha la patria in cor». Colà, presso gli stranieri, la tragedia della sua patria suscita lieve e lontano interessamento o è affatto ignorata. A un cittadino del remoto settentrione, quale notizia è pervenuta mai della recente storia d'Italia?


Un di a lui sull'aure algenti,
là lontan, su l'onda baltica,
dell'Italia andò un rumor,
d'oppressori e di frementi,
di speranze e di tripudii,
di tumulti annunziator.
Ma confuso, ma fugace
fu quel grido, e ratto a sperderlo
la parola uscì dei re,
che narrò composta in pace
tutt'Italia ai troni immobili
plauder lieta e giurar fé.



Notizia vaga, pallida, e alterata ad arte; a cui corrisponde un sentimento di indifferenza, fatto d'ignoranza. Ma egli, l'esule, è l'apostolo della sua patria: ne narra le prodezze e le sventure, ne fa conoscere gli affetti e le aspirazioni, ne spiega i concetti; soprattutto, la descrive tormentata, fremente, insofferente, pronta a insorgere all'azione, e annunzia prossima la rivolta e la guerra dell'indipendenza. La speranza, nell'animo suo, é trapassata in fede; le parole, tante volte ridette a sé stesso e ad altrui, hanno acquistato la saldezza di cose delle quali gli pare impossibile dubitare. Eppure, ecco il dubbio s'insinua: nasce forse da sconfortanti notizie che gli sono pervenute della presente disposizione degli spiriti in Italia; o, più ancora, da improvvisi tristi ricordi che risvegliano immagini represse e quasi soffocate, le quali ora rivendicano là loro realtà e si fanno valere. Gli sembra di essere rientrato, non sa come, in Italia: è l'alba: egli rivede i noti aspetti dei suoi campi, riconosce i luoghi dove gioì fanciullo e tutto rifruga con l'occhio e tutto ritrova nel cuore; e già gode alle accoglienze che lo attendono, già l'anima si apre ai petti fraterni, pieni delle stesse speranze, delle stesse brame, della stessa risoluta volontà. Ma gli uomini, che incontra, non sono gl'italiani atteggiati a rivolta e guerra, minacciosi, che già si levano contro gli aggressori, spezzando le ritorte, - quali la sua fantasia li aveva per lunga consuetudine familiari. Sono contadini che si affrettano ai seminati e alle vigne, contadini abbruttiti dalla miseria e chiusi a ogni altro pensiero che non sia quello della lotta quotidiana del pane:


Recan le facce stupide
che il gramo viver tigne;
scalzi, cenciosi movono
sul suol dell'ubertà...



Sono operai e cittadini, che non si curano di politica né di patria, premuti solo dai loro affari, dai loro comodi, dai loro piaceri:


Dai fumaiuoli annunziansi
ridesti a mille a mille
i fochi dei castelli,
dei borghi e delle ville.
Dove più folto è d'uomini,
a due, a tre, a drappelli,
escono agli ozi, all'opere,
sparsi per la città...



E a tanto contrasto tra l'ideale e la realtà (quella che a lui pare in quell'istante la realtà ed è un incubo anch'esso della sua ansia e del suo immenso amore), a così cruda e improvvisa delusione, il reduce è come trasognato, dolore e sdegno gli salgono al labbro, e mormora tra sé amaramente:

Son questi? È questo il popolo
per cui con affannosa
lena ci cercò il periglio,
perse ogni amata cosa
È questo il desiderio
dell'inquieto esiglio?
questo il narrato agli ospiti
nobil nel suo patir

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis