LO STILNOVO E IL TRECENTO

  • LA BALLATA DELL'ESILIO DEL CAVALCANTI
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    Autore: Pietro Paolo Trompeo Tratto da: Esempi di analisi letteraria

     
         

    La tradizione vuole che questa ballatetta sia l'ultima poesia di Guido, composta da lui già ammalato, durante quell'esilio a Sarzana da cui doveva ritornare a Firenze solo per morirvi dopo pochi giorni. C'è stato chi ha impugnato la tradizione, è vero, con argomenti che non è il caso di esporre qui e che, del resto, altri a sua volta ha creduto di dover rbattere.
    La ballatetta, comunque, mi par che riveli uno stato d'animo così nuovo al Cavalcanti, da far pensare ch'essa sia stata composta proprio in summo vitae discrimina, quando l'uomo, conscio della sua prossima fine, acquista quasi una nuova sensibilità, e i suoni della vita gli giungono affievoliti, ma pur distinti, e come congegnati in nuove armonie. L'idea della morte, che è uno dei pensieri dominanti della poesia di Guido, qui appare come trasfigurata e genera tutto un nuova ordine di sentimenti, che generano a loro volta una musica nuova. Una pacificazione, sto per dire una catarsi, è avvenuta nell'animo del poeta che sentì le forze ostili della vita premerlo con impeto di tempesta...
    La pace di Guido, nella nostra ballatetta, è quella de' vinti che accettano con rassegnazione il proprio destino. Par che lo avvolga una nebbia lentificante che toglie, sì, all'aspetto del mondo ogni durezza tagliente di linee, ma non lascia vedere il sereno e la luce. Accettazione, rassegnazione, ma non consolate dalla speranza.

    Questo poeta aveva amato intensamente la vita. L'aveva amata nella bellezza delle forme, nello splendore dei colori. Certi suoi versi, in cui trae dagli spettacoli naturali le immagini per lodare la sua donna,hanno l'ingenua, acerba verdezza di quei deliziosi Primitivi che sembrano davvero scoprire, come Adamo nel Paradiso terrestre, il mondo dei fiori, dell'erbe, degli animali

     

    Avete 'n voi li fiori e la verdura
    e ciò che luce od è bello a vedere.
    Fresca rosa novella,
    ......................
    piacente primavera
    per prata e per riviera,
    gaiamente cantando
    vostro fin pregio mando - ala verdura -.



    E con la natura, tutto quello che l'uomo ne ha tratto di buono e di bello per il proprio utile e per il proprio diletto : gli snelli navigli che corrono rapidi sullo specchio del mare come giganteschi insetti variopinti ed alati; le fulgide gemme che la mano dell'artista lega nell'argento e nell'oro; i ben ordinati tornei in cui la bellezza virile si rivela nell'eleganza di un gesto o nella fiera espressione di un volto; le dotte discussioni sull'amore che una donna gentile sa guidare secondo un ritmo di grazia

     

    Beltà di donna e di piagente core,
    e cavalier armati molto gemi,
    cantar d'augelli e ragionar d'amore,
    adorni legni in mar forte correnti,
    aria serena quand'appar l'albore,

    e bianca neve scender senza venti,
    rivera d'acqua e prato d'ogni fiore,
    oro, argento, azzurro 'n ornamenti...



    Né la resistenza è possibile contro questa forza cieca e fatale. Così dal pensiero dell'Amore rampolla quello della morte, così nascono in questo canzoniere, che è uno dei più sinceri della nostra letteratura, le immagini di guerra e di strage:

     

    Io vidi li occhi, dove amor si mise
    quando mi fece di sé pauroso;

    che mi guardar com'io fosse noioso;
    allora dico che 'l cor si divise.
    .....................
    Chi gran pena sente
    ...................
    guardi costui e vedrà lo su 'core

    che morte '1 porta 'n man tagliato in croce.

    Io vo .come colui ch'è fuor di vita,
    .....................
    che pare a chi lo sguarda come sia

    facto di rame o di pietra o di legno
    che se conduca sol per maestria
    e porti nello core una ferita
    che sia, com'egli è morto, aperto segno.



    L'Amore non è più il dolce signore che l'anima riconosce e saluta, ma un « arcier presto siriano - acconcio sol per uccidere altrui »: egli tien corte in « fero loco », ed è tal tiranno che da lui non è da sperare « altro che morte » : tratta i suoi servi come « quel de lo inferno » i malnati, e nella prigione dove li rinserra è pianto e stridore di denti come nei più cupi cerchi danteschi. La morte sola può liberare i prigionieri di questa potenza demoniaca. La morte che per Guido come per il Leopardi « ogni gran male annulla », è perciò accoratamente invocata

     

    Morte gentil, remedio de' captivi,
    merzé, merzé, a man 'giunte ti chieggio,
    viemmi a vedere e prendimi...


