Paradiso: canto I
Dante afferma che materia del suo canto sarà la
visione del paradiso, o almeno ciò che la memoria può ricordare di quella
realtà ineffabile. Perciò è necessario invocare l'intervento di Apollo,
affinché, di fronte alla difficoltà dell'argomento della terza cantica,
aggiunga il suo aiuto a quello delle Muse, che già hanno soccorso il Poeta
nella composizione dell'Inferno e del Purgatorio. Solo così Dante sarà
sicuro di poter cingere un giorno la corona di poeta, consapevole di
aprire, con il suo esempio, una strada sulla quale lo potranno seguire
anche miglior voci. E' l'alba quando Dante, imitando Beatrice che teneva
gli occhi fissi sul sole, volge il suo sguardo verso la lucerna del mondo,
che gli appare di uno splendore luminosissimo. Poi gli occhi del Poeta
tornano a guardare la donna amata e in questo momento si opera il suo
trasumanar, cioè il suo innalzarsi oltre ogni limite umano, poiché inizia
ora per lui l'ascesa verso i cieli attraverso la sfera dell'aria e quella
del fuoco. Il ruotare delle sfere celesti provoca un suono armonioso, che
riempie di stupore il Poeta, per il quale costituivano già motivo di
profonda meraviglia i bagliori, più luminosi del solito, del sole.
Beatrice gli rivela allora che egli non si trova più sulla terra, ma che
sta salendo verso i cieli. Tuttavia un altro dubbio tormenta Dante: come è
possibile che il suo corpo possa passare attraverso le regioni dell'aria e
del fuoco? La spiegazione di Beatrice esamina la presenza, in ogni essere
creato, di una inclinazione naturale che lo porta a tendere ad una meta
specifica: ora il fine ultimo dell'uomo è quello di raggiungere l'Empireo,
il cielo creato per essere la sua sede, e verso di esso ogni creatura
umana sale dopo che è stato rimosso in lei l'ostacolo del
peccato.
Introduzione critica
Una vecchia distinzione della
Una vecchia distinzione della
critica, sostenuta in modo particolare da V. Rossi, poneva a fondamento
della diversa ispirazione delle tre cantiche una diversità di momenti
psicologici, originati dalle molteplici vicende della vita di Dante.
L’Inferno sarebbe nato nel periodo immediatamente seguente all’esilio,
pieno di rancori e di lotte, il Purgatorio nel momento della discesa in
Italia di Arrigo VII, allorché l’animo si apriva alla speranza, il
Paradiso negli ultimi anni, quando il Poeta, ormai stanco e rassegnato al
crollo delle sue aspirazioni terrene, si era chiuso in se stesso,
riponendo in Dio ogni speranza. Questa suddivisione della Commedia in
termini biografici distrugge il senso più profondo della visione di Dante,
la quale si è proposta come oggetto della sua meditazione e della sua
rappresentazione l’itinerarium mentis in Deum, per usare
l’espressione cara alla letteratura filosofica e religiosa del
Medioevo.L’impulso dell’umano verso il divino c-, come afferma il Parodi,
"l’intima essenza dello spirito di Dante" e, quindi, "l’essenza
dell’intero poema": la lotta con il peccato, poi l’aprirsi dell’anima al
divino, infine il divino che trionfa e attira a sé definitivamente
l’umano. In questa Prospettiva deve essere collocata la lettura del
Paradiso: compito del Poeta è quello di ritrarre il passaggio della
propria anima attraverso i successivi gradi di cui si compone
l’accostamento alla verità e al bene supremi. E’ evidente perciò l’estrema
importanza che rivestono i versi di apertura del primo canto, i quali, con
una commozione che sottolinea la solennità di questo momento, dichiarano
la trascendenza dell’ispirazione, l’orgoglio di chi è consapevole di
trasfondere nella propria opera tutta la sua dottrina e la sua
sensibilità, e insieme l’umiltà di chi avverte la propria limitatezza di
fronte alla rappresentazione del beato regno. Esatto appare quindi
il giudizio di chi vede nella "proposizione " e nell’ "invocazione", della
terza cantica la più grande esaltazione della poesia che Dante abbia
fatto.La terza cantica, infatti, deve essere letta come " la storia
oggettiva di una vita che si eleva attraverso progressi e esperienze al
