Paradiso: canto
X
Dio Padre, potenza prima ed inesprimibile, contemplando
il Figlio (la Sapienza) con lo Spirito Santo ( l’Amore ) che Padre
e Figlio spirano eternamente,
creò con ordine così perfetto tutto ciò che prende
vita nella mente (le cose spirituali) e nello spazio ( le cose
materiali ), che chi contempla l’opera del creato non può fare
a meno di godere di questa potenza ordinatrice.
Con un improvviso colpo
d'ala il Poeta ci trasporta lontano dalle miserie terrene che
Folco da Marsiglia aveva lamentato alla fine del canto nono, contemplando
al di sopra del mondo la vita beata della Trinità mentre crea
e imprime quell'ordine che l'universo a Dio fa simigliante (Paradiso
I, 105). Dopo aver distinto l'opera della Potenza che agisce per
mezzo della Sapienza e si risolve in Amore (cfr. San Tommaso Summa
Theologica I, XLV, 6 ) lo sguardo del Poeta abbraccia, da un'altezza
sovrana, tutto il creato, si immerge nella sua contemplazione,
gode della perfezione di questo universo che il male degli uomini
non potrà mai intaccare. Per questo i versi iniziali del decimo
costituiscono un degno proemio non solo ai canti del Sole (X-XIV),
ma a tutta la seconda parte del Paradiso, dove appaiono le anime
di coloro che senza lasciarsi trascinare al male da inclinazioni
negative (incostanza, ambizione, amore), seppero subito operare
il bene attraverso la sapienza, il coraggio, la giustizia e l'amore
contemplativo. "Nei tre cieli raggiunti dall'ombra della terra,
Luna, Mercurio e Venere, era solo il preludio del trionfo beato:
che da questo canto decimo comincia, e dal regno del Sole, sede
allusiva della sapienza santa: così dal canto decimo dell'Inferno
la città di Dite: così dal canto decimo del Purgatorio la scalea
dei peccati. E finora le anime accorrevano senza ordine che di
moto, i volti dei difettivi nell'albore lunare, i lumi degli attivi
nel secondo cielo e quelle faville che nel cielo di Venere lasciano
il giro degli alti Serafini; ma d'ora in poi, di cielo in cielo,
si raccolgono nel simbolismo liturgico di un segno." (Apollonio)
Alza dunque con me, o lettore lo sguardo ai cieli
ruotanti, precisamente quel punto dove il moto diurno di tutti
i corpi celesti si incontra col moto annuo dei pianeti;
Il Poeta invita il lettore
a cercare nella vastità delle alte ruote il punto nel quale il
moto diurno equatoriale dei corpi celesti da levante a ponente
si incontra con il moto annuo o zodiacale dei pianeti da ponente
a levante. Esso è il punto di incontro dell'equatore e dello zodiaco
e corrisponde agli equinozi di autunno e di primavera. Dante si
riferisce a quest'ultimo, come appare dai versi 28, 33.
e
da quel punto comincia a contemplare con amore l’opera di quell’Artefice
che nella sua mente l’ama a tal punto da non distaccare mai l’occhio
(della sua provvidenza) da essa.
Vedi
come da quel punto si distacca il cerchio obliquo (dello zodiaco)
nel quale si muovono i pianeti, per soddisfare le esigenze della
terra che ha bisogno di essi e delle loro influenze.
Il cerchio zodiacale, nel quale si muovono
le orbite del sole e dei pianeti, appare inclinato rispetto al
piano equatoriale. Tale inclinazione (che è di circa 23 gradi
e mezzo) è indispensabile per permettere il variare delle stagioni,
perché in tal modo il sole e i pianeti non vengono a trovarsi
sempre sulla fascia equatoriale, ma si spostano a nord e a sud
di essa.
E
se la strada percorsa dai pianeti (lo zodiaco) non fosse obliqua,
molta della virtù attiva dei cieli resterebbe inutile, e quaggiù
sulla terra sarebbe spenta quasi ogni potenzialità di vita;
e
se l’inclinazione dello zodiaco rispetto all’equatore fosse maggiore
o minore, ne deriverebbe una grave imperfezione all’ordine terrestre
nell’emisfero australe e in quello boreale.
