Paradiso: canto
XIII
Il lettore che desidera capire bene quello che
a questo punto vidi, immagini (e, mentre io parlo, conservi l’immagine
salda come una roccia)
le quindici stelle che nelle diverse regioni
del cielo lo illuminano di tanto splendore, da vincere ogni nebulosità
dell’atmosfera;
Secondo il sistema astronomico
tolemaico quindici sono le stelle di prima grandezza, appartenenti
alle diverse costellazioni e perciò sparse in diverse plage del
cielo.
immagini quel carro ( l’Orsa Maggiore) al quale
è sufficiente lo spazio del nostro emisfero celeste per il suo
moto diurno e notturno, cosicché nella sua rotazione non scompare
mai (alla nostra vista);
Le sette stelle del carro
di Boote o Orsa Maggiore, muovendosi molto vicine al polo celeste,
non scompaiono mai, né di giorno né di notte, dal cielo dell'emisfero
settentrionale.
immagini le due stelle poste alla estremità di
quel corno (l’Orsa Minore) che comincia nel punto più alto dell’asse
celeste, intorno al quale gira ( va dintorno ) il primo cielo
mobile,
La costellazione dell'Orsa
Minore viene paragonata a un corno: l'estremità più larga è costituita
dalle due stelle più luminose e l'estremità più stretta coincide
con la stella polare. Questa occupa la sommità dell'asse celeste
intorno al quale compie il suo giro il Primo Mobile.
(immagini dunque) che queste ventiquattro stelle
abbiano formato in cielo due costellazioni, simili a quella in
cui fu mutata la figlia di Minosse, quando mori;
Il Poeta invita il lettore
ad immaginare che le ventiquattro stelle che ha appena enumerato
formino due grandiose costellazioni, di dodici stelle ciascuna,
concentriche e ruotanti in senso opposto, che assomigliano, per
la loro forma, alla costellazione circolare della Corona. Quest'ultima,
secondo il racconto 176-182), ebbe un'origine del tutto particolare:
allorché la figlia di Minosse, Arianna (che aveva aiutato Teseo
nell'uccisione del Minotauro ) fu abbandonata dall'eroe ateniese,
il dio Bacco trasforma in costellazione la ghirlanda di fiori
che la fanciulla portava in capo. Tuttavia qui Dante sembra alludere
alla metamorfosi della stessa Arianna, la quale sarebbe stata
mutata in costellazione al momento della morte.
e (immagini) che le due costellazioni siano concentriche,
e che entrambe ruotino in modo che l’una si muova in un senso
e l’altra nel senso opposto;
e (il lettore) avrà un’immagine imperfetta della
costellazione (di spiriti) che io vidi veramente e della doppia
danza che girava intorno al punto in cui mi trovavo, poiché (
lo spettacolo )
era tanto al di sopra della nostra comune esperienza,
di quanto il Primo Mobile, che è il cielo più veloce di tutti
gli altri, supera in velocità il lento corso del nume Chiana.
Il fiume Chiana attraversava
il territorio di Arezzo con un corso lentisssimo, creando una
zona paludosa oggi bonificata.
Li
non si celebrarono le lodi di Bacco, né di Apollo, ma si cantarono
le lodi delle tre persone in una sola natura divina, e di questa
e di quella umana nell’unica persona di Cristo.
Peana era uno degli appellativi del dio
Apollo e serviva anche per indicare un inno cantato in onore del
dio. Il proemio del canto è concepito come una variazione sinfonica
sul tema della visione dei beati. Può essere definito, per meglio
cogliere quel che c'è di voluto nella nuova cosmografia chiamata
a ripetere la danza dei ventiquattro sapienti, come una " regia
stellare ", la quale, per indicare la doppia danza, non esita
a ricorrere ad una diversa disposizione degli astri nel cielo.
