Dopo
secoli di indagini, studi critici,
dibattiti e ricerche, il maggior poeta
italiano rimane ancora, per molti
aspetti, un enigma.
Della
Commedia dantesca non è ancora stato
trovato il manoscritto originale; noi
non conosciamo l'autografo di Dante e
non sappiamo come scrivesse; sul
reperimento degli ultimi tredici Canti
del Paradiso, poi, Giovanni
Boccaccio ha divulgato la suggestiva
leggenda del ritrovamento misterioso, in
seguito all'apparizione in sogno del
poeta al figlio Iacopo, alcuni mesi dopo
la sua morte.
Non
si conosce esattamente nemmeno la data
di composizione delle tre Cantiche e si
discute se l'Inferno sia stato
iniziato quando Dante viveva ancora a
Firenze, oppure si trovava già in
esilio.
Infatti
alcuni studiosi, sulla scorta del
Boccaccio stesso che ci ha lasciato una
vivace biografia del poeta (Trattatello
in laude di Dante, 1355-7 ca.),
ritengono che i primi sette Canti siano
stati scritti a Firenze, prima
dell'esilio; lo dimostra il verso
introduttivo al Canto VIII:
Io
dico, seguitando, [...]
«Seguitando»
che cosa? Semplicemente la narrazione
interrotta al settimo Canto, oppure la
scrittura sospesa da un doloroso
intervallo?
Altri
critici, invece, convengono che la
gestazone della Commedia avvenne
in età giovanile e si collega al
desiderio di tessere l'apoteosi della
bellissima Beatrice di Folco
Portinari, amata da Dante e morta a
venticinque anni nel 1290; tuttavia la
stesura del poema in lingua volgare
inizia dopo il 1307. È accertato,
comunque, che nel 1309 l'Inferno
è concluso, nel 1314-16 è divulgato,
noto e apprezzato anche il Purgatorio,
mentre, intorno al 1320 pure il Paradiso
è in fase risolutiva.
Conosciamo
il titolo dell'opera da una Epistola
che Dante invia a Cangrande della Scala,
signore di Verona che lo ha ospitato tra
il 1314 e il 1318, nella quale gli
dedica il Paradiso e
probabilmente gli manda alcuni Canti in
visione. Non compare l'aggettivo divina
che coniò in seguito il Boccaccio, ma
suona così; Incipit Comedia Dantis
Alagherii, florentini natione, non
moribus (Comincia la Commedia di
Dante Alighieri, fiorentino di origine,
non di costumi). Titolo polemico nei
confronti dei concittadini che lo
bandirono dalla patria. Non sfugge
nemmeno ai contemporanei la grandezza
del poema dantesco.
L'epiteto
divina, giustapposto dal
Boccaccio, diventa ben presto parte
integrante dell'intitolazione e
l'edizione a stampa effettuata da
Ludovico Dolce a Venezia nel 1554 lo
suggella in maniera definitiva. Così è
pervenuto sino a noi, e a buon diritto.
Nella medesima Epistola a Cangrande
Dante informa il lettore della ragione
per cui l'ha chiamato Commedia;
è un'opera che inizia tragicamente ma
finisce felicemente. Infatti si parte
dal dramma dei dannati per giungere alla
beatitudine celeste.
Dante,
«fiorentino d'origine, non di
costumi»
La
Divina Commedia compendia il
sapere medievale, ma si pone anche come
invito alla riflessione per l'uomo di
tutti i tempi; se noi oggi sorridiamo
dell'ingenuità con cui il poeta spiega
i fenomeni astronomici, non possiamo
ignorare l'altezza del messaggio morale
che contiene: nasce essenzialmente dall'esperienza
dell'esilio e si pone come invito
al recupero della rettitudine‚ per
l'umanità corrotta, degenerata,
violenta, avida, lontana dal bene.
Firenze,
nel poema, appare quasi il concentrato
della corruzione morale, anche se il
poeta non nasconde la sua nostalgia e
l'amore per il luogo dove aveva vissuto
gli spensierati anni dell'infanzia, le
feconde esperienze giovanili e da dove
si origina la sua famiglia.