Se
lo zodiaco fosse parallelo all'equatore, si avrebbero estati,
primavere e inverni perenni, rispettivamente nelle regioni equatoriali,
temperate e polari. In tal modo le influenze dei cieli non potrebbero
realizzarsi che in parte e i germi di vita potenziale in terra
rimarrebbero senza sviluppo. L'ordine cosmico risulterebbe gravemente
alterato (nella distribuzione dei climi, delle ore diurne e notturne,
dei fenomeni meteorologici ) anche nel caso in cui l'inclinazione
fosse maggiore o minore di quella normale.
Ora, o lettore, resta pure seduto sul tuo banco,
a meditare su quello di cui ti ho offerto soltanto un assaggio,
se vuoi provare la gioia (della scienza) che non lascia avvertire
la stanchezza. Ti ho messo in tavola il cibo: ormai puoi servirti
da solo, perché l’argomento di cui ho incominciato a scrivere
concentra su di se tutta la mia attenzione.
I due solenni richiami
al lettore nella prima parte del canto (versi 7-8; 22-25) svelano
quanta importanza rivesta per il Poeta questo breve momento di
contemplazione dei cieli: momento di dolce pausa, come egli stesso
avverte (versi 26-27), in mezzo alla gravità di una materia che
attira a se tutta la sua cura. Dante non vuole dunque tenere una
lezione di astronomia, bensì confessare la commozione che si impadronisce
di lui di fronte alla visione del cielo stellato e dell'ordine
che regola la vita degli astri e dei pianeti: "Non potrò io dovunque
contemplare il sole e le stelle? non potrò meditare dovunque sotto
il cielo le dolcissime verità?" (Epistola Xll, 9). Certamente
Dante, come del resto tutto il suo tempo, studiò a lungo l'astronomia,
ma ad essa, soprattutto nella Commedia, seppe volgersi con animo
di poeta. "Provatevi ad immaginare l'edificio della Commedia senza
il substrato astronomico!... senza l'astronomia di Tolomeo e di
San Tommaso, sia pure mescolata ad un po' di quell'astronomia
che Dante più di Tommaso seppe, cristianizzandola, sublimare,
noi non vedremmo elevarsi fra la Terra e l'Empireo la più mirabile
scala di perfezione spirituale che fantasia di poeta abbia mai
vagheggiato; ... pochi al mondo devono aver levato gli occhi alla
volta celeste con una fiamma di desiderio uguale a quella che
accese gli occhi di Dante..." ( Fassò).
Il sole, il più importante ministro esistente
nel creato, il quale più degli altri astri imprime nel mondo le
virtù degli influssi celesti e con la sua lúue ci dà la misura
del ‘tempo,
trovandosi in congiunzione con quel punto che
ho prima ricordato, girava per le spirali ascendenti dello zodiaco
nelle quali sorge ogni giorno più presto ;
Secondo il sistema tolemaico
il sole, che nell'equinozio di primavera ( versi 8-9 ) si trova
in congiunzione con la costellazione dell'Ariete, descrive nel,
suo moto una spirale, passando ogni sei mesi da un tropico all'altro.
Spostandosi dal tropico del Capricorno a quello del Cancro nel
periodo tra l'equinozio di primavera e il solstizio d'estate,
il sole sorge sempre più presto all'orizzonte dell'emisfero boreale,
per il progressivo allungarsi dei giorni.
ed io mi trovavo nel cielo del Sole ; ma non
mi ero accorto del mio salire, allo stesso modo in cui l’uomo
non s’accorge del sopraggiungere di un pensiero prima del suo
manifestarsi alla coscienza.
E’ Beatrice colei che in tal modo guida da un
cielo inferiore ad un altro superiore con tanta rapidità, che
la durata dell’atto non si estende in uno spazio di tempo percettibile.
Quanto dovevano essere luminose per se stesse che erano nel cielo
del Sole dove io entrai, visibili non per il colore diverso, ma
per la luce più intensa (che irradiavano)!
Per quanto io chiamassi in aiuto tutto il mio
ingegno e l’arte e l’esperienza non riuscirei mai a trovare un’espressione
tanto efficace, da far immaginare (quello che vidi); ma si può
credere (alle mie parole) e intanto si può desiderare di vederlo
(in cielo).
