CRITICA: TORQUATO TASSO

 IL SENTIMENTO, GENIO DEL TASSO

 AUTORE: Francesco De Sanctis    TRATTO DA: Storia della letteratura italiana

 

L'intreccio fondamentale del poema è un romanzo fantastico a modo ariostesco, un'Angelica che fa perdere il senno a Orlando, e un Astolfo che fa un viaggio fantastico per ricuperarglielo. Hai Armida che innamora Rinaldo, e Ubaldo che attraversa l'Oceano per guarirlo con lo specchio della ragione. Angelica e Armida sono maghe tutt'e due, e istrumenti di potenze infernali, ma sono donne innanzi tutto, e la loro più pericolosa magia sono i vezzi e le lusinghe. Come Angelica, così Armida si tira appresso i guerrieri cristiani e li tien lontani dal campo; né vi manca l'altro mezzo ariostesco, la discordia, che produce la morte di Gernando, l'esilio volontario di Rinaldo e la cattività di Argillano. Da queste cause, le quali non sono altro che le passioni sciolte da ogni freno di ragione e svegliate da vane apparenze, escono le infinite avventure dell'Ariosto e le poche del Tasso annodate intorno alla principale, Armida e Rinaldo...

Su quel fondo romanzesco il Tasso edifica un nuovo mondo poetico, e qui è la sua creazione, qui sviluppa le sue grandi qualità. È un mondo lirico, subiettivo e musicale, riflessivo della sua anima petrarchesca, e, per dirlo in una parola, è un mondo sentimentale.
È un sentimento idillico ed elegiaco che trova nella natura e nell'uomo le note più soavi e più delicate. Già questo sentimento si era sviluppato al primo apparire del Risorgimento nel Poliziano e nel Pontano, deviato e sperduto fra tanto incalzare di novelle, di commedie e di romanzi. L'idillio era il riposo di una società stanca, la quale, mancata ogni serietà di vita pubblica e privata, si rifuggiva ne' campi, come l'uomo stanco cercava pace ne' conventi. Sopravvennero le agitazioni e i disordini dell'invasione straniera; e quando fine della lotta fu un'Italia papale e spagnuola, perduta ogni libertà di pensiero e di azione, e mancato ogni alto scopo della vita, l'idillio ricomparve con più forza, e divenne l'espressione più accentuata della decadenza italiana. Solo esso è forma vivente fra tante forme puramente letterarie.
L'idillio italiano non è imitazione, ma è creazione originale dello spirito. Già si annunzia nel Petrarca, quale si afferma nel Tasso, un dolce fantasticare tra' mille suoni della natura. L'anima ritirata in sé è malinconica e disposta alla tenerezza, e senti la sua presenza e il suo accento in quel fantasticare. La natura diviene musicale, acquista una sensibilità, manda fuori con le sue immagini mormorii e suoni, voci della vita interiore. Prevale nell'uomo la parte femminile, la grazia, la dolcezza, la pietà, la tenerezza, la sensibilità, la voluttà e la lacrima, tutto quel complesso di amabili qualità che dicesi il sentimentale. I popoli, come gl'individui, nel pendio della loro decadenza diventano nervosi, vaporosi, sentimentali. Non è un sentimento che venga dalle cose, ciò che è proprio della sanità, ma è un sentimento che viene dalla loro anima troppo sensitiva e lacrimosa. Manca la forza epica di attingere la realtà in sé stessa, e questa vita femminile è un tessuto di tenere e dolci illusioni, nelle quali l'anima effonde la sua sensibilità. Il sentimentale è perciò essenzialmente lirico e subiettivo. Come il lavoro è tutto al di dentro, ci si sente l'opera dello spirito, non so che manifatturato, la cosa non colta nella naturalezza e semplicità della sua esistenza, ma divenuta un fantasma e un concetto dello spirito.

Il Tasso cerca .l'eroico, il serio, il reale, lo storico, il religioso, il classico, e si logora in questi tentativi fino all'ultima età. Sarebbe riuscito un Trissino, mala natura lo aveva fatto un poeta, il poeta inconscio d'un mondo lirico e sentimentale, che succedeva al mondo ariostesco. A quest'ufficio ha tutte le qualità di poeta e di uomo. L'uomo è fantastico, appassionato, malinconico, di una perfetta sincerità e buona fede. Il poeta è tutto musica e spirito, concettoso insieme e sentimentale. La sua immaginazione non è chiusa in sé, come in un ultimo termine, a quel modo che dal Boccaccio all'Ariosto si rivela nella poesia, ma è penetrata di languori, di lamenti, di concetti e di sospiri, e va diritto al cuore. L'Ariosto dice:

 

In sì dolci atti, in sì dolci lamenti,
Che parca ad ascoltar fermare ; venti.


Il sentimento appena annunziato si scioglie in una immagine fantastica. Il Tasso dice:

 

In queste voci languide risuona
Un non so che di flebile e soave,
Ch'al cor gli serpe ed ogni sdegno ammorza,
E gli occhi a lacrimar gl'invoglia e sforza.


