Paradiso: canto V
La prima parte del canto quinto è
occupata dalla spiegazione con la quale Beatrice risponde alla domanda di
Dante riguardante la possibilità di compensare i voti non adempiuti con
altre opere buone. Ella dapprima dimostra la santità del voto: con esso,
infatti, l’uomo fa sacrificio a Dio del dono più grande ricevuto dal suo
Creatore, quello del libero arbitrio. Non può, dunque, usare nuovamente
della libertà che egli ha offerto a Dio con un atto della propria volontà.
Per prevenire una nuova domanda di Dante (perché, allora, la Chiesa può
dispensare dal voto?), Beatrice distingue nel voto i due elementi
essenziali: la materia e il patto. La prima può essere mutata, ma solo con
il permesso della Chiesa e solo se la nuova offerta è superiore, in
valore, alla prima. Il secondo non può essere cancellato se non quando il
voto è stato adempiuto completamente. Da qui deriva la necessità, per i
cristiania di riflettere attentamente prima di offrire voti che non
possono mantenere. Beatrice e Dante ascendono poi al secondo cielo, quello
di Mercurio, nel quale si trovano le anime di coloro che in vita operarono
il bene per conseguire onore e gloria. Uno spirito si rivolge al Poeta
dichiarandosi pronto a soddisfare, in nome della carità, ogni sua domanda.
Dante chiede di poter conoscere il nome di quest’anima e il motivo per cui
essa gode del grado di beatitudine proprio del cielo di Mercurio.
Introduzione critica
Abbiamo parlato, a proposito del canto quarto,
dell’esaltazione dei valori umani che caratterizza la poesia della terza
cantica e del mirabile congiungersi di questi valori al mondo della fede.
Tale motivo riceve nel canto quinto una trattazione particolare,
configurandosi come celebrazione della volontà e della libertà
individuali. Il Paradiso non è solo mistica contemplazione di immagini di
luce e di realtà sovrannaturali, in contrapposizione all’Inferno - dove il
Poeta avrebbe cantato, nelle figure di Francesca, Farinata, Brunetto
Latini, Ulisse, i valori più degni di ammirazione, anche se realizzati
fuori della Grazia - bensì appare animato, soprattutto nella prima parte,
dalla consapevolezza della nobiltà e dell’altezza delle doti umane, morali
e intellettuali. Queste virtù non hanno più il proprio fine e il proprio
compenso in se stesse, come aveva sostenuto lo stesso Dante nel Convivio,
seguendo le orme di Aristotile, ma avvertono l’esigenza di una direzione
extranaturale che conferisca loro un significato perennemente valido. Per
questo motivo il Poeta esamina e risolve il problema del voto alla luce
dell’autorità della Chiesa, rappresentante del Dio in terra. Viene Cosi
rilevata un’altra caratteristica del canto: l’interesse pratico che
rivestono i temi trattati, i quali, lungi dall’essere di natura
filosofica, riguardano la condotta dei fedeli, la vita della Chiesa. In
questa visione prende il necessario rilievo la apostrofe di Beatrice,
accorata protesta contro coloro che non accettano i doveri che il cammino
nell’ambito della Chiesa impone.Nella disquisizione del canto quarto
riguardante l’ordinamento morale del paradiso e la distinzione della
volontà in relativa ed assoluta la fantasia appariva subordinata al
procedimento didascalico-teologico; il Poeta usava modi precisi, chiari,
sforzandosi di riprodurre esattamente la cosa contemplata o sentita, senza
divagare nel lirico o abusare di mezzi espressivi retorici. Nel quinto,
invece, il discorso, anche se appare tutto teso a rendere manifesta la
forza della verità che fuga ogni ombra e disperde ogni incertezza, non
diventa un’arida trasposizione in versi di una pagina di teologia, come
vorrebbe il Vossler, bensì assume uno svolgimento animato, ricco di
richiami alla realtà di tutti i giorni e di immagini concrete (versi