E non c’è da stupirsi se la nostra facoltà immaginativa
è insufficiente a rappresentare una così intensa luminosità, perché
non vi fu mai alcun occhio mortale che potesse vedere una luce
superiore a quella del sole.
Così era qui la quarta schiera delle anime elette
dall’eccelso Padre, che continuamente le appaga, rivelando come
genera il Figlio e come lo Spirito Santo spira (da Lui e dal Figlio).
E Beatrice cominciò a dire: “ Ringrazia, ringrazia
Dio, il sole degli angeli, perché per sua grazia ti ha elevato
a questo sole percepibile coi sensi”.
Non ci fu mai cuore di uomo mortale così disposto
alla devozione e tanto pronto a volgersi a Dio con tutta la sua
gratitudine, quale divenne il mio a quelle parole; e tutto il
mio amore si concentrò in Lui a tal punto, che cancellò dalla
mia memoria Beatrice.
A lei non dispiacque; anzi ne fu così lieta,
che il fulgore dei suoi occhi sorridenti distrasse la mia mente
concentrata in Dio dividendola tra due oggetti (in più cose: fra
Dio e Beatrice).
Io vidi numerosi splendori, tanto vivi da vincere
(la luce del sole ) disporsi in corona attorno a noi, ed erano
più dolci nel loro canto di quanto non fossero luminosi nel loro
aspetto:
così vediamo talvolta la luna ( identificata
nella mitologia classica con la dea Diana, figlia di Latona e
di Giove) cingersi di un alone, quando l’aria è così satura di
vapori, che trattiene in se il raggio lunare che forma la cintura
luminosa.
Nella corte celeste, dalla quale io sono tornato,
ci sono molte gemme così preziose e belle che non è possibile
portarle fuori di quel regno (e descriverle); e il canto di quegli
spiriti splendenti era una di quelle gemme: chi non mette le ali
in modo da poter volare fin lassù, è come se attendesse notizie
di quei luoghi da un muto.
Dopo che, cantando in modo cosi dolce, quelle
luci ardenti ebbero fatto tre giri intorno a noi, muovendosi lentamente
come stelle che ruotano vicine ai poli fissi (del cielo),
Ogni cielo ha due poli
fissi intorno ai quali esso gira. Le stelle che si trovano vicine
a questi poli sono dotate di un movimento lento, mentre più rapidamente
devono volgersi quelle che si trovano nella parte centrale, che
costituisce, per così dire, l'equatore del cielo (cfr. Convivio
II, III, 13-14).
esse mi apparvero
come donne che, senza interrompere le movenze della danza, si
arrestino in silenzio, rimanendo in ascolto finché non abbiano
percepito le nuove note musicali (che annunciano un nuovo giro
di danza);
e dentro ad una
di queste luci udii dire: “ Poiché il raggio della grazia divina,
da cui è acceso in noi l’amore del vero bene (Dio) e che poi in
virtù di questo amore cresce sempre più, risplende in te così
moltiplicato, che ti conduce su per la scala dei cieli, per la
quale nessuno può discendere senza che poi possa risalire, chi
ti rifiutasse il vino della sua ampolla per soddisfare la tua
sete (di sapere ), non godrebbe della libertà (che distingue i
beati), proprio come un corso d’acqua che non va a gettarsi in
mare ( perché impedito da qualche ostacolo).
Tu vuoi sapere
di quali anime si adorna questa corona che, standole intorno,
contempla con amore Beatrice, la bella donna che ti dà la virtù
necessaria per salire al cielo.
Io fui uno degli
agnelli del santo gregge che Domenico guida per un cammino dove
ci si può arricchire spiritualmente se non si inseguono cose vane.
Parla San Tommaso d'Aquino,
appartenente all'ordine monatico fondato da San Domenico (delli
agni della santa greggia che Domenico mena...). Nato a Roccasecca
presso Montecassino, nel 1226, entrò nel 1243 in un convento domenicano
e morì nel 1274 mentre si recava al concilio di lione (Dante intorno
ala sua morte, raccolse la voce secondo cui San Tommaso fu fatto
avvelenare da Carlo I d'Angiò, essendo i signori d'Aquino suoi
fieri avversari; cfr. Purgatorio XX, 69). Insegnò teologia a Colonia
(dove fu allievo di Alberto Magno), a Parigi e a Napoli, e per
altezza di dottrina fu soprannominato Doctor Angelicus. Poderosa
fu la sua opera di sistematore delle correnti filosofiche e teologiche
del secolo XIII, alla luce dei principii più validi del sistema
aristotelico. I suoi scritti, che possono essere considerati la
sintesi del pensiero medievale, costituiscono la base della dottrina
filosofica e teologica di Dante, che spesso li cita direttamente:
Summa contra Gentiles, Summa Theologica, commenti alle opere di
Aristotile.
