Paradiso: canto
XXV
Se mai avvenga che questo sacro poema alla cui composizione hanno concorso la scienza divina e l’umana esperienza, così che la fatica durata lunghi anni mi ha fisicamente logorato,
riesca a piegare la crudele volontà (dei miei concittadini) che mi costringe a stare lontano da Firenze, la mia dolce patria dove io (un tempo) vissi come cittadino pacifico, ma avverso ai faziosi che portano discordia nella città,
ritornerò poeta con voce diversa ormai e con diverso aspetto, e nel battistero di San Giovanni, dove fui battezzato, cingerò la corona poetica,
Molti commentatori attribuiscono al verso 7 un significato solo allegorico: con una poesia (voce) ben più grande di quella giovanile e con ben diversa altezza d'arte e d'ispirazione ( vello) . Tuttavia le due tesi proposte, del senso proprio e di quello figurato, possono, come frequentemente avviene nella Commedia, coesistere: il trascorrere degli anni ha apportato al Poeta una ricchezza di esperienze e una profondità di visione non reperibili nelle opere giovanili.
poiché lì feci il mio ingresso nella fede che rende le anime familiari a Dio, e poi per questa fede San Pietro mi cinse la fronte (con la sua luce) in modo così mirabile.
Il canto dedicato all'esame teologico della speranza si apre con un moto di speranza tutta terrena, accentrata intorno ai due motivi costantemente presenti nell'animo di Dante: la sua poesia e la sua città. Dalla sua poesia, dove umano e divino sono fusi in una eroica esperienza personale, il Poeta attende la gloria e l'immortalità; dalla sua città, dove ha iniziato la sua vicenda di uomo e di poeta, attende il ritorno, non per vendicarsi dei lupi che tormentano il bello ovile, ma per poter essere consacrato poeta nello stesso luogo in cui fu consacrato cristiano. Perché l'ideale religioso e l'ideale poetico sono una realtà unica per l'Alighieri, che ha affidato alla Commedia il compito di proporre agli uomini una necessaria, indilazionabile riforma morale.
" Ideali, lotte, tormenti, si raccolgono e si assommano in queste ferme parole. dove, tra tanta malinconia di ricordi è la certezza di un'intima conquista e dove, sia pure come semplice proiezione di un sogno, balena un raggio di speranza; che ben si conviene al canto della speranza.
Se mai... e l'espressione dubitativa si colora di segreta fede in una rivendicazione che dovrà esser frutto dell'opera immortale; e il valore del poema è sigillato nella più alta parola: sacro: e l'eterna materia che ne forma la sostanza è issata in una drammatica e grandiosa immagine: al quale ha posto mano e cielo e terra; e l'eroico, silenzioso travaglio di più anni è tutto in una sola parola, macro, dove, con incisiva forza e con virile pudore, hai il macerarsi della carne e dello spirito e dove s'addensano fami, freddi e vigilie ( Purgatorio XXIX, 37 sgg. ) . Ora che l'Alighierii come poeta guidato dal cielo... sta per conchiudere la sua opera di poesia e di fede, ne sente ancor maggiore il pregio e la possa; anzi proprio lui, che in uno scatto di amaro disdegno avrebbe voluto uscire dalla vita, perché sempre più chiusa a ogni cosa buona (Purgatorio XXIV, 76-81), osa ora sperare che la forza ideale della sua opera possa vincere perfino la crudeltà di chi lo serra fuor della patria, rievocata con tanta nostalgia nella dolce immagine del bello ovile ov'io dormi' agnello. E se ancora s'affaccia la figura di quei lupi, essa è soverchiata da cose che ben la trascendono: il poema sacro, l'altra voce e l'altro vello con cui egli ritornerà poeta nel bello ovile, e quella corona che ben sente di poter cingere in sul fonte del suo battesmo, proprio là dove un giorno entrò ne la fede" (Grabber). Cosi si stabilisce un ideale collegamento fra la parte finale del canto precedente e l'esordio del canto XXV: la professione di fede di Dante e la sua incoronazione da parte di San Pietro si concludono liricamente in questi nove versi, che l'Apollonio definisce, con felici espressioni, un " autoritratto'', un " testamento spirituale". In essi la "gloria della perfezione interiore attinta e consegnata al poema", la "speranza del ritorno alla patria", e la "carità del natio loco", abbandonati i modi solenni e celebrativi dell'esame della fede, si traducono in forme "schiette", ''miti", "nitide", nelle quali l'animo, dopo il soccorso della fede, trepida nello schiudersi della speranza.
