Il tecnicismo arido della dialettica delle Scuole subito lo
delude, spingendolo a costruire una logica nuova, non più
meccanicamente sillogistica, che possa condurre a una
conoscenza diretta del reale, fuori della subordinazione
supina al principio di autorità. Su questa via il suo incontro
con Telesio è inevitabile, poiché il meditato e coerente
sistema del Cosentino gli offre dei fenomeni fisici una
spiegazione schiettamente naturale, materialistica, libera
finalmente da ogni intervento ultra sensibile. La lotta dei
due princìpi contrari del caldo e del freddo, con una
argomentazione analitica arbitraria fin che si vuole, ma
indubbiamente ingegnosa, viene condotta a spiegare la
costituzione e l'energia del cosmo, i fenomeni astronomici e
metereologici, la differenziazione delle molteplici sostanze
terrestri, tutti gli aspetti della vita vegetativa e
sensitiva. Sulla via di questo sensismo materialistico facile
era giungere a negare ogni forma di trascendenza: quando nel
cervello e nei nervi dell'uomo il filosofo ha riconosciuto la
presenza di una spirito corporeo, caldo, sottile, duttile,
mobile, che è il centro ricettivo delle sensazioni e la fonte
delle attività vitali, egli si è spinto all'ultima rarefazione
della materia, ma non è uscito dalla sua sfera. Come si
connette con lo spirito fisico l'anima immateriale? quale
rapporto v'è tra sensazione e pensiero? Telesio aveva ammesso,
nel suo timorato ossequio pel domma, l'esistenza dell'anima
individuale trascendente, ma quel riconoscimento appariva mera
formalità, appendice morta di un sistema cui l'autosufficienza
della materia forniva piena autonomia. Campanella, nel fervore
della sua giovanile speculazione veniva inevitabilmente ad
affrontare la scottante questione e certo l'entusiasmo per la
nuova dottrina lo conduceva sulla via bruniana del più
completo naturalismo; in quel momento così delicato
sopravviene ad inasprire la sua già delineata reazione un
susseguirsi senza soste di repressioni ecclesiastiche via via
più severe. Laddove la sanzione avrebbe piegato un mediocre
carattere, la nativa fierezza plebea di Campanella reagisce,
prima con l'insofferenza, poi con l'aperta ribellione: quattro
processi in sei anni segnano l'itinerario di una sua
progressiva evoluzione dalla serena indagine teorica al
progetto sempre più ambiziosamente accarezzato di una decisa
azione sovvertitrice e riformatrice. Convergono in questo
senso altri elementi determinanti, quali l'iniziazione alle
pratiche magiche ed astrologiche, la consapevolezza via via
più sicura del proprio ascendente personale di uomo nato per
capeggiare, infine il radicarsi sempre più profondo della
certezza d'una propria predestinata missione di instauratore
del secolo nuovo, di interprete dei profeti clamanti
angosciosamente nella notte dei tempi, di sola vigile scolta
degli eventi grandiosi che incombono sulla terra, mentre le
turbe giacciono prostrate nel bestiale sonno dell'ignoranza e
del vizio. Quando l'ultima condanna del S. Uffizio gli impone
di tornare per sempre a seppellirsi nei remoti conventi della
sua Calabria quell'impulso all'azione trova finalmente nella
terra natia il fertile clima, e prorompe. L'uomo si guarda
attorno: il paese spogliato ed oppresso è corso dai
banditi, taglieggiato dagli Spagnuoli, predato dai Turchi;
fuorusciti disposti a tutto, frati irrequieti e peggio,
malcontento d'ogni ceto pullulano dovunque; se volge l'occhio
al cielo, vede gli astri impazziti irrompere per orbite nuove,
sente la mano di Dio che squassa nell'abisso i cardini del
mondo, legge in mille eventi inconsueti inebrianti presagi, Da
questo confuso ribollire di intuizioni e di superstizioni la
grande congiura sovvertitrice nasce come una fermentazione
spontanea: non le manca tuttavia un premeditato fondamento
teorico. Trascinando gli uomini all'azione, Campanella
bandisce loro il miraggio di una repubblica felice, retta
dalla concordia e dall'amore, dove i beni materiali messi in
comune cancellino ogni egoismo, dove la sapienza governi e la
felicità nasca dal dovere compiuto: ideale naturalistico e
razionalistico, che verrà esposto poco più tardi, già velato
dal rimpianto per il bel sogno spezzato, nelle pagine della
Città del Sole.