supremo grado della luce", per cui " il Poeta ritrae le scene nella loro
obiettiva realtà, descrive il crescere di un’anima col massimo possibile
di coerenza narrativa. Il poema rimane l’epica di uno spirito cristiano
che va ora percorrendo le vie della Gerusalemme celeste; l’attenzione di
chi scrive è interamente concentrata nella considerazione e nella resa di
qualcosa di obiettivo, reale..." (Montano). Il primo canto, inoltre, ci
prepara a vedere il Paradiso come il mondo della verità, nel quale
appressando sé al Suo disire, nostro intelletto si profonda
tanto..., perché il Poeta, come gran parte della Scolastica, è
sorretto dal convincimento che "la forma del vivere umano più alta e più
vicina a Dio è quella legata all’attività dell’intelligenza" (Montano),
solo che il vero si identifica ora con l’amore, i due aspetti del divino
che Dante chiuderà nella sintesi di un verso: Il viaggio dunque si
presenta come l’esperienza del vero e dell’amore: infatti ai versi 7-9,
che possono far pensare ancora alle rarefatte speculazioni del Convivio il
Poeta contrappone l’ultima parte del canto, dove da Beatrice, cioè dalla
verità stessa, ha la rivelazione del l’armonia universale del creato,
dell’amore divino che riempie tutte le cose, unendole fra loro e
subordinan dole a sé. E’ un gioioso approdo, una esaltante visioni
dell’unità del reale, che ben può introdurre il tema del l’amore
ricorrente in ogni passo della cantica, un amore privo di qualsiasi
calcolo, diventato luce e grazia.Il Poeta deve chiedere alla sua arte di
diventare ancora più profonda e delicata di quella che aveva creato il
dolce color d’oriental zaffiro dell’atmosfera purgatoriale. perché
sia possibile seguire le rapide conquiste e le improvvise accensioni
dell’animo nella sua ascesa verso Dio. A chi si aspetta nel Paradiso
soltanto il tono descrittivo e disteso, pacato e solenne, proprio di chi
vede le cose dall’alto, dalla serenità di una meta ormai raggiunta, si può
rispondere che tale tono è sì presente, ma non dovunque, perché il Poeta,
che ha ormai attinto la visione suprema e si propone dì ripercorrerne le
tappe, rivive ogni singola fase lasciando intatto il sapore della
scoperta, dello sforzo, della conquista. Basti pensare, come esempio, al
rapido e illuminante succedersi nel primo canto, di momenti diversi dai
versi 46-48 ai versi 85-87: qui la tecnica espressiva (verbi e sostantivi
in posizione dominante, assenza quasi assoluta dell’aggettivazione,
costruzione per coordinate) contrappone al tono elaborato e solenne
dell’invocazione iniziale o della spiegazione finale di Beatrice, un
procedere sbalzato a grandi linee, una variazione continua di stati di
anima e d’azioni, quasi il Poeta fosse sospinto da una ansia interiore e
si scoprisse incapace di arginarla, finche il suo animo trova momentaneo
riposo nella rivelazione della legge divina che regola e sostiene il
creato. L’attenzione a questi mutamenti, interessanti dal punto di vista
stilistico, perché concorrono a creare efficaci e suggestivi chiaroscuri,
diventa indispensabile allorché si passi a considerare l’unità logica del
canto troppo spesso accusato di mancare di continuità:
l’esordio, con la
celebrazione dell’argomento scelto a
materia del canto, e la maestosa
rappresentazione del cielo e della terra (versi 37-45) immettono subito il
lettore nel mondo del sovrannaturale, lo abituano agli eventi miracolosi
di cui il pellegrino sarà testimone, o addirittura oggetto. Ha inizio la
prima fase del processo dello spirito nella beatitudine: Beatrice tutta
nell’alterne rote fissa con li occhi stava; ed io in lei le luci
fissi... Ma perché la creatura sta perfettamente consapevole che il
suo ritorno al cielo è un fatto "naturale", che anzi il cielo è il sito
decreto dall’eternità come sua sede, ecco la dimostrazione di Beatrice:
il gran mar dell’essere si muove tutto secondo la divina volontà e
il divino amore: l’uomo non è che una parte di questo gran mar, ma
solo a lui è destinato il ciel reso quieto dalla luce di
Dio.
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