L'intreccio fondamentale del poema è un romanzo fantastico a
modo ariostesco, un'Angelica che fa perdere il senno a
Orlando, e un Astolfo che fa un viaggio fantastico per
ricuperarglielo. Hai Armida che innamora Rinaldo, e Ubaldo che
attraversa l'Oceano per guarirlo con lo specchio della
ragione. Angelica e Armida sono maghe tutt'e due, e istrumenti
di potenze infernali, ma sono donne innanzi tutto, e la loro
più pericolosa magia sono i vezzi e le lusinghe. Come
Angelica, così Armida si tira appresso i guerrieri cristiani e
li tien lontani dal campo; né vi manca l'altro mezzo
ariostesco, la discordia, che produce la morte di Gernando,
l'esilio volontario di Rinaldo e la cattività di Argillano. Da
queste cause, le quali non sono altro che le passioni sciolte
da ogni freno di ragione e svegliate da vane apparenze, escono
le infinite avventure dell'Ariosto e le poche del Tasso
annodate intorno alla principale, Armida e Rinaldo...
Su quel fondo romanzesco il Tasso edifica un nuovo mondo
poetico, e qui è la sua creazione, qui sviluppa le sue grandi
qualità. È un mondo lirico, subiettivo e musicale, riflessivo
della sua anima petrarchesca, e, per dirlo in una parola, è un
mondo sentimentale.
È un sentimento idillico ed elegiaco che trova nella natura e
nell'uomo le note più soavi e più delicate. Già questo
sentimento si era sviluppato al primo apparire del
Risorgimento nel Poliziano e nel Pontano, deviato e sperduto
fra tanto incalzare di novelle, di commedie e di romanzi.
L'idillio era il riposo di una società stanca, la quale,
mancata ogni serietà di vita pubblica e privata, si rifuggiva
ne' campi, come l'uomo stanco cercava pace ne' conventi.
Sopravvennero le agitazioni e i disordini dell'invasione
straniera; e quando fine della lotta fu un'Italia papale e
spagnuola, perduta ogni libertà di pensiero e di azione, e
mancato ogni alto scopo della vita, l'idillio ricomparve con
più forza, e divenne l'espressione più accentuata della
decadenza italiana. Solo esso è forma vivente fra tante forme
puramente letterarie.
L'idillio italiano non è imitazione, ma è creazione originale
dello spirito. Già si annunzia nel Petrarca, quale si afferma
nel Tasso, un dolce fantasticare tra' mille suoni della
natura. L'anima ritirata in sé è malinconica e disposta alla
tenerezza, e senti la sua presenza e il suo accento in quel
fantasticare. La natura diviene musicale, acquista una
sensibilità, manda fuori con le sue immagini mormorii e suoni,
voci della vita interiore. Prevale nell'uomo la parte
femminile, la grazia, la dolcezza, la pietà, la tenerezza, la
sensibilità, la voluttà e la lacrima, tutto quel complesso di
amabili qualità che dicesi il sentimentale. I popoli, come
gl'individui, nel pendio della loro decadenza diventano
nervosi, vaporosi, sentimentali. Non è un sentimento che venga
dalle cose, ciò che è proprio della sanità, ma è un sentimento
che viene dalla loro anima troppo sensitiva e lacrimosa. Manca
la forza epica di attingere la realtà in sé stessa, e questa
vita femminile è un tessuto di tenere e dolci illusioni, nelle
quali l'anima effonde la sua sensibilità. Il sentimentale è
perciò essenzialmente lirico e subiettivo. Come il lavoro è
tutto al di dentro, ci si sente l'opera dello spirito, non so
che manifatturato, la cosa non colta nella naturalezza e
semplicità della sua esistenza, ma divenuta un fantasma e un
concetto dello spirito.
Il Tasso cerca .l'eroico, il serio, il reale, lo storico, il
religioso, il classico, e si logora in questi tentativi fino
all'ultima età. Sarebbe riuscito un Trissino, mala natura lo
aveva fatto un poeta, il poeta inconscio d'un mondo lirico e
sentimentale, che succedeva al mondo ariostesco. A
quest'ufficio ha tutte le qualità di poeta e di uomo. L'uomo è
fantastico, appassionato, malinconico, di una perfetta
sincerità e buona fede. Il poeta è tutto musica e spirito,
concettoso insieme e sentimentale. La sua immaginazione non è
chiusa in sé, come in un ultimo termine, a quel modo che dal
Boccaccio all'Ariosto si rivela nella poesia, ma è penetrata
di languori, di lamenti, di concetti e di sospiri, e va
diritto al cuore. L'Ariosto dice:
In sì dolci atti, in sì dolci lamenti,
Che parca ad ascoltar fermare ; venti. |
Il sentimento appena annunziato si scioglie in una immagine
fantastica. Il Tasso dice:
In queste voci languide risuona
Un non so che di flebile e soave,
Ch'al cor gli serpe ed ogni sdegno ammorza,
E gli occhi a lacrimar gl'invoglia e sforza. |
Nella forma ariostesca ci è una virtù espansiva, che rimane
superiore all'emozione, e-cerca il suo riposo non nel
particolare, ma nell'insieme: qualità della forza. Nella forma
del Tasso ci è l'impressionabilità, che turba l'equilibrio e
la serenità della mente, e la trattiene intorno alla sua
emozione: l'immagine si liquefà e diviene un « non so che »,
annunzio dell'immagine che cessa e dell'emozione che
soverchia:
E un non so che confuso instilla al core
Di pietà, di spavento e di dolore. |
Anche tra' furori delle battaglie la nota prevalente è
l'elegiaca, come nella ottava:
Giace il cavallo al suo signore appresso. |
Ne' casi di morte gli riesce meglio l'elegiaco che l'eroico.