Quindi da quella stessa corona di beati da cui era uscito San Pietro, il primo dei vicari che Cristo lasciò in terra, venne verso di noi un altro spirito luminoso;
e Beatrice, piena di letizia, mi disse: “ Guarda, guarda: ecco uno dei baroni della corte celeste, l’apostolo San Giacomo, per venerare il quale sulla terra si va in pellegrinaggio a Compostella in Galizia”.
L'apostolo davanti al quale Dante sosterrà l'esame della speranza è San Giacomo il Maggiore (fratello di San Giovanni Evangelista ) decapitato sotto Erode Agrippa I. I1 suo sepolcro a Santiago di Compostella, in Galizia (Spagna), era meta di numerosi pellegrinaggi nel Medioevo (cfr. Vita Nova XL, 7 ) . Nel presentare la figura di San Giacomo, Dante segue la biografia tracciata da Isidoro di Siviglia nella sua opera De vita et obitu sanctorum, dove viene attribuita all'apostolo l'evangelizzazione, leggendaria, della Spagna e, secondo la tradizione, la prima delle sette Epistole Cattoliche, che invece fu scritta da San Giacomo il Minore.
Come quando il colombo si avvicina al compagno, e l’uno manifesta all’altro l’amore, girandogli attorno e tubando,
così vidi San Giacomo accolto dall’altro grande e glorioso principe, San Pietro, mentre entrambi lodavano Dio. il cibo che lassù li nutre.
Ma dopo che fu terminato il vicendevole rallegrarsi, ciascuno si fermò dinanzi a me in silenzio, e così fiammeggiante che abbagliava la mia vista.
Allora Beatrice disse sorridendo: “ O gloriosa anima che esalasti nei tuoi scritti la liberalità della nostra reggia celeste,
Alcuni versetti dell'Epistola di San Giacomo (I, 5-17) celebrano la bontà e la misericordia divina: "Se qualcuno di voi manca di sapienza, la chieda a Dio, che a tutti dona generosamente e senza rimprovero, e gli sarà concessa... ogni grazia eccellente, ogni dono perfetto, discendono dall'alto".
fa che risuoni in questo cielo il nome della speranza: tu puoi farlo, perché sei colui che la simboleggi tutte le volte che Gesù dimostrò maggiore predilezione ai tre apostoli ”.
Cristo, nell'episodio della risurrezione della figlia di Giairo (Luca VIII, 4056), in quello della trasfigurazione sul monte Tabor (Matteo XVII, 1-9; Marco IX, 2-9; Luca IX, 28-36) e durante la preghiera nell'orto degli ulivi (Matteo XIV, 32-42 ), ebbe accanto a se gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni. Secondo una tradizione esegetica molto diffusa nel Medioevo, ma respinta da San Tommaso (Summa Theologica III, 45, 3), i tre apostoli rappresenterebbero rispettivamente la fede, la speranza, la carità.