Molti
sono gli elementi da cui partire per
comprendere la genesi della Divina
Commedia; giocano la personale
esperienza dell'amore per Beatrice, il
desiderio di scrivere un'opera sublime
per vincere l'alloro poetico e
riscattarsi, agli occhi del mondo,
dell'umiliazione dell'esilio, gli
stimoli culturali e gli esempi di una
fiorente letteratura
didattico-allegorica imperniata sul tema
del viaggio nell'aldilà, ma,
soprattutto, la coscienza della missione,
che l'intellettuale riceve da Dio, di
essere guida‚ per l'umanità,
che va indirizzata al bene, sollecitata
alla moralità e al rispetto della
Parola del Signore.
Genesi
e fonti della Divina Commedia
All'originario
progetto di esaltare Beatrice, dicendo
di lei «quello che mai non fue detto
d'alcuna» (Vita Nuova, XLII,2)
se ne aggiunge e sovrappone un altro
prodotto da esigenze morali, sostenuto
da un preciso clima culturale e dalla
maturazione di una visione politica che
l'esilio aiuta a definire. Dante
abbandona le ristrette visioni
letterarie dell'età giovanile e supera
i moduli stilnovistici, arricchendo la
sua poesia di una robusta visione etica,
che, attraverso l'idea religiosa,
rappresenta il motore della composizione
del poema. Il bisogno di lanciare un
messaggio di pace, di rigenerazione e
presa di coscienza all'umanità si
esprime attraverso l'allegoria del
viaggio‚ che non è insolita nel
panorama culturale del tempo. Pensiamo
soltanto agli ingenui poemetti di Giacomino
da Verona (De Ierusalem coelesti
e De Babilonia civitate infernali,
XIII secolo) e di Bonvesin da la Riva‚
(Libro delle tre Scritture, XIII
secolo) o anche il romanzo allegorico
coevo a quello dantesco di Bono
Giamboni‚ (Libro de' vizi e
delle virtudi) L'opera, così, sorge
corroborata dal bagaglio culturale del
poeta nel quale individuiano le fonti
classiche, filosofiche e cristiane.
Innanzi
tutto agiscono sulla fantasia di Dante
opere in cui predomina il tema della
visione e dell'elevazione al cielo, come
il Somnium Scipionis nella Repubblica
di Cicerone, o l'Apocalisse di
san Giovanni. Inutile dire quanto
importante sia il libro VI dell'Eneide
virgiliana, non solo per i numerosi
riferimenti mitologici, ma soprattutto
per il ruolo che nella Commedia
viene attribuito a Virgilio, maestro,
guida, simbolo dell'umana ragione.
Inoltre non sono ignote e Dante le
composizioni allegoriche medievali come
la Navigazione di san Brandano
(opera anonima dell'XI secolo, in versi
latini), la Visione di Tundalo,
la Visione di san Paolo, la Visione
di Alberico, il Purgatorio di san
Patrizio, i Dialoghi di Gregorio
Magno e gli scritti di mistiche tedesche
o dei filosofi «vittorini», come Ugo
da San Vittore, o di profeti
millenaristi quali Giacchino del Fiore o
anche testi ascetici del mondo
musulmano, conservati in traduzone
latina, come il Libro della Scala.
Le
fonti dei numerosi riferimenti
mitologici della Commedia sono
essenzialmente i poeti latini Ovidio,
Stazio e Lucano‚ e traduzioni dall'Iliade
e dall'Odissea di Omero, mentre i
riferimenti morali sono ricavati da
Orazio‚ e, come s'è detto, Virgilio;
riferimenti storici e naturalistici sono
ricavati da Livio, Frontino, Plinio,
Paolo Orosio‚ repertori enciclopedici
come i Libri delle Etimologie di
Isidoro da Siviglia, o il Tesoretto
di Brunetto Latini. Tra i filosofi
ricordiamo Severino Boezio (De
consolatione philosophiae), san
Tommaso (Summa theologiae), san
Bonaventura (Itinerarium mentis in
deum), san Bernardo di Chiaravalle,
Platone e, soprattutto, Aristotele. Non
manca, come fonte primaria della Commedia,
il testo delle Sacre Scritture‚
che spesso sono richiamate, attraverso
la citazione di passi o versetti di
salmi, oppure con riferimenti a fatti e
personaggi del mondo ebraico.