Aladino che cadendo morde la terra ove regnò è grottesco.
Solimano, che
gemito non spande,
Né atto fa se non altero e grande, |
ti offre un'immagine indistinta. Argante muore come Capaneo,
ma la forma è concettosa e insieme vaga, e quelle voci e que'
moti « superbi, formidabili, feroci » non ti dànno niente di
percettibile avanti all'immaginazione. L'idea in queste forme
rimane intellettuale, non diviene arte. Al contrario precise,
anzi pittoresche sono le immagini di Dudone, di Lesbino, de'
figli di Latino, di Gildippe ed Odoardo, dove le note
caratteristiche sono la grazia e la dolcezza. Così è pure
nella morte di Clorinda, ispirazione petrarchesca con qualche
reminiscenza di Dante. Clorinda è Beatrice nel punto che parca
dire: « Io sono in pace »; ma è una Beatrice spogliata de'
terrori - e degli splendori della sua divinità. Il sole non si
oscura, la terra non trema, e gli angioli non scendono come
pioggia di manna. La religione del Tasso è timida, ci è
innanzi a lui il ghigno del secolo, ma dissimulato sotto
l'occhio dell'inquisitore. L'elemento religioso era ammesso
come macchina poetica, a quel modo che la mitologia: tale è
l'angiolo di Tortosa, e Plutone, messi insieme. È una macchina
insipida in tutti nostri epici, perché convenzionale, e non
meditata nelle sue profondità. Gli angioli del Tasso sono
luoghi comuni, e il suo Plutone, se guadagna come scultura, è
superficialissimo come spirito, e parla come un maestro di
rettorica. La parte attiva e interessante è affidata alla
magia, ancora in voga a quel tempo, dalla quale il Tasso trae
tutto il suo maraviglioso. La morte di Clorinda non è una
trasfigurazione, come quella di Beatrice, e si accosta al
carattere elegiaco e malinconico di quello di Laura, nel cui
bel volto Morte bella parca. Qui tutto é preciso e
percettibile, il plastico è fuso col sentimentale, il riposo
idillico col patetico, e l'effetto è un raccoglimento muto e
solenne di una pietà senz'accento, come suona in questa
immagine nel suo fantastico così umana e vera e semplice,
perché rispondente alle reali impressioni e parvenze di
un'anima addolorata:
In lei converso
Sembra per la pietate il cielo e il sole... |
Il vero eroe del poema è Tancredi, che è il Tasso stesso
miniato, personaggio lirico e subiettivo, dove penetra il
soffio di tempi più moderni, come in Amleto. Tancredi è
gentiluomo; cioè cavalleresco nel senso più delicato e nobile,
gagliardo e destro più che gigantesco di corpo, malinconico,
assorto, flebile, amabile, consacrato da un amore infelice. La
sua Clorinda è una Camilla battezzata, tradizione virgiliana
che al momento della morte si rivela dantesca e petrarchesca.
Carattere muto, diviene intelligibile e umano in morte, come
Beatrice e Laura. La sua apparizione a Tancredi ricorda quella
di Laura, ed è una delle più felici imitazioni. La formazione
poetica della donna non fa in Clorinda alcun passo: rimane
reminiscenza petrarchesca. E se vuoi trovare l'ideale
femminile compiutamente realizzato nella vita in quel suo
complesso di amabili qualità, déi cercarlo non nella donna, ma
nell'uomo, nel Petrarca e nel Tasso, caratteri femminili nel
senso più elevato, e in questa simpatica e immortale creatura
del Tasso, il Tancredi. Si è detto che l'uomo nella sua
decadenza tenda al femminile, diventi nervoso,
impressionabile, malinconico. Il simile è de' popoli. E lo
spirito italiano fa la sua ultima apparizione poetica tra'
languori e i lamenti dell'idillio e dell'elegia, divenuto
sensitivo e delicato e musicale. II sentimento è il genio del
Tasso, che gli fa rompere la superficie ariostesca, e gli fa
cavare di là dentro i primi suoni dell'anima. L'uomo non è più
al di fuori, si ripiega, si raccoglie. Lo stesso Argante è
colpito da questo sublime raccoglimento innanzi alla caduta di
Gerusalemme, come il poeta innanzi alle rovine di Cartagine, o
quando nell'immensità dell'Oceano concepisce e comprende
Colombo. Qui è l'originalità e la creazione del gran poeta,
che sorprende Solimano nelle sue lacrime e Tancredi nella sua
vanagloria. Vita intima, della quale dopo Dante e il Petrarca
si era perduta la memoria. |