CRITICA: IL SEICENTO

 RITRATTO DEL CAMPANELLA

 AUTORE: Luigi Firpo    TRATTO DA: Scritti scelti di G. Bruno e Campanella

 

Il tecnicismo arido della dialettica delle Scuole subito lo delude, spingendolo a costruire una logica nuova, non più meccanicamente sillogistica, che possa condurre a una conoscenza diretta del reale, fuori della subordinazione supina al principio di autorità. Su questa via il suo incontro con Telesio è inevitabile, poiché il meditato e coerente sistema del Cosentino gli offre dei fenomeni fisici una spiegazione schiettamente naturale, materialistica, libera finalmente da ogni intervento ultra sensibile. La lotta dei due princìpi contrari del caldo e del freddo, con una argomentazione analitica arbitraria fin che si vuole, ma indubbiamente ingegnosa, viene condotta a spiegare la costituzione e l'energia del cosmo, i fenomeni astronomici e metereologici, la differenziazione delle molteplici sostanze terrestri, tutti gli aspetti della vita vegetativa e sensitiva. Sulla via di questo sensismo materialistico facile era giungere a negare ogni forma di trascendenza: quando nel cervello e nei nervi dell'uomo il filosofo ha riconosciuto la presenza di una spirito corporeo, caldo, sottile, duttile, mobile, che è il centro ricettivo delle sensazioni e la fonte delle attività vitali, egli si è spinto all'ultima rarefazione della materia, ma non è uscito dalla sua sfera. Come si connette con lo spirito fisico l'anima immateriale? quale rapporto v'è tra sensazione e pensiero? Telesio aveva ammesso, nel suo timorato ossequio pel domma, l'esistenza dell'anima individuale trascendente, ma quel riconoscimento appariva mera formalità, appendice morta di un sistema cui l'autosufficienza della materia forniva piena autonomia. Campanella, nel fervore della sua giovanile speculazione veniva inevitabilmente ad affrontare la scottante questione e certo l'entusiasmo per la nuova dottrina lo conduceva sulla via bruniana del più completo naturalismo; in quel momento così delicato sopravviene ad inasprire la sua già delineata reazione un susseguirsi senza soste di repressioni ecclesiastiche via via più severe. Laddove la sanzione avrebbe piegato un mediocre carattere, la nativa fierezza plebea di Campanella reagisce, prima con l'insofferenza, poi con l'aperta ribellione: quattro processi in sei anni segnano l'itinerario di una sua progressiva evoluzione dalla serena indagine teorica al progetto sempre più ambiziosamente accarezzato di una decisa azione sovvertitrice e riformatrice. Convergono in questo senso altri elementi determinanti, quali l'iniziazione alle pratiche magiche ed astrologiche, la consapevolezza via via più sicura del proprio ascendente personale di uomo nato per capeggiare, infine il radicarsi sempre più profondo della certezza d'una propria predestinata missione di instauratore del secolo nuovo, di interprete dei profeti clamanti angosciosamente nella notte dei tempi, di sola vigile scolta degli eventi grandiosi che incombono sulla terra, mentre le turbe giacciono prostrate nel bestiale sonno dell'ignoranza e del vizio. Quando l'ultima condanna del S. Uffizio gli impone di tornare per sempre a seppellirsi nei remoti conventi della sua Calabria quell'impulso all'azione trova finalmente nella terra natia il fertile clima, e prorompe. L'uomo si guarda attorno: il paese spogliato ed oppresso è corso dai
banditi, taglieggiato dagli Spagnuoli, predato dai Turchi; fuorusciti disposti a tutto, frati irrequieti e peggio, malcontento d'ogni ceto pullulano dovunque; se volge l'occhio al cielo, vede gli astri impazziti irrompere per orbite nuove, sente la mano di Dio che squassa nell'abisso i cardini del mondo, legge in mille eventi inconsueti inebrianti presagi, Da questo confuso ribollire di intuizioni e di superstizioni la grande congiura sovvertitrice nasce come una fermentazione spontanea: non le manca tuttavia un premeditato fondamento teorico. Trascinando gli uomini all'azione, Campanella bandisce loro il miraggio di una repubblica felice, retta dalla concordia e dall'amore, dove i beni materiali messi in comune cancellino ogni egoismo, dove la sapienza governi e la felicità nasca dal dovere compiuto: ideale naturalistico e razionalistico, che verrà esposto poco più tardi, già velato dal rimpianto per il bel sogno spezzato, nelle pagine della Città del Sole.