Si ripropone la situazione d'esame già apparsa nel canto precedente, ma sapientemente variata nei toni, nei passaggi narrativi, nei moduli scolastici, nelle similitudini introduttive. Se spesso nella Commedia e, in particolare, nella terza cantica, il Poeta ritorna su situazioni e problemi già presentati e sviluppati, è fuori di dubbio che ogni volta egli impegna - sia pure con risultati più o meno felici - ogni risorsa spirituale, inventiva e tecnica per eliminare il pericolo, sempre latente, di ripetizioni e di monotone digressioni. È sufficiente una rapida analisi: l'esame sulla fede, la quale impegna direttamente il credente con le verità sovrannaturali, era preceduto da una solenne allocuzione agli spiriti beati, mentre quello sulla speranza, il sentimento più umano, più trepido, e nello stesso tempo più virile, è aperto da nostalgie terrene, congiunte a una salda coscienza del proprio valore; li la descrizione dei beati era affidata a una similitudine attenta e concreta. ma troppo rigidamente chiusa nei suoi termini scientifici e volta a rilevare un atteggiamento esteriore, non una misura interiore; ora, invece, la lenta, incantata immagine dei colombi immette in un'atmosfera traboccante di amore; alla ieraticità dei gesti di San Pietro che, cantando, si volge per tre volte intorno a Beatrice, si contrappone ora il folgorare più intenso delle luci dei due apostoli, immobili e silenziosi di fronte a Dante immobile e silenzioso ("in questa pausa luminosa - scrive il Momigliano - le anime dei due santi e del pellegrino comunicano inesprimibilmente" ). Nel canto XXIV l'atteggiamento di Beatrice, che aveva ricevuto l'omaggio di San Pietro, aveva qualcosa di sacerdotale, o, per meglio dire, Beatrice in quel momento agiva solo come simbolo della teologia e con un rigido linguaggio esplicativo invitava il principe degli apostoli ad interrogare il proprio discepolo sulla fede; ora, dopo che Dante ha confessato la sua speranza, rivedendo per un attimo, dall'alto dei cieli. il bello ovile di Firenze, la figura di Beatrice si piega ad una dolcezza piena di letizia ( verso 16 ) e di "sorriso " ( verso 28 ), mentre le sue parole presentano la trepida immagine di Gesù che accarezza i suoi discepoli più cari (verso 33). Dante di fronte a San Giacomo non è più nella condizione del baccellier che aspetta, con giustificata apprensione, l'inizio dell'esame ( canto XXIV, versi 46-48), perché è Beatrice che, con affettuosa sollecitudine, risponde per lui alla prima domanda.
La presenza di un tono più disteso e meno drammatico rispetto a quello che caratterizzava il canto della fede (si vedano soprattutto le continue, pressanti obiezioni di San Pietro che minacciavano di chiudere Dante in categoriche affermazioni senza vie d'uscita) non deve, tuttavia, far pensare ad un attenuarsi dell'interesse per la verità che viene enunciata, o ad un venir meno dell'anelito verso l'alto. Nei canti dedicati alle tre virtù teologali il Poeta sottopone all'indagine critica della ragione i principii basilari del Cristianesimo: sa che da questo centro teologico dipende la validità del suo poema, che vuole essere - ed è - un'apologia della dottrina cattolica. Ma Dante si è sentito duramente impegnato con tutte le risorse della sua intelligenza e del suo sapere e tutto teso nell'ansia di certezza e di conquista della verità soprattutto nella trattazione dei problemi relativi alla prima delle virtù teologali, perché è dalla fede che discendono, Iogicamente, la speranza e la carità
(cfr. canto XXIV, versi 88-90). Superata la difficoltà più grave, chiariti a se stesso i motivi della propria fede, testimoniata la sua certezza con la solenne professione del Credo, il Poeta respira più liberamente, procede più rinfrancato, e "il rito corre più familiarmente sciolto: la professione di fede, una volta per tutte, ha vinto la prova" (Apollonio): risponde pronto e
libente... perché la sua bontà si disasconda ( versi 65-66). Ma non è certo un canto elegiaco della speranza quello che Dante si appresta ad innalzare: per lui la speranza non significa un passivo abbandono alle illusioni e alle attese di un futuro lontano, bensì una dura lotta per realizzare le aspirazioni di tale speranza: la vita e un militar (verso 57) e la morte è un uscire dal campo dove si è duramente combattuto (verso 84).
“ Alza il capo e riprendi coraggio, perché chi sale quassù dalla terra, deve diventare capace di sostenere la vista del nostro splendore. ”
Questo incoraggiamento mi venne dal secondo spirito, San Giacomo; e perciò io volsi lo sguardo verso le due somme luci che prima avevano fatto abbassare i miei occhi per il loro eccessivo splendore.
“ Poiché Dio, nostro imperatore, per sua grazia vuole che tu, prima di morire, ti trovi al cospetto dei suoi ministri nella sala più interna della sua reggia,
cosicché, dopo aver contemplato il paradiso quale esso è, tu possa con ciò che hai visto ravvivare in te e negli altri la speranza, che in terra accende gli animi all’amore del bene,
dimmi cos’è la speranza e in che misura se ne abbellisce la tua mente, e donde essa ebbe principio in te. Così continuò ancora a dire San Giacomo.