All'illusione utopistica subentra infatti, bruscamente, la
feroce realtà della repressione: tradito alla vigilia
dell'azione, catturato con la maggior parte dei complici,
tradotto a Napoli in catene, Campanella si trova d'un tratto
solo contro tutti, inviso ai giudici, rinnegato dai compagni,
perduto. Due anni dopo, giunto ad aver salva la vita dopo una
lunga prova di astuzia e di tenacia, viene tacitamente
dimenticato, connivente il tribunale laico con
l'ecclesiastico, nelle segrete dei castelli napoletani:
contrappasso dantesco, quella prigionia senza speranza,
sinonimo di totale impotenza, per un uomo divorato dal dèmone
dell'azione. Dapprima, indomito, si dibatte, tenta la fuga,
scrive a furia per giustificarsi, promette le prestazioni più
stravaganti, chiede per sé le prove più crudeli, perché lo si
ascolti e lo si liberi da quelle catene. Gli stessi suoi
scritti di precettistica politica, copiosi in quel periodo,
tradiscono il conato ansioso di chi ancora s'illude di poter
intervenire in qualche modo nella vita esterna, farsi, piccolo
o grande, attore e protagonista della storia. Per tutta
risposta gli inaspriscono la detenzione: viene gettato in una
fossa sotterranea umida e tenebrosa, sopra la paglia fradicia,
con ferri alle mani e ai piedi, con cibo sporco e
insufficiente; i mali del corpo lo travagliano e con essi, più
lacerante, il male acuto dell'anima. Per la prima volta egli
dubita della sua missione, riconosce la fallacia del presagio
trova non la rassegnazione, ma finalmente un accento di
umiltà. Intanto, assiduamente, medita; indaga il senso della
propria vicenda, l'insegnamento della sciagura; scende nel più
profondo di sé medesimo, in una introspezione sofferta, da cui
esce finalmente rigenerato. La colpa che egli sconta è quella
della ribellione insensata, dell'impulsivo fraintendimento del
proprio arcano messaggio: ma non è ancora troppo tardi per
mutare indirizzo all'avvio, per riprendere daccapo la
finalmente illuminata missione. Egli sa ora di non essere
venuto a distruggere, ma a riedificare; il suo posto non è fra
i dissennati che battono dall'esterno le mura della fortezza
cattolica, ma fra coloro che dall'interno faticano per
dilatarle ai confini del mondo. Con una folgorazione subitanea
egli ha intuito l'identità assoluta fra verità razionale e
verità rivelata, non più dissidenti e neppure faticosamente
riconciliabili, ma coincidenti: il Cristo, che in gioventù
aveva umanizzato sotto la specie del Logos giovanneo, della
Sapienza trinitaria, è la Prima Ragione, destinata ad imporsi
con immediatezza assoluta agli uomini d'ogni fede, appunto
perché ciascuno di essi è essenzialmente essere razionale.
Nasce così l'ortodossia campanelliana, in un sincero
entusiasmo, che nessuna considerazione contingente alimenta e
che non deve credersi povero di rinnovato contenuto teoretico.
Alla riforma della Chiesa dall'interno son dedicati tutti gli
anni futuri del Campanella e le due opere di maggior respiro
della maturità: l'immane esposizione della Theologia e le
fervide allocuzioni del Reminiscentur, precorritrici
dell'Opera di Propaganda Fide nell'impulso di evangelizzazione
ecumenica. Così dove si era irrigidita sino ad esserne
schiantata l'assoluta intransigenza bruniana, il nativo senso
pratico del Campanella si plasmava alle esigenze della realtà
per potersi continuamente in essa inserire con la propria
azione necessaria: non si legga pieghevolezza né opportunismo
in questa duttile condotta, ma aderenza costante alla propria
missione terrena, riaffermata con tenacia eroica nei lunghi
anni dei patimenti futuri, fra le persecuzioni, i sospetti, le
umiliazioni, dal carcere all'esilio, fino alla morte. |