La variazione ha necessità di un punto di riferimento, e a questo
allude l'accenno alla memoria, tenace come ferma rupe, che adunerà
l'immagine. E un residuo della figura del carro, comparsa nel
canto di San Domenico, si aggiunge al moto dell'Orsa Maggiore
nel seno... del nostro cielo, a misurarne la profondità inesausta
nel viaggio notturno e diurno. Sempre più misterioso ed assorto
procede il discorso poetico dall'Orsa Maggiore alla Minore, perché
di questa si avverte la figura, indicata come un corno, ma si
suggerisce il moto di tutto il Primo Mobile che ruota intorno
allo stelo che al suo vertice porta la stella polare. La Corona
d'Arianna non entra nel novero delle stelle, ma suggerisce il
ritmo della danza, mentre le ventiquattro stelle formano in cielo
due nuove costellazioni che ruotano in senso inverso, con moto
concentrico al punto in cui si trova il Poeta. La triplice raccomandazione,
immagini, è introdotta per meglio inverare lo straordinario spettacolo
celeste che la filosofia adorna con le sue figure: uno spettacolo
tanto lontano dalle esperienze terrene quanto è lento il corso
della Chiana, tra il Tevere e l'Arno, a paragone del cielo più
veloce. Anche questo fulmineo trascorrere da un paesaggio toscano
al Primo Mobile denota la forza di un intervento fantastico nelle
cose della natura e dichiara l'ardire di un pensiero che procede
oltre i termini della ricognizione sensibile.
Il
canto e la danza giunsero simultaneamente al loro termine;
e quei santi spiriti volsero a noi la loro attenzione, rallegrandosi
nel passare da una cura (la danza e il canto) ad un’altra (il
chiarimento del dubbio di Dante).
Ruppe
poi il silenzio tra i beati concordi (nel loro canto e nella loro
danza) quella luce (San Tommaso) che mi aveva narrata la vita
mirabile del poverello di Dio (San Francerco), e disse:
“
Poiché il tuo primo dubbio è stato discusso, e poiché il seme
(di verità che ne è scaturito) è già stato riposto (nella tua
mente), lo spirito di carità mi invita a sciogliere l’altro dubbio.
Tu credi che nel petto di Adamo, dal quale fu tratta la costola
per formare il bel volto di Eva, il cui peccato di gola (nel provare
il frutto proibito) fu causa di tanto male a tutto il mondo, e
che nel petto di Cristo, il quale, trafitto dalla lancia, - offrì
(a Dio) soddisfazione e per i peccati futuri e per quelli passati,
tanto che sulla bilancia della giustizia divina esso vince (con
i suoi meriti ) il peso di ogni colpa, sia stata infusa dall’onnipotenza
divina che aveva creato l’uno e l’altro, tutta quanta la sapienza
che è lecito alla natura umana possedere;
e
perciò ti meravigli riguardo a quello che ti ho detto più sopra,
quando affermai che l’anima beata di Salomone racchiusa nella
quinta luce ( della prima corona) non ebbe chi l’uguagliasse (in
sapienza).
Il
canto trinitario e il moto concentrico e inverso delle due ruote
si arresta e nel silenzio e nella quiete i santi lumi esprimono
sfavillando l'allegrezza del trascorrere da un tema all'altro.
Poi, passando dall'inno corale all'omelia e al discorso individuale,
San Tommaso d'Aquino dispone il tema del secondo dubbio di Dante,
sul primato sapienziale di Salomone. L'esordio del discorso è
parafrastico e grande è nel Poeta la compiacenza di introdurre,
attraverso le parole del teologo, un tratto del pensiero scolastico
in stretto rapporto con un'elaborata immagine poetica. Adamo sapiente
è parafrasato come il petto da cui si trasse la costola che plasmò
Eva e la bella guancia di Eva e il palato che gustò il frutto
proibito. C'è un'allegrezza intellettualmente raffinata in questo
alludere, un'allegrezza tanto più certa quanto più è sicura la
proposizione fondamentale già debitamente enunciata (fu Salomone
più sapiente di Adamo e di Cristo? ) . La menzione di Eva, con
un tratto che si ripete lungo tante vicende delle arti figurative
rinascimentali, e più nella terzina empirea che la definisce tanto
bella ai piedi di Maria (canto XXXII, verso 5 ), indugia in una
variazione preziosa, ma il petto di Cristo, forato dalla lancia,
riporta dal rinascimento delle arti alle confraternite della penitenza,
e dalla teologia delle realtà terrene a quella della redenzione.
Ora rifletti bene a quello che ti rispondo, e
vedrai che la tua convinzione (riguardo alla sapienza di Adamo
e di Cristo) e la mia affermazione coincidono nella verità come
il centro è nel mezzo del cerchio.
Le creature incorruttibili e quelle corruttibili
non sono che una luce riflessa di quell’idea (il Verbo) che Dio,
nostro re, genera con un atto d’amore:
perché la viva luce del Verbo che emana da Dio
in modo tale, che non si separa né da Lui né dallo Spirito Santo,
per sua bontà dirige e concentra i suoi raggi, come riflettendosi
in tanti specchi, nelle nove essenze dei cori angelici, pur conservando
in eterno la sua unità.