29-30; 32-33; 37-39; 55-57; 5960; 61-63;74-75; 82-84), di acute sentenze
(versi 40-42) e di momenti venati di commozione (versi 70-72), di solenni
avvertimenti (versi 64-65; 73-80) e di punte polemiche (versi 66-69;
81).Il Chiari divide questo canto in cinque momenti, chiamando il primo
(versi 1-12) "stupefatto silenzio", il secondo (versi 13-85) "dottrinale",
il terzo (versi 86-99) "incantante letizia ", il quarto (versi i 00- 114)
"celebrazione della carità", il quinto (versi 115-139) "celebrazione
esaltante della grandezza ". Questa divisione, che ha valore puramente
esterno, è utile come elemento riassuntivo dei motivi del canto, la cui
trama, dunque, si presenta ricca e complessa. Tuttavia il Chiari non ha
rilevato che un motivo prevale su tutti gli altri: quello del rapimento
della mente umana nella graduale contemplazione delle verità
sovrannaturali. Il Montanari osserva a questo proposito: "tale rapimento,
appunto perché rapimento, non è di pura conoscenza teoretica, bensì di
contemplazione amorosa: la teologia nulla toglie all’amore, ma anzi lo
perfeziona elevandolo a reale amore soprannaturale, a carità gratuita ed
incondizionata che si identifica con la vita stessa divina operante
nell’uomo, sì da condurlo a vedere tutta la realtà, di grado in grado,
nella superiore luce divina". Questo significa che lo svolgimento del
canto procede non su due vie destinate a non incontrarsi, ma su un piano
di carattere dottrinale che si trasforma man mano in affettivo: così la
perfetta visione di Beatrice, che ormai contempla il beatifico volto di
Dio, genera perfetto amore, il quale spinge Dante ad ascendere di cielo in
cielo, di verità in verità, generando sempre nuovo splendore:
intelligenza-amore-luce, benché possa essere considerata la triade su cui
si regge tutta la poesia del Paradiso, trova una suggestiva manifestazione
proprio in questo canto.Alla fine del canto quinto viene presentato il
secondo gruppo di anime beate, dopo quelle del cielo della Luna. Anche qui
una similitudine (come ‘n peschiera...), fra le più limpide e immediate,
traduce in immagine una condizione di beatitudine incantata e appagata.
Tuttavia mentre nelle anime del primo cielo è "un apparire senza parere,
un illuminare senza abbagliare, un sorridere senza confondere" (Chiari),
ora gli spiriti appaiono come splendori distinguibili, pur nella luce che
li avvolge quasi fosse il loro elemento, come l’acqua per i pesci della
peschiera... tranquilla e pura. Non sono più immobili come perla in bianca
fronte, ma avanzano trascinati da un ardente moto di desiderio verso
Dante, e non sono più solo "pronti" a parlare, ma incominciano per primi,
con parole esultanti: ecco chi crescerà li nostri amori. Ond’ella, pronta
e con occhi ridenti... con quelle altr’ombre pria sorrise un poco: così
Dante ha visto sorridere Piccarda e le altre anime del primo cielo, mentre
ora il sorriso diventa un motivo poetico altamente suggestivo che
caratterizza gli ultimi versi del canto quinto. L’anima beata emerge da
questo sorriso come da un’indistinta lontananza, prima accennata col
paragone del pesce che si avvicina attraverso la trasparenza crescente
dell’acqua, ed ora culminante in questa immagine sfolgorante (versi
124-126). Più l’anima arde di carità e più sorride attraverso gli occhi;
più gli occhi sorridono, più splendore diffondono all’intorno, fasciando
di luce quell’anima: "Anche questa volta il Poeta, a significare questa
inesprimibile effusione celeste, coglie dalla nostra vita quotidiana
l’espressione massima della gioia, ma della gioia piena che si tramuta nel
brillio del riso; e la sublima, e la fa tutta celeste, inondandola appunto
di paradisiaca luce" (Chiari).
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