Accanto e frammista all'oratoria e didascalica patriottica, si
schiude nel Berchet quella che si potrebbe chiamare la lirica
dell'esule, Bella quale la sua nostalgia, il suo immenso
affetto per la sua terra, accresciuto dalla lontananza, la
tenerezza per ogni cosa che gli ricordi l'Italia, il sogno di
un'Italia libera, forte e grande, il tormento del dubbio, pari
all'ardore del desiderio, se gl'Italiani sapranno davvero
riscuotersi, sollevarsi, combattere e vincere, sfidando
pericoli e rinunziando ai loro comodi e piaceri prendono forma
diretta e viva. Il Trovatore è qualcosa di più che una
semplice romanza da mettere in musica: ci dice il distacco
straziante dai luoghi in cui si sognò e si amò:
Scese - varcò le porte; -
stette; - guardone ancor: -
e gli scoppiava il cor
come per morte...
Nei Profughi di Parga non c'è solo l'atto d'accusa e la
maledizione alla politica inglese. C'è il rimpianto e il
desiderio sconsolato per il paese dell'infanzia; c'è il
«tiglio» (l'albero della nostalgia!), accennante di lontano
che sotto quel monte sono le case della diletta Para, il
tiglio solitario:
Se mai vien ch'io risalga secura
a posar sotto il tiglio romito,
che di Parga incorona l'altura...
E la pagina più bella del poemetto è quella in cui la
popolazione, consegnata dagli inglesi al musulmano, preferisce
l'esilio in massa, e dissacra, nell'abbandonarlo costretta,
quel luogo a lei sacro. Erano i giorni «santi ed amari» della
passione di Cristo, e la popolazione si radunò e pregò nel
tempio:
Poi, gemendo il novissimo addio,
surse: e forme dei suoi sacerdoti
taciturna la turba seguio...
E s'avviò al camposanto, all'angolo di terra, dove
sotto il salcio dei rami piangenti
dormian gli avi di Parga sepolti,
dormian fossa dei nostri parenti...
E tolse quelle ossa dalle tombe e le ammucchiò e le arse su un
rogo, quasi in vista dell'avanguardia nemica, per sottrarle
all'insulto degl'infedeli. E discese dalla piccola città tra
gemiti e grida e atti pietosi delle donne:
Qui toglievasi un'altra dal petto
il lattante, e, fermando il cammino,
con istrano delirio d'affetto
si calava al ruscello vicino,
vi bagnava per l'ultima volta
nelle patrie fontane il bambino.
E chi un ramo, un cespuglio, chi svolta
dalle patrie campagne traeva
una zolla nel pugno raccolta...
Finché la misera popolazione giunge alla spiaggia ed entra
nelle barche:
Noi salpammo. - E la quieta marea
si coverse di un lungo ululato...
Vediamo altri aspetti di questa condizione d'animo. L'esule si
aggira tra nuove genti, tra nuovi costumi, chiamato a nuove
relazioni e amicizie:
Accolto in mezzo i liberi
al conversar fidente,
ramingo tra gli schiavi,
chiuso il pensier prudente...
e sempre «ha la patria in cor». Colà, presso gli stranieri, la
tragedia della sua patria suscita lieve e lontano
interessamento o è affatto ignorata. A un cittadino del remoto
settentrione, quale notizia è pervenuta mai della recente
storia d'Italia?
Un di a lui sull'aure algenti,
là lontan, su l'onda baltica,
dell'Italia andò un rumor,
d'oppressori e di frementi,
di speranze e di tripudii,
di tumulti annunziator.
Ma confuso, ma fugace
fu quel grido, e ratto a sperderlo
la parola uscì dei re,
che narrò composta in pace
tutt'Italia ai troni immobili
plauder lieta e giurar fé.
Notizia vaga, pallida, e alterata ad arte; a cui corrisponde
un sentimento di indifferenza, fatto d'ignoranza. Ma egli,
l'esule, è l'apostolo della sua patria: ne narra le prodezze e
le sventure, ne fa conoscere gli affetti e le aspirazioni, ne
spiega i concetti; soprattutto, la descrive tormentata,
fremente, insofferente, pronta a insorgere all'azione, e
annunzia prossima la rivolta e la guerra dell'indipendenza. La
speranza, nell'animo suo, é trapassata in fede; le parole,
tante volte ridette a sé stesso e ad altrui, hanno acquistato
la saldezza di cose delle quali gli pare impossibile dubitare.
Eppure, ecco il dubbio s'insinua: nasce forse da sconfortanti
notizie che gli sono pervenute della presente disposizione
degli spiriti in Italia; o, più ancora, da improvvisi tristi
ricordi che risvegliano immagini represse e quasi soffocate,
le quali ora rivendicano là loro realtà e si fanno valere. Gli
sembra di essere rientrato, non sa come, in Italia: è l'alba:
egli rivede i noti aspetti dei suoi campi, riconosce i luoghi
dove gioì fanciullo e tutto rifruga con l'occhio e tutto
ritrova nel cuore; e già gode alle accoglienze che lo
attendono, già l'anima si apre ai petti fraterni, pieni delle
stesse speranze, delle stesse brame, della stessa risoluta
volontà. Ma gli uomini, che incontra, non sono gl'italiani
atteggiati a rivolta e guerra, minacciosi, che già si levano
contro gli aggressori, spezzando le ritorte, - quali la sua
fantasia li aveva per lunga consuetudine familiari. Sono
contadini che si affrettano ai seminati e alle vigne,
contadini abbruttiti dalla miseria e chiusi a ogni altro
pensiero che non sia quello della lotta quotidiana del pane:
Recan le facce stupide
che il gramo viver tigne;
scalzi, cenciosi movono
sul suol dell'ubertà...
Sono operai e cittadini, che non si curano di politica né di
patria, premuti solo dai loro affari, dai loro comodi, dai
loro piaceri:
Dai fumaiuoli annunziansi
ridesti a mille a mille
i fochi dei castelli,
dei borghi e delle ville.
Dove più folto è d'uomini,
a due, a tre, a drappelli,
escono agli ozi, all'opere,
sparsi per la città...
E a tanto contrasto tra l'ideale e la realtà (quella che a lui
pare in quell'istante la realtà ed è un incubo anch'esso della
sua ansia e del suo immenso amore), a così cruda e improvvisa
delusione, il reduce è come trasognato, dolore e sdegno gli
salgono al labbro, e mormora tra sé amaramente:
Son questi? È questo il popolo
per cui con affannosa
lena ci cercò il periglio,
perse ogni amata cosa
È questo il desiderio
dell'inquieto esiglio?
questo il narrato agli ospiti
nobil nel suo patir |