Dai nove cori angelici questa luce scende giù
di cielo in cielo fino agli elementi del mondo terrestre, e si
attenua a tal punto, che non produce più che creature contingenti
e corruttibili;
e per queste realtà contingenti intendo le cose
generate, che i cieli producono con il loro moto sia per mezzo
di semi sia senza di essi.
I cori angelici comunicano
ai cieli la luce divina, la quale in tale modo può raggiungere,
nel mondo sublunare, la pura materia, la materia, cioè, passibile
di ricevere la " forma". Qui giunta, però, tale luce ha perso
molta della sua forza penetrativa, per cui è in grado di produrre,
sempre attraverso la azione dei cieli (versi 65-66), solo elementi
di poco valore ( contingenze: le cose che possono esistere o anche
non esistere) e soggetti a corruzione: gli organismi vegetali
e animali ( generati con seme ) e i minerali ( generati sanza
seme ) .
La materia di queste creature inferiori e i cieli
che la plasmano con i loro influssi non sono sempre nel medesimo
rapporto;
e perciò questa materia poi resta più o meno
illuminata dalla luce dell’idea divina.
Non sta d'un modo: infatti può variare la disposizione
in cui si trova la materia rispetto all'azione dei cieli e può
cambiare l'influsso dei cieli sulla terra con il variare delle
loro posizioni e delle loro congiunzioni.
Perciò avviene che due alberi della medesima
specie producano frutti migliori o peggiori e che gli uomini (pur
appartenendo alla stessa specie) nascano con indoli e attitudini
differenti
Se la materia ( nel momento in cui subisce l’azione
dei cieli) fosse nelle condizioni migliori per essere plasmata
e se il cielo si trovasse al massimo della sua potenza formatrice,
la luce dell’impronta divina apparirebbe (nelle creature) in tutto
il SUO splendore;
ma la natura ( cioè la causa seconda, che genera
gli esseri inferiori) presenta sempre questa luce in modo imperfetto,
perché essa opera come l’artista, che conosce la sua arte ma è
incapace di realizzare perfettamente ciò che ha in mente.
Dopo il peccato originale
la natura, come spiega il Montanari, "è inferma, poiché, pur essendo
ancora perfetta in se, non ha più la puntuale sicurezza d'azione
che era connessa con l'integrità di Adamo, e che andò perduta
con l'integrità di questo. Le varie parti della natura sono rimaste
perfette, ma il loro combinarsi è sfasato: soggetto ad imperfezioni
ed errori".
Tuttavia se lo Spirito Santo dispone e imprime
(sulla creatura) la luce del Verbo che procede dal Padre, allora
in questa creatura si ottiene tutta la perfezione possibile.
Solo le creature che non
sono generate dalle cause seconde, cioè dai cieli, sono perfette
ed eterne, perché è la divina Trinità che opera direttamente la
loro creazione: così avvenne per Adamo e per Cristo (versi 82-84)..
Così la terra (allorché Dio se ne servi per formare
il corpo di Adamo) fu un tempo resa degna di accogliere tutta
la perfezione possibile in un essere animato;
così (per opera dello Spirito Santo) fu generato
Cristo nel grembo della Vergine: perciò io approvo la tua opinione,
che la natura umana non fu né sarà mai cosi perfetta come fu in
quelle due persone ( Adamo e Cristo ) .
La lezione entra nel vivo
delle argomentazioni e il suo scopo non sarà già di aprire un
ulteriore divario tra la credenza di Dante e la sentenza di San
Tommaso, bensì di conciliarle attraverso la convergenza di una
realtà molteplice nell'unità di Dio, come centro in tondo. Subito
s'innalza, in un lento moto a spirale, una delle terzine più belle
della poesia dottrinale di Dante: contemplativa nel primo moto
che abbraccia le cose periture del mondo e le forme immortali,
ma drammatica nel segreto della genitura divina. Nella cantica
della luce, l'accento cade sullo splendore: la realtà è luce dell'idea.
