CRITICA: ROMANTICISMO

 BERCHET POETA EPICO

 AUTORE: Attilio Momigliano    TRATTO DA: La poesia del Berchet

 

Il De Sanctis ha detto delle situazioni del Berchet: «Si annunziano drammatiche, e si trasformano in liriche»; e ha colto uno degli atteggiamenti caratteristici delle Romanze e delle Fantasie. Poi, ha ritratto il temperamento malinconico e chiuso del Berchet, con quella commozione rapida e suggestiva che trascina sempre i suoi lettori.
Ma alle sue pagine manca qualche cosa: egli non accenna alla forza epica del Berchet e lascia un po' nella penombra il suo odio impetuoso. Certo il fondo di quella lirica è una tristezza concentrata: ma il tedio doloroso non la esaurisce e non la spiega tutta.
Il Croce ha confermato il giudizio contrastato del De Sanctis e ha aggiunto qualche fine accenno di analisi.
Ma io trovo in tutti una lacuna. Nel Berchet c'era in germe un poeta epico potente...
Tutti hanno sentito che il Berchet era un poeta guerriero: bisogna aggiungere che egli di guerriero non ha soltanto l'odio sterminatore, ma anche la fantasia rapida, nuda, quadrata. I dodecasillabi ai quali alludo, non sono che una reliquia solenne: pure non sfigurano accanto alle più belle strofe della Canzone di Legnano, e nemmeno accanto al coro Dagli atrii muscosi.
Ma del guerriero il Berchet ha anche l'animo virile, confidente, dignitoso: e allora la sua figura sembra quella di un eroe coperto di ferro. Allora la nebbia che avvolge l'esule solitario, si squarcia; quella noia greve, nostalgica, accorata, quel grigio da mare del Nord, si dileguano d'un tratto: e al ramingo malinconico succede il soldato.
Nella poesia del Berchet, sotto le ceneri dell'esilio covano sempre le fiamme della battaglia. Questa mi pare la fisionomia della sua lirica. Non dobbiamo dimenticare che egli appartenne ad una generazione insieme romantica e guerriera. La sua è proprio la poesia dei giovani che alternano con i gridi di guerra le loro tristi fantasticherie.
Le poesie del Berchet hanno una sostanza etica virile che conserva la sua forza pure tra la melodia melanconica formatasi nel cuore del poeta lungo i giorni lenti dell'esilio. Anzi, quella testa che d'un tratto si rileva fiera dall'abbandono doloroso, quella parola che erompe aspra e solenne fuori della dolce e mesta musica romantica, proprio per questo fanno un'impressione più forte. La maledizione a Carlo Alberto ha un così vivo rilievo, proprio perché è la nota più alta di quel grido di dolore che risuona fra l'arpeggio elegiaco di tutta la romanza. Se eccettuiamo il Trovatore, tutte le altre liriche comprese nelle due raccolte del Berchet hanno come caratteristica comune l'intreccio di questi due motivi: la ribellione dello spirito onesto e fiero contro l'umiliazione del presente, lo scatto tanto più gagliardo in nome dei santi ideali della dignità umana e della patria, quanto più opprimente è il torpore e il grigio della vita consumata invano sotto un cielo straniero.
Quella del Berchet è la poesia d'un uomo ricco di affetti domestici e civili soffocati dalla sventura di non avere una patria. La sua lirica è poco profonda: ma i sentimenti vi irrompono d'impeto, con la violenza e la tenerezza delle passioni insoddisfatte. Il Berchet ha desiderato la casa e la famiglia con la fantasticheria ardente dell'uomo solo e lontano: solamente da un lungo rimpianto e da un'immagine mai dimenticata possono sgorgare la rievocazione del Romito del Cenisio


- Muti intorno degli alari
vedrai padri ai figli stringersi -,



il sorriso triste delle "finestrelle povere",


a cui ne' dì tepenti
la casalinga vergine
infiora il davanzal,



l'imprecazione che è insieme il palpito profondo d'una tristezza ben nota


- Gusti anch'ei la sventura e sospiri
l'Allemanno i paterni suoi fochi -.



Parole fugaci che lasciano un'orma nell'anima del lettore, e si collegano idealmente con l'altro breve passo delle Fantasie, nel quale il Berchet descrive il confuso e lacrimante rimembrare del patriota incamminato sulla via dell'esilio.
Sono questi i momenti in cui la sua tristezza di esule vien fuori con un impeto appassionato o con una potenza pittoresca. Di solito, invece, essa forma intorno alle sue liriche come un'atmosfera grigia che ritrae uno stato d'animo abituale e lo fa sentire con un'impressione opprimente, pur senza che la parola abbia qua o là accenti di una particolare potenza. «I tetri abeti» e le nebbie del nord non forniscono soltanto una chiusa suggestiva al Romito del Cenisio: dovevano essere anche, negli anni dell'esilio, il paesaggio dell'anima sconfortata del poeta. E forse le ore che cadono lente sulla solitudine di Silvio Pellico, sono anche lo stillicidio interminabile della vita del Berchet profugo dall'Italia.

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis