Il Sarpi pure scrivendo di materia umana e passionale, è molto
più geometrico di Galileo. A spiegare il suo stile non bastano
gli argomenti alieni dalle amplificazioni fantastiche, il
proposito di tenersi stretto alle cose, l'appartenenza alla
corrente scientifica del tempo. Non potremmo 'immaginare
l'autore delle lettere o dell'Istoria intento a descrivere con
una così poetica attenuazione le innumerevoli fonti del suono,
come fa Galileo in alcune celebri pagine del Saggiatore.
Il Sarpi ha una mente più severa, uno spirito più difeso
contro il sentimento: forse non soltanto i suoi studi di
scienze esatte e di filosofia, ma anche quella sua dominata ma
reale propensione verso il protestantesimo, quel suo spirito
schivo di ogni mondanità spiegano l'aspetto della sua prosa,
la più secca e la più guardinga di tutta la nostra
letteratura. Per poco gusto che si abbia per l'abbandono
sentimentale o drammatico o pittoresco, si è tentati di
considerarla come esclusa dal dominio della critica
letteraria. Machiavelli, asciutto nelle Istorie fiorentine,
tagliente e sillogistico nel Principe, è però - in confronto -
altamente drammatico e manifestamente poetico...
Sarpi, storico, ignora assolutamente il drammatico, il
pittoresco, il sentenzioso. Papini ha messo insieme un
libretto di suoi pensieri filosofici: e dall'Istoria, che
occupa più di 1300 pagine, ha potuto ricavarne a stento cinque
di riflessioni: sono sicuro che non gli è sfuggito quasi
nulla. Chi poi vi cercasse qualche passo descrittivo, farebbe
un lavoro inutile. L'Istoria va dal papato di Leon X alla
chiusura del concilio: Più di cinquant'anni: adunanze solenni,
incontri di principi, guerre, il sacco di Roma, assunzioni di
pontefici, morti di grandi, luoghi e personaggi svariatissimi
: niente seduce l'impassibile frate, niente lo induce ad
abbandonare la sua lente di microscopista delle intenzioni e
delle azioni per il pennello del pittore di uno dei più
fastosi e conturbanti secoli della storia. Attraverso quelle
centinaia e centinaia di pagine vi accompagna incessantemente
la figura del Sarpi quale lo vedete nel ritratto della
Marciana: testa ossuta, come assottigliata dall'indagine;
occhi fermi; labbra strette come ad assecondare la tensione
interna e silenziosa di quell'instancabile lavorio intorno al
motivi dei personaggi.
Il quadro, il colorito, l'aneddotica, tutto quello che quasi
ogni storico attrae e riposa, manca affatto. Un'immensa folla
di persone si agita intorno al fatto capitale del secolo:
papi, principi, parecchie nazioni di Europa; eppure non c'è un
movimento esterno, un panorama, uno spettacolo. Non uomini,
non corpi si accalcano nelle sue pagine, ma opinioni e
tendenze; le stesse passioni, gli stessi sentimenti sono come
sollevati in una sfera fredda, che non c'interesserebbe, se
non vi sentissimo come il raccoglimento del gabinetto, dove lo
scienziato studia la formazione dei fatti.
Perciò manca all'Istoria anche quello che comunemente
intendiamo per drammatico. Tutto questo non deriva soltanto
dall'impostazione dell'opera; deriva anche dal carattere del
Sarpi. Qui le lettere ci aiutano. Non c'è un epistolario di
scrittore italiano più denso di fatti, più prezioso per la
storia dell'Europa contemporanea. Ma anche qui, in tanta
varietà di avvenimenti, niente fa spettacolo o dramma. Tutto è
accennato, o smontato, o giudicato con la rapidità di chi non
ha tempo da perdere: sembra che anche il filosofare sulle cose
del mondo sia - per questo concretissimo indagatore - tempo
perso. Nelle lettere a Jéróme Groslot de l'isle ritorna spesso
sulle insidie mortali da cui è circondato, ma quasi senza
vibrazioni drammatiche: Una volta scrive: « È cosa grande che
venghi tentato sino di penetrarmi in camera: stupisco la
diligenza e l'accuratezza »: c'è un'oggettività che rasenta il
sublime.