Nella cantica dell'amore, la creazioni ne è atto d'amore: l'amore
è l'espressione della luce. La luce è intrinseca alla vita divina
del Padre, del Figlio e dell'Amore che compie il "ternario " che
solo amore e luce ha per confine, come dirà un altro verso mirabile
(canto XXVIII, verso 54). In queste terzine Dante riassume in
una evidenza perfettamente armoniosa e commossa le più alte proposizioni
della teologia sul mistero della creazione. La cosmografia della
vita registra la discesa d'atto in atto della luce divina ed alla
gerarchia delle nove sussistenze, dei nove cori angelici, risponde
il brulicare delle brevi contingenze delle creature animali e
vegetali e dei corpi inorganici. Al tema della luce il Poeta fa
ancora ricorso allorché si tratta di spiegare la maggiore o minore
rispondenza fra la materia terrestre e l'influsso celeste: e questo
tema risale al punto dove volentieri convergono le sue meditazioni,
filosofiche, la dottrina dell'arte: la natura opera come opera
l'artista che ha cognizione tecnica della sua creazione febbrile,
ma ha la mano tremante ( un altro paragrafo, questo, del nesso
stabilito fra natura ed arte, e tante volte ribattuto). La conclusione
del capitolo dottrinale riaccosta il discorso alle due operazioni
divine da cui aveva preso inizio la meditazione: la perfetta creazione
e la perfetta redenzione, con le quali la natura umana ha attinto
- nelle due creature primogenite, Adamo e Cristo - la sua perfezione.
Ora se io non aggiungessi altro, tu mi faresti
subito questa domanda: “Dunque, come mai costui (Salomone) non
ebbe chi l’uguagliò (in sapienza) ?’’
Ma affinché appaia chiaro ciò che ancora non
lo è, pensa quale era la condizione di Salomone, e quale motivo
lo spinse a domandare ( la sapienza ), quando gli fu detto (da
Dio) “Chiedi ( ciò che vuoi ) “.
Poco dopo che Salomone
era succeduto al padre David sul trono di Gerusalemme, Dio gli
apparve in sogno e gli domandò che cosa desiderasse ricevere da
Lui. Salomone chiese il dono della sapienza per poter discernere
rettamente il bene dal male e governare secondo giustizia il proprio
popolo ( I Re III, 5,12).
Non ho parlato in modo cosi oscuro, che tu non
possa capire che egli fu il re che chiese (a Dio) la saggezza
per poter essere un sovrano capace di adempiere il suo ufficio,
non per sapere quante sono le intelligenze motrici dei cieli,
o per conoscere se una premessa necessaria e una contingente portano
ad una conclusione necessaria;
né per sapere se è possibile (est) ammettere
che esista (nell’universo) un moto primo dal quale dipendono tutti
gli altri, o per conoscere se in un semicerchio si possa iscrivere
un triangolo che non sia rettangolo.
Perciò, se esamini quello che ho detto prima
(cfr. canto X, verso 114) e ciò che ho aggiunto ora, ( puoi capire
che) quella sapienza che non ebbe uguali, alla quale intendevo
alludere, è la sapienza che si addice a un re: e se mediti con
mente non offuscata da preconcetti sul valore della parola “sorse”,
vedrai che essa si riferiva solo ai re, che sono molti, pur essendo
rari quelli che sanno ben esercitare il loro ufficio.
Dante opera in queste terzine
una distinzione fra la sapienza propria del re, che deve governare
il suo popolo secondo giustizia, e il sapere teologico, logico,
metafisico, geometrico: Salomone chiese a Dio la saggezza politica
e, in questo campo, non sorse il secondo che lo potesse uguagliare.
Il Poeta, proponendo nei versi 97,102 una serie di problemi intorno
ai quali la mente umana si è affaticata inutilmente, sembra voler
rilevare polemicamente l'inutilità di quel sapere scientifico
che si volge a questioni oziose o assurde. Cosi non è possibile
conoscere il numero degli angeli, perché essi sono 'innumerabili'
(Convivio II, IV, 15): così in un sillogismo, secondo le regole
della logica di Aristotile, la conseguenza deve essere implicita
nella premessa e il necessario non può essere nel contingente;
inoltre non esiste nel, l'universo un moto primo, non determinato
da alcun motore, perché " tutto il cielo in tutte le sue parti,
nei suoi moti e nei suoi motori, è regolato da un unico moto quello
del Primo Mobile, e da un unico motore, che è Dio'' (Monarchia
1, IX, 2 ); infine, secondo la geometria di Euclide ogni triangolo
iscritto in un semicerchio deve avere un angolo retto.
Interpreta
le mie parole con questa distinzione (fra uomini e re: Salomone
fu il più sapiente come re non come uomo);
e
così esse potranno accordarsi con quello che tu credi intorno
alla sapienza di Adamo e di Cristo.