Nella forma ariostesca ci è una virtù espansiva, che rimane superiore all'emozione, e-cerca il suo riposo non nel particolare, ma nell'insieme: qualità della forza. Nella forma del Tasso ci è l'impressionabilità, che turba l'equilibrio e la serenità della mente, e la trattiene intorno alla sua emozione: l'immagine si liquefà e diviene un « non so che », annunzio dell'immagine che cessa e dell'emozione che soverchia:

 

E un non so che confuso instilla al core
Di pietà, di spavento e di dolore.


Anche tra' furori delle battaglie la nota prevalente è l'elegiaca, come nella ottava:

 

Giace il cavallo al suo signore appresso.


Ne' casi di morte gli riesce meglio l'elegiaco che l'eroico. Aladino che cadendo morde la terra ove regnò è grottesco. Solimano, che

 

gemito non spande,
Né atto fa se non altero e grande,


ti offre un'immagine indistinta. Argante muore come Capaneo, ma la forma è concettosa e insieme vaga, e quelle voci e que' moti « superbi, formidabili, feroci » non ti dànno niente di percettibile avanti all'immaginazione. L'idea in queste forme rimane intellettuale, non diviene arte. Al contrario precise, anzi pittoresche sono le immagini di Dudone, di Lesbino, de' figli di Latino, di Gildippe ed Odoardo, dove le note caratteristiche sono la grazia e la dolcezza. Così è pure nella morte di Clorinda, ispirazione petrarchesca con qualche reminiscenza di Dante. Clorinda è Beatrice nel punto che parca dire: « Io sono in pace »; ma è una Beatrice spogliata de' terrori - e degli splendori della sua divinità. Il sole non si oscura, la terra non trema, e gli angioli non scendono come pioggia di manna. La religione del Tasso è timida, ci è innanzi a lui il ghigno del secolo, ma dissimulato sotto l'occhio dell'inquisitore. L'elemento religioso era ammesso come macchina poetica, a quel modo che la mitologia: tale è l'angiolo di Tortosa, e Plutone, messi insieme. È una macchina insipida in tutti nostri epici, perché convenzionale, e non meditata nelle sue profondità. Gli angioli del Tasso sono luoghi comuni, e il suo Plutone, se guadagna come scultura, è superficialissimo come spirito, e parla come un maestro di rettorica. La parte attiva e interessante è affidata alla magia, ancora in voga a quel tempo, dalla quale il Tasso trae tutto il suo maraviglioso. La morte di Clorinda non è una trasfigurazione, come quella di Beatrice, e si accosta al carattere elegiaco e malinconico di quello di Laura, nel cui bel volto Morte bella parca. Qui tutto é preciso e percettibile, il plastico è fuso col sentimentale, il riposo idillico col patetico, e l'effetto è un raccoglimento muto e solenne di una pietà senz'accento, come suona in questa immagine nel suo fantastico così umana e vera e semplice, perché rispondente alle reali impressioni e parvenze di un'anima addolorata:

 

In lei converso
Sembra per la pietate il cielo e il sole...


Il vero eroe del poema è Tancredi, che è il Tasso stesso miniato, personaggio lirico e subiettivo, dove penetra il soffio di tempi più moderni, come in Amleto. Tancredi è gentiluomo; cioè cavalleresco nel senso più delicato e nobile, gagliardo e destro più che gigantesco di corpo, malinconico, assorto, flebile, amabile, consacrato da un amore infelice. La sua Clorinda è una Camilla battezzata, tradizione virgiliana che al momento della morte si rivela dantesca e petrarchesca. Carattere muto, diviene intelligibile e umano in morte, come Beatrice e Laura. La sua apparizione a Tancredi ricorda quella di Laura, ed è una delle più felici imitazioni. La formazione poetica della donna non fa in Clorinda alcun passo: rimane reminiscenza petrarchesca. E se vuoi trovare l'ideale femminile compiutamente realizzato nella vita in quel suo complesso di amabili qualità, déi cercarlo non nella donna, ma nell'uomo, nel Petrarca e nel Tasso, caratteri femminili nel senso più elevato, e in questa simpatica e immortale creatura del Tasso, il Tancredi. Si è detto che l'uomo nella sua decadenza tenda al femminile, diventi nervoso, impressionabile, malinconico. Il simile è de' popoli. E lo spirito italiano fa la sua ultima apparizione poetica tra' languori e i lamenti dell'idillio e dell'elegia, divenuto sensitivo e delicato e musicale. II sentimento è il genio del Tasso, che gli fa rompere la superficie ariostesca, e gli fa cavare di là dentro i primi suoni dell'anima. L'uomo non è più al di fuori, si ripiega, si raccoglie. Lo stesso Argante è colpito da questo sublime raccoglimento innanzi alla caduta di Gerusalemme, come il poeta innanzi alle rovine di Cartagine, o quando nell'immensità dell'Oceano concepisce e comprende Colombo. Qui è l'originalità e la creazione del gran poeta, che sorprende Solimano nelle sue lacrime e Tancredi nella sua vanagloria. Vita intima, della quale dopo Dante e il Petrarca si era perduta la memoria.

 

Aggiornamenti 2002 - Luigi De Bellis