Questo che a destra mi è più vicino, mi fu fratello
e maestro, ed è Alberto di Colonia, ed io sono Tommaso d’Aquino.
Alberto Magno nacque a
Lavingen (Svezia) nel 1193 e morì a Colonia nel 1280. Entrato
nell'ordine dei domenicani nel 1222, insegnò teologia a Colonia
e a Parigi (1245), dove ebbe numerosissimi discepoli. Fu soprannominato
Doctor Universalis per la vastità della sua cultura. "Alberto
è uno dei maggiori protagonisti di quel vasto processo di assimilazione
diretta o indiretta (attraverso i filosofi e gli scienziati arabi)
dell'aristotelismo al pensiero cristiano su cui si costruirà poi,
organicamente, la sistemazione tomistica: la formula è quella
di un ordinamento piramidale delle scienze con al vertice la teologia,
ma con una base estremamente dilatata. E' notevole infatti, in
Alberto, la varietà enciclopedica e la preminenza di interessi
che oggi diciamo scientifici: in questo piano, anzi, Dante è forse
più vicino ad Alberto che a San Tommaso" (Mattalia).
Se vuoi parimenti essere informato su tutti
gli altri spiriti, segui il mio discorso con lo sguardo girando
gli occhi sulla ghirlanda di questi beati.
Quell’altra fiamma è l’espressione della felicità
di Graziano, il quale giovò al tribunale civile e a quello ecclesiastico,
tanto che la sua opera è gradita a Dio.
Francesco Graziano, nato
a Chiusi alla fine del secolo XI, fu monaco camaldolese e visse
a Bologna, dove insegnò diritto canonico. Qui compose il Decretum
o Concordantia discordantium canonum, nel quale riordina la legislazione
ecclesiastica, servendosi di testi biblici e patristici, e di
decreti conciliari e pontifici. L'uno e l'altro foro aiutò: Graziano
mirò a dimostrare la concordanza delle leggi civili con quelle
ecclesiastiche e, pur sostenendo la supremazia della legge divina,
riconobbe una ideale autonomia a quella civile.
L’altro che vicino a Graziano adorna il nostro
coro, fu quel Pietro che offrì il tesoro della sua sapienza alla
Santa Chiesa come la poverella ( del Vangelo) .
Il quinto spirito, che è il più splendente tra
noi, nelle sue opere spira tale amore, che tutto il mondo laggiù
sulla terra brama sapere (se sia salvo o dannato): in questa luce
intelligenza di Salomone, nella quale venne infusa una sapienza
così profonda, che, se la Sacra Scrittura è verace, non nacque
mai un uomo dotato di così grande scienza.
Vicino a lui vedi la luce di quel luminare che
sulla terra, durante la vita mortale, trattò più a fondo di tutti
la natura e l’ufficio degli angeli. Nell’altra luce più piccola
sorride quel difensore del Cristianesimo dei cui discorsi si giovò
Sant’Agostino.
Già
i commentatori antichi erano incerti nell'interpretazione di questa
terzina, e l'incertezza perdura ancora oggi. Alcuni pensarono
a Sant'Ambrogio, il grande Padre della Chiesa vissuto nel IV secolo,
che con la sua predicazione convertì Agostino al Cristianesimo.
Altri a Paolo Orosio sacerdote e storico spagnolo del V secolo,
autore di un'opera molto conosciuta nel Medioevo: Historiarum
libri VII aduersus Paganos. In essa, scritta per esortazione di
Sant'Agostino, il quale se ne servi poi per la composizione del
De Civitate Dei, egli intende dimostrare tutti i benefici apportati
dalla religione cristiana all'umanità (da qui l'espressione dantesca:
avvocato de' tempi cristiani).