E
questo (il dubbio che è sorto in te per aver tratto frettolose
conclusioni dalle mie parole) ti insegni a procedere sempre con
i piedi di piombo, per andare cauto e lento come uomo affaticato
e nel negare ciò che non puoi distinguere chiaramente:
perché bene in basso nella scala della stoltezza è colui che afferma
e nega senza fare le necessarie distinzioni sia nel caso che si
debba dire di si sia nel caso che si debba dire di no, poiché
accade che spesso un giudizio affrettato inclini all’errore, e
che poi l’attaccamento (alla nostra opinione) non lasci più libero
l’intelletto (di ricredersi).
Colui che cerca nel mare della verità e non conosce l’arte di
farlo, si allontana dalla riva più che inutilmente, perché non
ritorna nella condizione in cui era partito ( cioè: era partito
in uno stato di ignoranza, ritorna carico di errori, perché crede
cose false).
E
offrono al mondo chiara testimanianza di questo fatto Parmenide,
Melisso, e Bryson e molti altri, i quali procedevano nella loro
ricerca senza rendersi conto delle conseguenze:
Parmenide e Melisso furono
due filosofi greci del V secolo a. C., appartenenti alla scuola
eleatica, i quali furono accusati da Aristotile nel primo libro
della Metafisica di mancare di metodo nelle loro ricerche ( cfr.
anche Monarchia III. IV, 4, dove Dante ri porta questo severo
giudizio). Greco fu anche Bryson, il quale, con il suo maestro
Euclide, si interessò soprattutto di problemi geometrici.
così fecero Sabellio e Ario e tutti quegli eretici
che falsano il significato delle Scritture come colpi di spada
sfigurano un bel volto.
Molti interpreti offrono
un'altra spiegazione a proposito dei versi 128-129 "come spade
che restituiscono deformati i volti che vi si rispecchiano". Sabellio,
un eretico africano del III secolo, negò il dogma della Trinità.
Ario, vissuto ad Alessandria nel IV secolo, rifiutò la divinità
di Cristo e fondò la setta eretica che da lui prese il nome di
Arianesimo.
Gli
uomini non si mostrino, inoltre troppo sicuri nel dare giudizi.
come colui che calcola il valore della messe quando è ancora sul
campo, prima che sia giunta a maturazione:
perché
io ho visto durante tutto l’inverno il pruno apparire secco e
spinoso, e poi (in primavera) l’ho visto far sbocciare la rosa
sulla sua cima;
e
vidi già una nave percorrere sicura e veloce il mare per tutto
il viaggio che doveva compiere, e naufragare infine proprio all’ingresso
del porto.
Prendendo spunto dall'errore
di coloro che supponevano Salomone dannato a causa dei suoi peccati
(cfr. canto X, versi 110-111), alla fine del canto si leva, appassionata
e concisa, un'esortazione agli uomini: nessuno pretenda di giudicare
intorno alla salvezza e alla dannazione degli altri, perché la
sorte eterna di ciascuno è decisa solo dentro al consiglio divino.
Il tono dell'ultima parte della lezione è anch'esso pratico: esortazione
alla virtù della discrezione, che si traduce sul piano teorico
in capacità di distinzione, e sul piano attivo in prudenza (per
farti mover tento com'uom lasso). E poiché c'è bisogno di un certo
sollievo, e il maestro accorto sa anche fare sorridere, il discorso
assume toni più distesi con l'immagine della scala che misura
i gradi di stoltezza e con quella di chi pesca per lo vero e non
ha l'arte della ricerca. A mo' di consolazione, rifletta pure
il discepolo ai tanti illustri rappresentanti della storia della
filosofia, che pure errarono, e ai tanti eretici della storia
della Chiesa. Si accende infine la libertà della poesia intorno
all'immagine della rosa, del pruno e dell'eterno rinascere della
natura. Accanto ad esse ecco la mimica dell'esperto che trae il
pronostico del raccolto quando il frumento è in erba e la ciarla
proterva di monna Berta e ser Martino, che pretendono di anticipare
il giudizio di Dio, mentre la nave corre ardita al suo destino.
Non credano donna Berta e ser Martino (due nomi
usati genericamente), per il fatto di vedere uno rubare, un altro
fare elemosine, di poterli considerare come già giudicati da Dio,
perché quello può riscattarsi dal peccato, e l’altro può perdersi
”.
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