E Beatrice che aveva guidato a così alto volo le penne delle mie ali, prevenne la mia risposta con queste parole:
Le domande rivolte da San Giacomo a Dante intorno alla speranza sono uguali a quelle proposte da San Pietro intorno alla fede. Tuttavia Beatrice previene Dante rispondendo al secondo quesito (in che misura egli possiede la seconda virtù teologale ), che avrebbe potuto causare nel suo discepolo un moto d'orgoglio, perché la Chiesa militante alcun figliuolo non ha con più speranza.
“ La Chiesa militante non ha alcun figlio che possieda più di lui la speranza, com’è scritto nella mente di Dio, il sole che illumina tutte le nostre schiere:
per questo gli è concesso di venire dall’esilio terreno (d’Egitto) nella Gerusalemme celeste, per vedere (il paradiso), prima che sia terminato per lui il tempo della milizia terrena.
L'Egitto, dove il popolo ebraico visse a lungo in schiavitù prima di ritornare nella Terra Promessa, rappresenta metaforicamente la terra, che è il luogo d'esilio per gli uomini, la cui vera patria è il cielo, la Gerusalemme celeste (Epistola ai Galati IV, 26; Epistola agli Ebrei XII, 22; Apocalisse III, 12; cfr. anche Purgatorio II, 46).
Intorno agli altri due punti, che gli sono richiesti, non perché tu voglia sapere (quello che già sai), ma perché egli riferisca agli uomini quanto ti è gradita questa virtù,
lascio a lui la risposta, perché non gli riusciranno difficili né gli daranno motivo di vantarsi; ed egli stesso risponda alle tue domande e la grazia di Dio gli consenta di farlo”.
Come scolaro che parla dopo il maestro rispondendogli pronto e volenteroso intorno a quello che egli ben sa, perché si conosca il suo valore,
dissi: “La speranza è un’attesa sicura della gloria celeste, la quale è prodotta dalla grazia divina e dai meriti precedentemente acquistati.
Dante traduce alla lettera la definizione di Pietro Lombardo ( Liber Sententiarum III, 26): "Spes est certa exspectatio futurae beatitudinis, veniens ex Dei gratia et ex meritis
praecedentibus".
Questa nozione della speranza mi viene da molte fonti; ma per primo la istillò nel mio cuore David, colui che fu il più alto cantore di Dio.
Nei suoi salmi in onore di Dio egli dice: “Sperino in te quelli che conoscono il tuo nome’’: e chi non sa questo, se ha la fede che ho io?
Anche tu poi, con la luce comunicatami da David, mi istillasti la stessa dottrina nella tua epistola, in modo che io trabocco di questo dono, e riverso sugli altri quello che voi fate piovere su di me”.
Nell'Epistola di San Giacomo non c'è un riferimento diretto alla virtù della speranza, ma un'allusione frequente all'aiuto divino per chi soffre e al premio celeste per chi sopporterà in serenità di spirito dolori e umiliazioni ( 1, 2; Il, 5; Vl, 7-10; V, 8; V, 13-15).
Mentre parlavo, dentro alla luce fiammeggiante di San Giacomo guizzava un lampo improvviso e frequente come un baleno.
Quindi parlò: “ L’amore di cui ardo tuttora per la virtù (della speranza), la quale mi accompagnò fino al martirio e al termine della mia battaglia terrena,
vuole che io riparli della speranza a te che dimostri d’amarla; e mi è gradito che tu mi dica che cosa essa ti promette”.
E io risposi: “ Il Nuovo e il Vecchio Testamento assegnano la meta alle anime che vivono in grazia di Dio, e questa meta mi indica ciò che la speranza promette.
Isaia (infatti) dice che ciascuna delle anime elette (ritornata) nella sua terra sarà rivestita di una duplice veste; e la sua terra e questa vita beata.
Dante interpreta allegoricamente un passo di Isaia (LXI,7), dove, a proposito del periodo che gli Ebrei trascorsero in schiavitù in Egitto, si parla della duplice sofferenza che colpì il popolo d'Israele, l'esilio e la lunga durata di esso; in compenso esso riceverà un territorio di doppia estensione. Dante traduce l'espressione biblica "in terra sua duplicia possidebunt" con vestita... di doppia vesta, alludendo alla luce che fascerà il corpo e l'anima dei beati.