Fondamentale, poi, risulta la II
Epistola ai Corinzi di san Paolo.
Il
disegno generale
Ciò
che differenzia la Commedia dagli
altri poemi allegorici anteriori o coevi
è il possente impianto strutturale che
coinvolge l'universo intero;
l'organizzazione e la distribuzione
delle anime nell'aldilà è così
minuziosamente descritta, da apparire
realistica e plausibile. Sulla scorta
della concezione tolemaica‚
geocentrica dell'universo, affidata all'Almagesto
di Claudio Tolomeo (II sec.d.C.) e
recuperata da san Tommaso, Dante colloca
presso Gerusalemme, che sorge
equidistante ai confini del mondo, le
foci del Gange e le colonne d'Ercole,
l'imboccatura dell'inferno. Ai
suoi antipodi sorge la montagna del
purgatorio, che corrisponde
esattamente al vuoto della voragine
infernale; entrambi sono stati causati
dalla caduta di Lucifero, che è
divenuto l'espressione del male e della
bruttezza, incastrato al centro della
terra. Attorno alla terra immobile
ruotano nove cieli; oltre a
questi, nella pura luce metafisica dell'Empireo,
i beati siedono in adorazione di Dio,
circondato dai nove cori angelici. La
disposizione dei dannati, degli espianti
e dei beati segue regole ben precise,
improntate alla gerarchia
meritocratica. Mano a mano che si
scende verso il fondo dell'inferno, i
peccati si fanno sempre più gravi; a
ispirarne la classificazione sono i
testi giuridici e l'Ethica Nicomachea
di Aristotele.
Le
cornici purgatoriali vedono l'espiazione
dei peccati in senso decrescente secondo
la classificazione della Chiesa dei
sette vizi capitali.
La
beatitudine paradisiaca è strutturata
nel senso dei diversi meriti acquisiti
dagli uomini sulla terra. Protagonista
della Commedia è Dante‚
che svolge il duplice ruolo di personaggio
principale (agens) e di autore
dell'opera (auctor). Egli è
affiancato da guide che sono
configurazioni simboliche; Virgilio, che
guida Dante nell'inferno e in
purgatorio, rappresenta la ragione che
riporta l'uomo sulla retta via, Stazio
esprime il valore della poesia
illuminata dalla fede, Beatrice‚
simboleggia la fede e la teologia‚ che
porta l'uomo a Dio, mentre san Bernardo
esprime il valore dell'estasi ascetica
che consente di immedesimarsi in Dio,
comprendendone i misteri che sfuggono
alla ragione.
Dante-personaggio,
infine, configura l'intera umanità del
suo tempo, perduta nel peccato e
bisognosa di compiere un lungo percorso
di redenzione.
I
personaggi danteschi sono numerosissimi
e svariati; taluni sono appena abbozzati
e fungono da esempio di una certa
condizione umana. Altri, invece, sono
scavati psicologicamente o si trovano
inseriti in un contesto che ne svela la
potente umanità, o la tragedia vissuta
in vita, o il rimorso che li attanaglia
dopo morti; così il lettore può
ritrovarvi tutte le passioni, le
speranze, le angosce, le caratteristiche
proprie della vita sulla terra.
Numerosissimi, poi, sono i personaggi
politici, che attestano l'attenzione del
poeta per questi problemi, soprattutto
in relazione a Firenze.
Il
paesaggio dell'Inferno e del Purgatorio
è rappresentato plasticamente con molta
verosimiglianza: soprattutto nella
seconda Cantica abbondano
marine, prati, valli fiorite, selve,
aspri passi montani, scarpate, dirupi
che riproducono la terra. Più
drammatico è il paesaggio infernale
dove a fiumi ribollenti, si alternano
ghiacci, paludi buie, orrende
apparizioni di mostri, terribili
metamorfosi, foreste animate, lande
infuocate. Nella terza Cantica,
invece, domina la luce, segno di
esultanza e della grazia illuminante di
Dio.
