Paradiso: canto II
Il canto si apre con un ammonimento del Poeta ai suoi
lettori: solo coloro che sono dotati di intelligenza e di cultura adeguate
lo potranno seguire nell'arduo cammino che sta iniziando. Infatti, con la
guida di Beatrice, egli sale dal paradiso terrestre, posto sulla vetta del
monte del purgatorio, al cielo della Luna, il primo dei nove cieli fisici
che dovrà attraversare prìma di giungere all'Empireo, dove ha la sua sede
Dio. La superficie lunare appare luminosa come un diamante, ma Dante sa
che essa è COsparsa di macchie scure, intorno alle quali chiede
spiegazioni . a Beatrice. Questa dapprima nega ogni valore alla credenza
popolare che vedeva, in quelle macchie, la figura di Caìno
gravato da
un fascio di spine. In seguito dimostra la non validità della teoria
scientifica che trovava la causa, di quelle zone oscure nella
maggiore
o minore densità della materia costituente la luna. Dopo aver
convinto Dante:che la ragione umana, qualora non sia sorretta dalla fede.
e dall'insegnamento teologico, mostra tutti i suoi limiti,
Beatrice espone
la dottrina esatta, estendendo la sua spiegazione dalla
luna. a tutti gli
altri corpi celesti. Le zone più o meno scure che sì notano sulla loro
superficie dipendono da/l'influenza dei cori angelici, le intelligenze
motrici dei singoli cieli. Infatti ad una maggiore o minore letizia della
intelligenza angelica corrisponde, nel cielo che da essa riceve le sue
qualità specifiche, una maggiore o minore luminosità.
Introduzione critica
Una vecchia distinzione della
Anche per il secondo canto, come per il primo, si pone il
del rapporto fra dottrinalismo e trasposizione fantastica, problema, del
resto, che è alla base di tutto il Paradiso. Per risolverlo la critica
romantica ha abolito il primo dei due termini, negando al sapere
filosofico teologico ogni interesse in campo poetico. Tale posizione
dimentica di prendere in considerazione alcune Importanti realtà:
1) nel Medioevo la distinzione fra poesia e scienza non
era posta in termini netti e precisi come per noi oggi;
2) certe questioni scientifiche (il termine "scientifico"
è usato nella sua accezione più vasta e comprensiva), che sono ora lontane
dalla nostra mentalità o almeno di scarso interesse, rivestivano, per
Dante e il suo tempo, un valore essenziale;
3) il Paradiso è la conclusione di tutto un processo
interiore, per cui ogni problema, trattato un tempo alla luce della sola
ragione e del solo sapere filosofico (è il momento del Convivio), viene
riesaminato, corretto e completato alla luce della fede, la quale proprio
nella terza cantica si esplicherà in tutta la sua forza e la sua
profondità. Questa ripresa di motivi e di problemi passati testimonia che
la visione del Paradiso è intimamente legata all’esperienza di vita del
Poeta, è frutto, come l’Inferno e il Purgatorio, dí questa esperienza. Non
è perciò, né potrebbe esserlo, un’astratta esposizione in versi della
Scolastica, bensì la descrizione dell’ascesi intellettuale e spirituale di
Dante, fatta non come una confessione o un diario di tipo romantico e
neppure nel genere di un dialogo ridotto ai due personaggi principali come
il Secretum del Petrarca, ma nei modi di una ricostruzione rigorosa e
obiettiva, perché solo questa rigorosità e obiettività le avrebbero
permesso di proporsi come insegnamento agii uomini;
4) la visione di Dio, quale appare nel Paradiso, non può
non proiettare in una dimensione religiosa tutto il creato. Come si
possono, dunque, respingere, con l’accusa che sono di troppo, quelle
pagine nelle quali il Poeta prende coscienza, e invita il lettore a fare
altrettanto, che tutto l’universo si appoggia su basi metafisiche, che una
sola legge, quella di Dio, governa le cose e che esiste nella molteplicità
degli esseri un’unica fonte di attività?
L’invito di Dante, proprio all’inizio di questo canto (e
non senza ragione) è estremamente esplicito: mi seguano solo coloro che
sono stati nutriti con il Pan delli angeli.
Una volta dimostrata la
necessità del dottrinalismo nella poesia del Paradiso, resta da
considerare quando e con quali mezzi esso diventa vera poesia. Alcuni
l’hanno trovata nel linguaggio metaforico, prodotto da una fantasia sempre
viva e fervida, altri nella solennità del Busnelli) volle vedere, nella
dottrina delle macchie lunari e del movimento dei cieli regolato dalle
intelligenze angeliche, una ennesima affermazione di ortodossia tomista da
parte di Dante, mentre, secondo il Nardi, il Poeta, pur senza opporsi
decisamente al pensiero di San Tommaso, propende per la dottrina di
Avicenna, che pose nel cielo una gerarchia di sfere, animate da un
principio vitale e mosse da altrettante intelligenze separate.Tuttavia il
secondo canto non è un’accademica discussione sulle macchie lunari, ma un
momento, fra i più poetici, della crescita spirituale di Dante, simile a
quello del canto primo: il momento in cui il pellegrino scopre che
l’universo e un immenso, armonico organismo. Il Parodi ha, a questo
proposito, un’osservazione molto penetrante: Dante "volle subito esporre
il grande e, si voglia o no, grandioso e mirabile sistema cosmologico
delle influenze e, come nel primo canto aveva cantato l’ordine reciproco
di tutte le cose e l’ascensione dell’essere verso l’alto, in questo
descriveva la perpetua irradiazione luminosa delle idee divine dall’alto
verso il basso, compiendo con questi due momenti, che ne formano uno solo
la prima e più generale sintesi dell’universo
". Il secondo non è dunque il
"canto delle macchie lunari", come viene genericamente definito, ma è il
canto nel quale Dante, prendendo a pretesto il limitato problema delle
zone più o meno scure della luna, è impegnato a dimostrare come il
molteplice derivi dall’uno e come, attraverso l’influsso dei cieli,
animati dalle intelligenze angeliche, il mondo sia sempre guidato dalla
superiore giustizia e dall’infinito amore di Dio. L’interesse e la
passione con cui il poeta impegna il suo intelletto in questa sintesi
suprema dell’universo impediscono alla poesia di trasformarsi in un’arida
confutazione delle opinioni errate e in una semplice rivelazione delle
verità trovate. Così nella prima parte del discorso di Beatrice "si sente
il piacere intimo che nasce dalla confutazione dell’errore", mentre nella
seconda si ha "un tono diverso, più alto e solenne, di una solennità quasi
religiosa", che cerca "immensità luminose e una figurazione angelica e
ridente dell’universo". (Fallani)
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