    Ma ora che la morte ha ascoltato il grido del poeta ed egli la sente avvicinarsi col suo passo infallibile, una pace nuova gli si diffonde nell'anima. Triste, squallida pace: la pace del vinto. Quante rovine da constatare! Il corpo è disfatto, abbattuta la forza della mente, e la voce, che si dispone a cantare, ridotta a un povero soffio. C'è tuttavia, nella ballatetta, l'eco paurosa della gran battaglia finita e c'è, a momenti il timore che l'orrendo tumulto non debba ricominciare. Ma il sentimento che domina nella poesia e ne governa l'intimo ritorno è di una dolce, riposata mestizia:

     

    Perch'i' no' spero di tornar giammai,
    ballatetta, in Toscana,

    va tu leggera e piana
    dritta la Donna mia
    che per sua cortesia
    ti farà molto onore.


    Quel « giammai » così in fine di verso, è un singhiozzo del cuore, ma l'inciso del vocativo « ballatetta » ha la grazia d'una mesta carezza, e i settenari a rima baciata, che s'inseguono con pacato balbettio, sono di una gentilezza incomparabile. Nel congegno delle singole stanze il ritorno di questi gracili settenari, dopo il respiro più largo degli endecasillabi, è come il lieve risucchio dell'onda che si ritrae dopo che si è rovesciata sulla spiaggia:

     

    Tu porterai novelle di sospiri,
    piene di doglia e di molta paura;
    ma guarda che persona non ti miri
    che sia nemica di gentil natura;
    ché certo per la mia disaventura

    tu saresti contesa
    tanto da lei ripresa,
    che mi sarebbe angoscia,
    dopo la morte poscia
    pianto e novel dolore.


    « Paura », « nemica », « contesa » : ancora qualche immagine di guerra.
    Più in giù è il cuore che « si sbatte forte », la persona « distrutta », l'anima che a trema » e in quel povero soffio di voce lo sbigottimento di chi ha troppo sofferto, Ritornano qua e là in questo poetico adagio, senza punto alterare il melodioso svolgimento, alcuni accordi dei tempestosi allegri cavalcantiani.

     

    Tu senti, ballatetta, che la morte
    mi stringe si che vita m'abbandona,
    e senti come 'l cor mi sbatte forte
    per quel che ciascun spirito ragiona.
    Tanto è distrutta già la mia persona
    ch'i' non posso soffrire
    se tu mi vuo' servire
    mena l'anima teco,
    molto di ciò ti greco,
    quando uscirà del core.
    Deh, ballatetta, alla tua amistate
    quest'anima che trema raccomando
    menala teco nella sua pietate
    a quella bella donna a cui ti mando,
    Deh, ballatetta, dille sospirando .
    quando le se' presente:
    questa vostra servente
    viene per star con vui,
    partita da colui
    che fu servo d'amore.



    « Ballatetta... », « ballatetta... », « ballatetta... ». Ancora i teneri vocativi, le dolci inflessioni, le meste carezze. Chi pensa più, in tanta soavità di cadenze, a trovar artifiziosa quella personificazione della ballatetta. E chi pensa a domandarsi freddamente che cosa potesse significare per Guido quell'accenno alla sopravvivenza dell'anima al corpo, se la concezione averroistica, che sembra fosse la sua, non ammette tale sopravvivenza?

     

    Tu, voce sbigottita e deboletta,
    ch'esci piangendo da lo cor dolente,
    coll'anima e con questa ballatetta
    va ragionando de la strutta mente.
    Voi troverete una Donna piacente
    di sì dolce intelletto
    che vi sarà diletto
    davanti starle ognora.
    Anima, e tu l'adora
    sempre nel su' valore.


    Quando il cuore avrà cessato di battere, si sarà dissolta anche la forza intellettuale che distingue l'uomo dal bruto. La Morte avrà avuto tutta la sua preda.
    Ma il poeta, che istintivamente ripugna all'annullamento totale, pensa di sopravvivere nel suo canto e perciò quasi immedesima la ballatetta, la voce e l'anima in un'unica persona, ch'egli invia alla Donna amata per un'adorazione che non cesserà mai più.

     

    Anima, e tu l'adora
    sempre nel su' valore.





    Ci abbia o non ci abbia pensato il poeta, al « giammai > del primo verso risponde questo « sempre > dell'ultimo, quasi a significare la rivincita dello spirito sulle cieche forze della materia.
    « Sempre », « adora » le grandi parole della liturgia (Adoramus te... et nunc et sempre... sine fine dicentes...) ritornano smarrite, sulle labbra del poeta incredulo, e l'anima sua, offerta in omaggio alla Donna amata, é come una lampada votiva che arde di giorno e di notte nell'ombra della nicchia dove si venera un'immagine santa.
     

     
         
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    Letteratura italiana 2002 - Luigi De Bellis