Il
messaggio‚ dell'opera si collega
all'intima convinzione di Dante
di essere stato investito dalla missione
di riportare l'umanità sviata nella
giusta prospettiva della salvezza: così
il poema ha un valore didattico,
oltre che allegorico.
I
«quattro sensi» della scrittura
Chiave
interpretativa della Commedia è
offerta da un passo del Convivio
(II,1) in cui Dante asserisce che
un'opera può essere vagliata sotto
quattro aspetti, o «sensi»:
- letterale,
- allegorico,
- morale,
- anagogico.
Sul
piano letterale
il poema descrive un viaggio nell'aldilà,
iniziato il venerdì santo (8 aprile)
del 1300, l'Anno Santo del Giubileo
indetto da papa Bonifacio VIII.
Sul
piano allegorico
il poema descrive simbolicamente il
percorso dell'anima dalla «selva»
inestricabile del peccato alla salvezza.
Dante ha cercato di rendere lo stato di
smarrimento in cui si trova l'umanità
del suo tempo, priva delle guide
fondamentali del papa e dell'imperatore,
poiché il primo prevarica il potere
temporale e il secondo non lo esercita
con sufficiente rigore.
Il
senso morale
emerge nelle considerazioni sull'uomo
che costellano qua e là il poema; più
volte Dante invita l'uomo a resistere
alle tentazioni, a rafforzare la volontà
sull'istinto, a confidare nelle Sacre
Scritture, a rifiutare la corruzione, a
resistere alle tentazioni delle
ricchezze.
Il
senso anagogico
si riferisce soprattutto alle citazioni
bibliche e alla simbologia in esse
contenuta, che aiuta l'anima a elevarsi.
Questi due ultimi sensi «traslati»
corroborano l'allegoria contenuta nel
poema che trasferisce il significato a
una sfera più alta
Il
simbolismo numerico
Unrigido
determinismo anima la Commedia
e un sistema di corrispondenze a cui non
è estraneo il simbolismo numerico.
Nella tradizione ebraico-cristiana
alcuni numeri hanno un significato
mistico e magico; per esempio il tre‚
esprime la Trinità, mentre l'uno‚
simboleggia l'unità di Dio e il valore
del dieci risiede nel numero dei
comandamenti affidati a Mosè sul Sinai.
Questi numeri ritornano insistentemente
nella Commedia, che si divide in
tre Cantiche, ciascuna composta di
trentatré Canti ciascuna; trentatré
corrisponde all'età di Cristo quando
morì e risorse. Un Canto funge da
prologo; è il primo dell'Inferno,
che permette di contare, in tutto il
poema, cento Canti: il numero che
rappresenta dieci moltiplicato per se
stesso. I Canti si compongono di
terzine, mentre nei tre regni vi sono
nove settori (cerchi, zone purgatoriali,
cieli), laddove il nove corrisponde al
tre moltiplicato per se stesso.
L'attenzione di Dante per le
corrispondenze numeriche mostra la sua
conoscenza della filosofia antica
(soprattutto delle elaborazioni di
Plotino e Pitagora) della Bibbia, dei
filosofi ebraici del Medioevo e, forse,
anche della Cabala, il libro
ebraico della scienza numerologica,
magari in compendio.
Il
determinismo, però, non si ferma a un
semplice fatto di simbologia numerica,
ma investe importanti contenuti e
momenti strutturali del poema.
Per esempio:
- il Canto VI di
tutte e tre le Cantiche è
dedicato al problema politico;
- tutti i cerchi infernali, le
cornici purgatoriali, i cieli
paradisiaci hanno una sorta di guardiano
che sarà un demone, un angelo,
un'intelligenza angelica;
- in tutti e tre i regni c'è una
progressione di pena o di intensità di
beatitudine che corrisponde a un'interna
gerarchia.