E tuo fratello Giovanni Evangelista ci manifesta questa stessa rivelazione in modo assai più chiaro, là dove parla delle bianche vesti dei beati ”.
San Giovanni, descrivendo nell'Apocalisse (VlI, 9) la moltitudine dei beati davanti al trono dell'Agnello divino, narra che essi indossavano bianche stole, simbolo della purezza della loro anima. Dante, invece, con l'espressione bianche stole intende alludere al corpo luminoso di cui le anime saranno rivestite dopo il Giudizio Universale.
E dopo la fine di queste parole, si udì dapprima cantare sopra di noi: “Sperino in te”, e a questo canto risposero tutte le corone danzanti dei beati.
Poi in mezzo ad esse uno spirito divenne così fulgido che se la costellazione del Cancro avesse una stella tanto luminosa l’inverno avrebbe un mese fatto di un giorno solo.
Nello Zodiaco la costellazione del Cancro si trova in una zona diametralmente opposta a quella occupata dalla costellazione del Capricorno, per cui quando l'una sorge, l'altra tramonta e viceversa. Poiché dal 21 dicembre al 21 gennaio il sole è in congiunzione con il Capricorno se "in questo tempo... nel Cancro ci fosse un astro luminoso come quello che Dante ora vede, al calar del sole esso sorgerebbe, e tramonterebbe quando il sole sorge di nuovo. Il che durerebbe un mese (e quindi per un mese si avrebbe luce continua: un sol di`)
(Porena).
E come una sorridente fanciulla si alza e s’avvia ed entra nel cerchio della danza, non per vanità, ma solo per far onore alla novella sposa,
così vidi lo spirito che aveva accresciuto il suo splendore venire verso i due (San Pietro e San Giacomo) che danzavano in circolo al ritmo del canto che era quale si conveniva alla loro ardente carità.
Lì si unì a loro accordandosi al canto e alla danza; e la mia donna teneva lo sguardo fisso in loro, simile a sposa assorta e silenziosa.
L'ultima parte del canto appare' complessa e difficile da determinare nei suoi motivi conduttori. Essa, anzi, sembrerebbe staccarsi dall'atmosfera tonale dei versi precedenti se il Poeta, accostando la leggenda relativa alla sorte del corpo di San Giovanni, non portasse il discorso, ancora una volta, sul tema della risurrezione della carne (versi 124-126), creando un ideale raccordo fra l'episodio della speranza e quello della carità che si apre con l'apparizione di San Giovanni. Per il Momigliano il tema centrale di questa ultima parte del canto XXV è "la luce di San Giovanni". perché "verso di essa convergono gli sguardi di Beatrice immobile, le sue parole a Dante, il fissarsi di Dante su quella luce, e le parole di San Giovanni. Tutto mira a dare un sacro rilievo allo splendore di questo apostolo, di colui che nell'ultima cena erat recumbens in sino Jesus ( Vangelo di San Giovanni XIII, 23) e che Gesù morente additò alla madre perché lo tenesse come figlio in vece sua". Tuttavia prima che la figura dell'apostolo prediletto accentri ogni attenzione, è su Beatrice che convergono tutte le linee prospettiche del canto, come già all'inizio: si celebrano i mistici sponsali della Verità con le virtù teologali (di cui i tre apostoli sono i simboli viventi) che, sole, ad essa conducono, e in Beatrice che non distoglie lo sguardo dal gruppo dei tre discepoli è la fissità assorta della Verità che contempla le tre strade che portano alla conoscenza di Dio. Si ripete, in questo momento, la scena del paradiso terrestre, allorché le tre donne che simboleggiavano le tre virtù teologali resero omaggio, danzando, a Beatrice ( cfr. Purgatorio XXXI, 130-132). Ma ora l'intenzione allegorica, che nel passo sopra ricordato del Purgatorio si traduceva in un breve movimento rappresentativo ( l'altre tre si fero avanti, danzando al loro angelico caribo), fa lievitare la fantasia di Dante in un ampio giro di nove versi, dopo il falso lucore della iperbole astronomica ( versi 101-102 ). Resta nel lettore un'immagine soavissima di donna; che sembra ritagliata dal mondo giovanile e stilnovistico di Dante. Per l'Apollonio essa è "uno dei documenti più precisi sulla coreografia della canzone a ballo...: la sposa al centro della ruota; e ad uno ad uno si staccano dalla ruota i ballerini; a tempo le fanno cerchio; e il coro ripete parole e gesto "volgendosi a nota"" ed é espressione del prolungarsi, nella terza cantica, della poetica dello stilnovismo. Ma questa poetica ha ormai superato il feroce dualismo di sacro e profano, spirito e materia, che l'angustiava, per cui la vita si configurava come dura lotta per superare gli ostacoli della carne e la donna-angelo si presentava come mezzo per operare la purificazione. Giunto alla soglia dell'Empireo, Dante sa che il cielo e la terra sono riconciliati, che quel dualismo è stato risolto, che, anzi, si vive nella speranza - che è certezza - di una eternità nella quale il corpo e l'anima saranno fasciati della stessa luce (versi 88-96). Per questo l'amorosa Beatrice può apparire nella figura di una sposa tacita ed immota, assorta nella sua visione di amore e allorché il Poeta, abbagliato dalla luce di San Giovanni, non potrà vedere la donna amata, la sua esclamazione di dolore (versi 136- 139) sarà una dichiarazione di amore.