Se non si ha una precisa idea di quest'interesse tutto
intellettuale per le vicende del mondo, non si capisce
l'Istoria, e non si regge alla lettura. È inutile cercarvi
svolte passionali, mutamenti di prospettive: la Istoria del
Sarpi manca assolutamente di ogni attrattiva. È di una
monotonia imperterrita, e perciò grandiosa. Perché in ogni
pagina c'è sempre tutto l'uomo, quell'anatomista infaticabile
degli infiniti e indistricabili moventi minimi che formano il
movimento grandioso e unico di un avvenimento. Qui si
ritrovano la solennità e la drammaticità che non s'erano
trovate negli apparati, nelle pompe, nelle lotte, celle
catastrofi.
L'introduzione tradisce, in qualche giro di parole, la
coscienza che il Sarpi ha di questa particolare epicità della
sua Istoria: e non soltanto l'appellativo che egli dà al
concilio di «Iliade del secol nostro», ma la proposizione
dell'argomento e la poderosa sintesi della fisionomia e degli
inopinati effetti del concilio hanno, pur senza una parola
sonante o sovrabbondante, il respiro della protasi di un poema
epico.
Sotto tanta intellettualità si nasconde un pensiero religioso.
Anche il movente dell'Istoria del Sarpi si potrebbe riassumere
con la frase del Bossuet: « L'homme s'agite, Dieu le mène ».
Sarpi mette senza posa in luce i disegni, i maneggi, le
coperte vie degli uomini, e conclude che Dio se n'è servito
per condurli ad un fine ben diverso da quello a cui essi
miravano. Ma l'interesse e l'anima di questa storia non sono
nel fine, bensì nei minuti procedimenti, in quel sottile e
perenne affaccendarsi degli ingegni umani per eludere le mire
degli avversari e raggiungere le proprie. La religione è nello
sfondo: la scena è occupata dalle menti degli uomini, da
questa schermaglia che rinnova continuamente gli stratagemmi.
Perciò l'Istoria è tutto un lucidissimo, fittissimo riassunto
di discorsi, di lettere, di bolle, di controversie: è la
storia d'un eterno argomentare e dissimulare. Una logica
indefettibile collega e scarnifica il procedimento dei fatti,
il loro significato, il pensiero, le intenzioni, le deficienze
intellettuali degli uomini; un occhio straordinariamente fermo
osserva le opinioni che sorgono, maturano, contrastano,
mutano. Ritrarre questo solenne agitarsi del pensiero, che si
svolge tutto nel silenzio del cervello eppure riempie di
rumore il mondo, e lo solleva e lo trasforma: questo è il tema
dell'Istoria, in apparenza così squallida e sorda. L'opera del
Sarpi rappresenta l'interiorizza mento assoluto della storia:
in essa non c'è, della storia, altro che il pensiero che la fa
e la muove; Machiavelli e Guicciardini non erano andati tanto
oltre. Sarpi si concentra e si sprofonda nel dramma
intellettuale - diplomatico e teologico - che trascina con la
sua forza silenziosa tanto dramma di guerre, stragi, scismi,
rivoluzioni di coscienze e di costumi: nessuno storico dà come
lui l'impressione che è la mente quella che informa il corso
degli eventi umani.
Fermato questo carattere dell'Istoria, si comincia a vedere in
cosa consista la sua animazione caratteristica. Guardate come
sono seguite, attraverso il filo conduttore di quell'immensa
controversia, le fila che complicano (il lavorio nella causa
d'annullamento del matrimonio di Enrico VIII; il destreggiarsi
di Paolo III per rendere impossibile il concilio mostrando di
promuoverlo); come nel regesto trapelano dalla scelta delle
parole il sentimento, la tensione, la volontà, lo stato di
coscienza del personaggio (la risposta dei protestanti di
Smalcalda alle condizioni messe innanzi da Clemente VII per il
concilio; la risposta di Lutero al Vergerio) ; con che lampi
d'ingegno sono sottolineate le insidie degli argomentanti.
Spesso siete sopraffatti da questo stile senza riposo, in cui
il congegno si modella continuamente sopra una motivazione
concentrica; ma sempre avete l'impressione d'una mente
poderosa che non si stanca. La sintassi e il vocabolario sono
d'una latinità quasi violenta: quelli che occorrevano per
disegnare, incidere, stringere nel complesso e nei particolari
un argomento così vasto e così grave, per imprimere
nell'Istoria l'immagine d'un ingegno di ferro. |