Ora se muovi l’attenzione della mente da una luce all’altra seguendo
l’ordine dei miei elogi, già ti fermi con il desiderio di sapere
chi sia l’ottava.
Dentro
è beata perché vede Dio, sintesi d’ogni bene, l’anima santa di
Boezio, la quale a chi ben medita le sue opere manifesta la vanità
dei beni mondani: il corpo dal quale fu cacciata (con violenza)
è sepolto giù in terra nella chiesa di San Pietro in Ciel d’Oro;
ed essa giunse nella nostra pace celeste dopo il martirio e l’esilio
terreno.
Dopo Boezio vedi come fiammeggiano le anime ardenti di Isidoro,
di Beda e di Riccardo, che nella scienza della contemplazione
fu dotato di intelligenza superiore a quella di un uomo.
Isidoro, nato a Cartagena (c. 560-636),
fu vescovo di Siviglia e autore di numerosi scritti storici e
teologici di carattere enciclopedico, fra i quali il più famoso
e conosciuto ebbe il titolo di Origines seu Etymologiae. Beda
il Venerabile, nato a Wearmouth nel 674 e morto a Jarrow nel 735,
fu un sacerdote inglese, le cui opere di argomento storico e religioso
furono assai diffuse nel Medioevo. Riccardo di San Vittore, nato
in Scozia, trascorse quasi tutta la sua vita in Francia, dove
mori nel 1173, dopo essere stato per circa undici anni priore
del convento di San Vittore, presso Parigi. Fu uno dei principali
rappre, sententi della teologia mistica nel Medioevo: da qui il
soprannome di Magnus Contemplator.
Questi per cui
il tuo sguardo ritorna a me, è la luce di uno spirito al quale,
vivendo immerso in angosciosi pensieri, parve di arrivare troppo
tardi alla morte:
è la luce inestinguibile
di Sigieri, il quale insegnando (a Parigi) in via della Paglia,
espose con sillogismi verità che gli procurarono l’invidia degli
avversari ”.
Conclude
la rassegna degli spiriti sapienti fatta da San Tommaso la figura
di Sigieri di Brabante (c. 1226, c. 1283),il più importante sostenitore
della filosofia averristica nel secolo XIII. Professore nell'università
di Parigi, della quale fu anche rettore, polemizzo a lungo con
San Tommaso, affermando la impossibilità di una sintesi fra il
pensiero di Averroè e la fede cristiana, che il grande teologo
domenicano tentava, con molta cautela, di operare. Accusato di
eresia (negava, infatti, la dottrina della creazione dal nulla,
quella della immortalità dell'anima, quella del libero arbitrio),
si appellò al papa, e a Orvieto, dove si trovava in quel momento
la curia pontificia, dichiarò di credere per fede ciò che, secondo
ragione, non riteneva vero. Mori ad Orvieto, pugnalato da un chierico
suo segretario in un accesso di follia. La presenza di Sigieri,
che pur non essendo stato condannato ufficialmente e definitivamente
come eretico, fu giudicato tale da molti al suo tempo, nel cielo
del Sole e il suo elogio da parte di colui che fu suo fiero avversario,
non sono di facile spiegazione. Il Nardi ha avanzato, in modo
chiaro ed esauriente, l'ipotesi più probabile per risolvere questa
dibattuta questione: Dante ha voluto "rialzare la memoria d'un
onesto pensatore, grandemente stimato dai suoi contemporanei,
la quale giaceva sotto il peso dei colpi inferti dall'invidia,
e mostrarci riconciliati nel cospetto della verità eterna due
grandi pensatori a lui cari, senza settarismo di scuola". Nel
vico delli strami: a Parigi le scuole di teologia erano situate
in rue de Fouarre, via della paglia.
Poi,
come un orologio a sveglia che ci chiami nell’ora in cui la Chiesa
sorge a cantare le lodi del mattino al suo Sposo perché continui
ad amarla, orologio nel quale una parte del congegno tira e spinge
producendo un tintinnio con melodia così dolce, che riempie d’amor
di Dio l’anima fervorosa, allo stesso modo (in cui si muove questo
orologio) vidi la gloriosa corona dei beati muoversi danzando
e accordare una voce all’altra con una modulazione e una dolcezza
tali che non possono essere conosciute se non in paradiso, là
dove la gioia (che ispira questo canto) dura in eterno.
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