“Questi è l’apostolo Giovanni, colui che nell’ultima cena riposò sul petto di Cristo, e che fu scelto da Cristo in croce al grande compito di sostituirlo come figlio presso Maria.
San Giovanni Evangelista, l'apostolo prediletto di Gesù, posò il capo sul petto del Salvatore (Giovanni XIII, 23; XXI, 20), il quale, prima di morire, lo affidò come figlio a Maria (Giovanni XIX, 26-27).
Nostro pellicano: secondo una leggenda molto nota nel Medioevo, il pellicano, squarciandosi il petto, risuscita i propri figli con il sangue che sgorga dalla sua ferita.
Poiché Gesù nel Salmo CII, 7 è rappresentato come un pellicano, la letteratura medievale attribuì a quella leggenda un significato simbolico per indicare Cristo, che con il suo sangue redense l'umanità.
Così disse Beatrice; né per questo le sue parole distolsero il suo sguardo dal restare fisso sugli apostoli più di quanto lo avesse distolto prima di parlare.
Come colui che aguzza lo sguardo e si sforza di vedere l’eclissi parziale di sole, e, per voler vedere troppo, restando abbagliato non vede più nulla,
così divenni io dinanzi a quell’ultimo splendore finché mi fu detto (dal Santo): “Perché ti abbagli cercando di vedere una cosa che qui non può essere ?
Molti scrittori patristici e medievali affermano che San Giovanni fu assunto in cielo anche con il corpo, derivando questa loro credenza dall'interpretazione di un passo evangelico (Giovanni XXI, 21-23). Gesù, durante la terza apparizione dopo la morte, pronunciò queste parole riferendosi a Giovanni: "Se voglio che egli resti, finché io ritorni, che te ne importa?". Dante smentisce questa credenza popolare, mentre San Tommaso sembra accoglierla (Summa Theologica XIII, LXXVII, 1 ).
Il mio corpo in terra è diventato polvere, e vi starà con gli altri corpi finché il numero di noi beati sarà pari a quello stabilito dall’eternità nella mente divina.
Basandosi probabilmente su un passo dell'Apocalisse(VI, 11), Dante afferma che Dio ha stabilito fin dall'eternità il numero dei beati. In un passo del Convivio (II, V, 12) il suo pensiero appare più specificato: il numero dei beati sarà pari a quello degli angeli ribelli, dei quali occuperanno il posto - il decimo - nella gerarchia angelica.
Con l’anima e con il corpo in paradiso si trovano solo Cristo e la Vergine, le due luci che poco fa sono salite all’Empireo; e questo tu riferirai giù nel vostro mondo ”.
A queste parole la splendente danza dei beati cessò insieme alla soave mescolanza dei suoni che nasceva dal canto dei tre apostoli,
così come, al suono del fischio del capovoga, per riposarsi o evitare un pericolo, si fermano tutti i remi, con i quali prima i rematori percuotevano regolarmente l’acqua.
Ah quanto mi turbai nell’animo, quando mi volsi per guardare Beatrice, perché non potei vederla, sebbene fossi
vicino a lei, e nel felice mondo dei beati!
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