Nell'Inferno
e nel Purgatorio le pene sono
attribuite in base al contrappasso‚
una regola secondo cui la pena riflette
la colpa, per analogia‚
oppure per contrasto‚ e non
è mai attribuita né immaginata dal
poeta senza un nesso logico.
La
Commedia, insomma, riflette la
visione del reale propria dell'uomo
medievale, in cui nulla è lasciato al
caso, ma tutto si inserisce in una
collocazione logica, come preciso
effetto di una causa.
Un'ultima
osservazione sulla lingua del
poema, che presenta una straordinaria
duttilità e adeguatezza; Dante sa
passare dal comico al grottesco, dal
lirico al drammatico, coniando
neologismi arditi, soprattutto nel Paradiso,
e latinismi assai eleganti. Il volgare
appare decisamente adatto anche ad
affrontare ardue questioni teologiche e
ad applicare figure retoriche, quali le
celebri similitudini, di cui Dane è
davvero maestro.
La
fortuna della Divina Commedia
Il
successo del poema e delle opere minori
di Dante è già notevole presso i
contemporeanei; le voci di dissenso sono
poche e isolate. Cecco d'Ascoli stronca
la Commedia nel suo poema Lacerba,
ma è davvero un'eccezione. Molti sono i
commentatori del poema, a partire dai
due figli di Dante stesso, Pietro e
Iacopo, per continuare con il Lana,
Graziolo de' Bambuglioli, un anonimo che
è noto come l'Ottimo, Guido da Pisa,
Francesco da Buti, Benvenuto da Imola,
Filippo Villani e lo stesso Boccaccio.
Meno fortuna ha Dante nei secoli
successivi, forse influenzati dal
giudizio tiepido del Petrarca.
L'umanesimo, che rivaluta il latino, mal
tollera il volgare dantesco.
Anche
nel Cinquecento Pietro Bembo preferisce
additare in Petrarca un modello di stile
poetico, mentre il Seicento non
comprende affatto la profondità del
messaggio dantesco. Il razionale
Settecento illuministico non ama il
Medioevo, che giudica periodo di
ignoranza e superstizione e glissa con
indifferenza sull'opera di Dante. In
Italia, di fronte a detrattori come il
Cesarotti e il Bettinelli, si levano,
tuttavia, le voci di estimatori quali
Gasparo Gozzi, Giambattista Vico e
Vittorio Alfieri. L'Ottocento vede la
piena rivalutazione della Commedia,
a partire dal Foscolo, che inizia
l'interpretazione «ghibellina» del
poema per proseguire con Francesco De
Sanctis, la cui critica è ricca di
geniali intuizioni e mostra di
prediligere l'Inferno. La scuola
positivistica del Carducci, che si
prolunga nel Novecento con critici quali
D'Ovidio, Torraca, Parodi, Barbi
(fondamentale punto di riferimento per
le valutazioni filologiche), Karl
Vossler, arricchisce l'indagine estetica
di minuziose ricerche d'archivio,
veramente illuminanti per cogliere quei
supporti storici e biografici che
consentono di comprendere meglio la
poesia dantesca. Il Novecento è il
secolo degli studi linguistici e
strutturali della Commedia. Il
saggio di Benedetto Croce La poesia
di Dante tende a distinguere i passi
lirici da quelli dottrinali, tacciati di
non-poeticità.
La
scuola crociana annovera critici come
Attilio Momigliano, sensibile
soprattutto agli aspetti lirici e
storico-politici del poema, nonché
Francesco Flora e Giovanni Getto che
rivalutano in particolare il Paradiso.
Di recente contributi fondamentali per
il problema dell'allegoria sono
stati offerti da Erik Auerbach e altri:
fra gli italiani ricordiamo Bruno Nardi,
mentre il Contini e lo Spitzer si sono
distinti per i saggi sullo stile del
poeta e sulla struttura del poema.
Pregevole contributo è stato offerto da
Umberto Bosco che ha curato la
monumantale Enciclopedia Dantesca
(1970-78).
Adele Garavaglia
Viaggio nella Divina Commedia
ed. Mursia, Milano, 1994