All'illusione utopistica subentra infatti, bruscamente, la feroce realtà della repressione: tradito alla vigilia dell'azione, catturato con la maggior parte dei complici, tradotto a Napoli in catene, Campanella si trova d'un tratto solo contro tutti, inviso ai giudici, rinnegato dai compagni, perduto. Due anni dopo, giunto ad aver salva la vita dopo una lunga prova di astuzia e di tenacia, viene tacitamente dimenticato, connivente il tribunale laico con l'ecclesiastico, nelle segrete dei castelli napoletani: contrappasso dantesco, quella prigionia senza speranza, sinonimo di totale impotenza, per un uomo divorato dal dèmone dell'azione. Dapprima, indomito, si dibatte, tenta la fuga, scrive a furia per giustificarsi, promette le prestazioni più stravaganti, chiede per sé le prove più crudeli, perché lo si ascolti e lo si liberi da quelle catene. Gli stessi suoi scritti di precettistica politica, copiosi in quel periodo, tradiscono il conato ansioso di chi ancora s'illude di poter intervenire in qualche modo nella vita esterna, farsi, piccolo o grande, attore e protagonista della storia. Per tutta risposta gli inaspriscono la detenzione: viene gettato in una fossa sotterranea umida e tenebrosa, sopra la paglia fradicia, con ferri alle mani e ai piedi, con cibo sporco e insufficiente; i mali del corpo lo travagliano e con essi, più lacerante, il male acuto dell'anima. Per la prima volta egli dubita della sua missione, riconosce la fallacia del presagio trova non la rassegnazione, ma finalmente un accento di umiltà. Intanto, assiduamente, medita; indaga il senso della propria vicenda, l'insegnamento della sciagura; scende nel più profondo di sé medesimo, in una introspezione sofferta, da cui esce finalmente rigenerato. La colpa che egli sconta è quella della ribellione insensata, dell'impulsivo fraintendimento del proprio arcano messaggio: ma non è ancora troppo tardi per mutare indirizzo all'avvio, per riprendere daccapo la finalmente illuminata missione. Egli sa ora di non essere venuto a distruggere, ma a riedificare; il suo posto non è fra i dissennati che battono dall'esterno le mura della fortezza cattolica, ma fra coloro che dall'interno faticano per dilatarle ai confini del mondo. Con una folgorazione subitanea egli ha intuito l'identità assoluta fra verità razionale e verità rivelata, non più dissidenti e neppure faticosamente riconciliabili, ma coincidenti: il Cristo, che in gioventù aveva umanizzato sotto la specie del Logos giovanneo, della Sapienza trinitaria, è la Prima Ragione, destinata ad imporsi con immediatezza assoluta agli uomini d'ogni fede, appunto perché ciascuno di essi è essenzialmente essere razionale. Nasce così l'ortodossia campanelliana, in un sincero entusiasmo, che nessuna considerazione contingente alimenta e che non deve credersi povero di rinnovato contenuto teoretico. Alla riforma della Chiesa dall'interno son dedicati tutti gli anni futuri del Campanella e le due opere di maggior respiro della maturità: l'immane esposizione della Theologia e le fervide allocuzioni del Reminiscentur, precorritrici dell'Opera di Propaganda Fide nell'impulso di evangelizzazione ecumenica. Così dove si era irrigidita sino ad esserne schiantata l'assoluta intransigenza bruniana, il nativo senso pratico del Campanella si plasmava alle esigenze della realtà per potersi continuamente in essa inserire con la propria azione necessaria: non si legga pieghevolezza né opportunismo in questa duttile condotta, ma aderenza costante alla propria missione terrena, riaffermata con tenacia eroica nei lunghi anni dei patimenti futuri, fra le persecuzioni, i sospetti, le umiliazioni, dal carcere all'esilio, fino alla morte.

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis