LETTERATURA ITALIANA: UGO FOSCOLO

 

Luigi De Bellis

 


HOME PAGE
FOSCOLO

 
FOSCOLO: Introduzione a "Dei sepolcri"
a cura del prof. Giuseppe Bonghi


Il carme Dei Sepolcri fu composto dal Foscolo nel 1806 fra i mesi di luglio e settembre e pubblicato a Brescia ai primi d'aprile del 1807. All'origine vi fu certamente una discussione che il Poeta, durante la breve visita a Venezia del 16-17 giugno 1806, ebbe nel salotto veneziano della Contessa Isabella Teòtochi Albrizzi con l'amico Ippolito Pindemonte, al quale verrà poi dedicato, sul tema delle sepolture, che in quegli anni, sulla spinta delle legislazioni sia della Francia che dell'Austria, stava modificando costumi e modi di vivere, in una società che cominciava a marciare speditamente sulla via del progresso economico-industriale e civile, favorita anche dalla diffusione delle teorie illuministiche. Il Pindemonte nel suo poemetto intitolato Cimiteri aveva espresso la sua contrarietà alla nuova legislazione e alla nuova filosofia, temendo che queste potessero portare a trascurare il culto dei defunti e il Foscolo aveva risposto, invece, con argomentazioni che affermavano la giustezza di quanto stava avvenendo. Ma a una più attenta analisi Foscolo capì che le idee esposte non corrispondevano al suo modo di sentire e alla sua concezione della vita e dei destini dell'umanità. Il Carme può essere diviso in quattro parti e un'introduzione:

- 1) vv. - 1-22 - introduzione, in cui è dichiarata la materia generale, l'interesse dei vivi per le tombe: 

"Il sonno della morte non è certamente meno doloroso in un'urna confortata di pianto. Quando il sole non risplenderà più innanzi al poeta nessun compenso sarà per i giorni perduti una pietra che distingua le sue dalle infinite altre ossa. Persino l'ultima dea, la Speranza, abbandona i sepolcri; e tutto il tempo travolge  nella sua notte, non soltanto gli uomini e le loro tombe ma le reliquie stesse della terra e del cielo".

- 2) vv. 23-90 - parte prima, le tombe sono la "Celeste corrispondenza d'amorosi sensi" e "sol chi non lascia eredità d'affetti / poca gioia ha dell'urna"; ma una nuova legge impone la sepoltura fuori dai centri abitati, dallo sguardo pietoso degli uomini, e questa ha permesso che senza una tomba sia sepolto Parini, il cui corpo magari giace mischiato a quelli di infami che hanno lasciato la vita sul patibolo:

 "perché tuttavia l'uomo dovrebbe rinunciare alla benigna illusione del sepolcro, a quelle soavi cure della tomba per le quali ancora sopravvive sotterra? Una celeste dote esiste negli uomini; per questa dote si genera tra i vivi e i trapassati una corrispondenza di amorosi sensi; per questa dote noi viviamo con l'amico estinto e l'estinto con noi, se le sue ossa siano state accolte pietosamente dalla terra nativa, e un sasso conservi il ricordo del nome. Solo per chi non lascia sulla terra eredità di affetti il sepolcro è privo di senso, né alcuna voce dalla tomba può giungere ai viventi. Eppure nuove leggi vorrebbero contendere ai morti la memoria dei nome, e invidiare ai superstiti l'illusione del sepolcro. E senza tomba giace Parini, il sacerdote della Musa Talia, che nella sua povera casa scrisse poesie satiriche come omaggio alla dea, cantando del giovin signore, del moderno e corrotto Sardanapalo, per il quale sola dolcezza era il muggito dei buoi: le sue ceneri avrebbero dovuto essere accolte in una tomba, ornata di alberi ombrosi, tra le mura stesse di Milano, che pure è stata allettatrice di cantori senza dignità e senza virilità, ed ora giace privo di tomba in una fossa comune, nella quale forse il suo capo è insanguinato da quello mozzato di un ladro che ha lasciato sul patibolo la sua vita delittuosa. Invano sulle ossa del Parini la Musa Talia vigila pietosa per custodirle, invano prega che la notte sia larga di rugiada alle reliquie del poeta. Sulle tombe il conforto d’un fiore può sorgere soltanto quando viene onorato dal pianto amoroso e onorato dalla lode degli uomini, facendo sopravvivere l’estinto oltre la morte".

- 3) vv. 91-150 - parte seconda: le tombe trovano la loro giustificazione nella storia; dopo aver delineato il significato di illusione e di tomba, Foscolo ne descrive l'origine: l'uomo quando esce dallo stato ferino, comincia a formare gruppi sociali che hanno bisogno, per cementare l'unione fra i singoli componenti, di norme e linguaggio per capirsi: proprio quando istituisce la famiglia, le leggi e il culto dei morti, non solo come elemento di pietà ma soprattutto come elemento eternante l'illusione di una vita che continua al di là della morte nella mente dei vivi, possiamo dire che sia nata la società civile: 

"Dal giorno in cui l’uomo istituì le nozze, i tribunali e gli altari (famiglia-legge-religione), superò la sua ferina barbarie primitiva, diventando pietoso verso se stesso e gli altri, e cominciò seppellire i corpi delle persone care togliendole all’insulto dell’aria maligna e delle belve feroci, il sepolcro è diventato testimonianza delle imprese passate un altare per i vivi: e non c’era impresa o decisione importante che non avesse avuto religiosamente il rito degli auspici presi sulle tombe degli antenati venerati come custodi e dèi (Lari) della Patria e sacro e rispettato divenne il giuramento prestato sulle loro tombe: questi riti tramandarono per lunghi secoli gli uomini. Né il culto dei morti è stato sempre così orrido e tenebroso come nei riti che furono propri delle età medioevali, ma un luogo d’incontro tra i vivi è stato il sepolcro, allietato da odorosi cipressi e cedri che impregnavano di puri profumi l’aria circostante (così diverso dal lezzo dei cadaveri impregnato d’incenso delle chiese medioevali) protendendo perenne verde e morbide ombre sulle urne mentre vasi preziosi raccoglievano le lacrime votive, mentre i vivi rubavano una faville al sole per rendere meno buia la sotterranea eterna notte, perché gli uomini emanando l’ultimo sospiro alla luce che sfugge cercano il sole. E sulle tombe venivano coltivati viole e amaranti, e i vivi si sedevano a libar latte e a raccontare le proprie pene, mentre intorno si spandeva la fragranza medesima degli Elisi; è una pietosa insania, una (folle) illusione nata dalla pietà che spinge a cercare e onorare i sepolcri, come fanno le britanne vergini, che curano le tombe suburbane. E mentre si crea un  mausoleo già da vivo nelle reggie piene di adulazioni, il poeta prega che il destino gli prepari un avello in cui le sue ossa possano riposare una volta che il destino abbia cessato di dar corso alle vendette e l’amicizia possa raccogliere non una eredità di tesori materiali, ma l’esempio di nobili sentimenti e di una poesia libera da cortigiania e adulazione".

- 4) vv. 151-225 - parte terza: è il momento della giustificazione civile delle tombe, che devono ispirare gli uomini forti a intraprendere una vita che può essere forte solo seguendo i grandi ideali che i grandi uomini con le loro opere ci hanno tramandato e dei quali le tombe sono la testimonianza sempre viva e presente; Firenze, che ha dato i natali a Dante, e Santa Croce che conserva le tombe dei grandi (Machiavelli, Petrarca, Alfieri, Michelangelo, ecc.) sono la esemplificazione efficace di questo concetto, insieme all'immagine delle tombe innalzate ai prodi di Maratona che evidenziano l'idea della morte come "giusta dispensiera" di fama e gloria per i generosi che hanno versato il sangue per la Patria e per coloro che hanno ben operato. Per questo la tomba appare come un "riposato albergo" nel quale cessa ogni vendetta e comincia per i morti nei vivi un'esistenza più alta e degna di onori: 

 "Le urne dei grandi incitano l’animo dei forti a compiere gloriose imprese e rendono nobile e sacra al pellegrino la terra che le accoglie. Quando il poeta visitò in Santa Croce le tombe degli italiani più grandi, di Machiavelli che ha svelato alle genti di quante lagrime e sangue gronda lo scettro dei regnanti, di Michelangelo che in Roma costruì la cupola di San Pietro, di Galilei che vide sotto la volta celeste ruotare più mondi intorno al sole e aprì la via a Newton le vie del firmamento, dichiarò beata Firenze non solo per le felici aure piene di vita, per i natali e la lingua concessi a Dante Ghibellin fuggiasco e a Petrarca che dolcemente cantò d’amore; ma più beata perché serbava accolte in un tempio le glorie della Patria, le uniche superstiti che mai avrebbero potuto essere invase e conquistate, dal giorno in cui le Alpi non han più formato un baluardo difensivo per l’Italia. Da un tempio in cui splenda sull’Italia e nell’animo di uomini forti e coraggiosi la speranza di gloria, gli italiani avrebbero tratto gli auspici per il loro riscatto. Proprio nel tempio di Santa Croce veniva a meditare l'Alfieri che da quei marmi traeva l'unico conforto e l'unica speranza, dopo aver errato muto sulle sponde dell’Arno mirando i campi e il cielo e nessuna presenza umana gli raddolciva l’animo. Tra le mura di Santa Croce spirano quegli ideali ed ora Alfieri abita grande fra quei grandi. E in quel tempio un Nume, una potenza arcana e misteriosa, parla, il dio della Patria che ha nutrito l’animo e la virtù greca contro i Persiani in Maratona, dove Atene consacrò tombe per i suoi prodi che la salvarono dalla distruzione: il navigante che viaggiava presso l’Eubea nell’ampia oscurità poteva vedere un balenar d’elmi e di spade che cozzavano, e l’igneo vapore delle pire che ardevano i corpi degli eroi e le larve guerriere cercar la battaglia nel frastuono delle armi e del suono delle tube, fra i cavalli scalpitanti che incalzavano sugli elmi dei moribondi, fra i pianti e gli inni e il canto delle Parche. Felice il Pindemonte che nella sua giovinezza veleggiò per i mari della Grecia e udì l'eco delle antiche imprese! E se il timoniere diresse la prua della nave oltre le isole greche, certamente d’antichi fatti udisti risuonare i lidi dell’Ellesponto: ai generosi la morte è giusta dispensiera di gloria, una gloria che nè il senno astuto di un Ulisse né il favore di re come Agamennone avrebbe potuto mai togliere, come Ulisse non aveva potuto conservare le armi di Achille che spettavano di diritto ad Aiace perché l’onda del mare incitata dagli dei infernali le aveva ritolte alla poppa della sua nave per ricondurle sulla tomba dello stesso Aiace che reso folle dallo smacco subito si uccise".


- "A egregie cose il forte animo accendono / l’urne de’ forti...": alla forza che unisce vivi e morti, nella sacralità giuridica e religiosa che realizza concretamente la stessa pietà umana, si aggiunge l’insegnamento che dalla contemplazione delle tombe, insieme alla meditazione delle gesta compiute dai grandi personaggi che lì hanno trovato l’estremo riposo, l’uomo può ricevere per ben agire ed operare: in questo modo le tombe diventano il simbolo degli ideali che animarono gli antenati, un incitamento al progresso e alle conquiste sociali e civili.

- 5) vv. 226-295 - parte quarta: contiene la "giustificazione poetica": in questi versi troviamo la sostanza dell’esistenza stessa della poesia; si apre con la figura dello stesso Foscolo, che i tempi e il desio d'onore / fan per diversa gente ir fuggitivo (tema dell'esilio) e si chiude con la grandiosa figura di Ettore, che muore per la difesa della patria, eroe sfortunato, così come sfortunato era stato il Foscolo. Uno dei compiti della poesia è proprio quello di celebrare gli eroi e di tramandarne le imprese e la gloria: così la gloria dell'eroe troiano è eternata dal canto di Omero e di Foscolo, insieme alle donne iliache, che sulle tombe degli eroi caduti sciolgono in segno di lutto le loro chiome, alla stirpe di Elettra amata da Giove e ai suoi discendenti Dardano, Ilo e Assaraco. Il carme si chiude col concetto dell'illusione che nel futuro le tombe possano essere onorate da lagrimati affetti per cui men duro sarà il sonno della morte.


      " Le Muse ad evocar gli eroi chiamino il Poeta, che per luoghi stranieri va fuggitivo ed esule spinto dal desiderio d’onore e dai tempi malvagi, concedendogli almeno di rievocare le antiche glorie, di rendere eterni col canto gli eroi. Le Muse, animatrici del pensiero mortale, siedono infatti sulle tombe come custodi, e quando su queste si abbatte distruggendole la furia del tempo, esse rendono lieti i deserti col loro canto e l’armonia vince il silenzio di mille secoli: così dal deserto sorge la voce dei poeti, e per quella voce risplendono gli ideali e i sogni dei trapassati. Ancor oggi, nel deserto inseminato della Troade, risplende eterno agli uomini un luogo; eterno per la ninfa Elettra, amata da Giove, cui diede il figlio Dardano, fondatore di Troia, e progenitore di Assaraco e Priamo (al quale la leggenda attribuiva cinquanta figli) ed Enea fondatore della futura Roma. Quando Elettra udì la voce della Parca, chiese all'Amato: ‘Se care ti furono le mie chiome e il viso e le dolci attese e le dolci veglie, in questo momento supremo guarda la tua morta amica dal cielo, affinchè resti immortale almeno la sua fama’. Così pregando moriva Elettra e Giove Olimpio gemendo soffriva per quella morte e con un lieve cenno del capo rese sacra la sua tomba facendo piovere ambrosia sul corpo della Ninfa. Intorno a quella tomba si raccolsero i sepolcri dei grandi troiani, di Erittonio e di Ilo e su quelle tombe le donne iliache scioglievano nel pianto le chiome pregando che fosse allontanato dal capo dei loro mariti l’imminente fato e venne Cassandra, figlia di Priamo, guidando i nipoti ed insegnando loro un amoroso lamento; e sospirando diceva loro: ‘se mai pascerete i cavalli di Diomede figlio di Tideo o di Ulisse figlio di Laerte, e il destino vi permetterà di tornare, invano allora cercherete la vostra patria, perché le mura, opera di Apollo saranno macerie fumanti; ma in queste tombe si troveranno i Penati di Troia, perché dono degli dèi è conservare fiero e indimenticato il nome dei grandi; e voi, cipressi e palme, piantati dalle nuore di Priamo ormai vedove, crescete in fretta innaffiate dalle vedovili lacrime e proteggete i miei padri, e quelli che con pietà terranno lontana la scure da questi alberi soffriranno meno dei luttuosi avvenimenti di persone care; un giorno Omero, un cieco mendìco, errerà tra quelle antichissime ombre, ed abbraccerà i sepolcri ed interrogherà le urne: e narrerà di Ilio (Troia) raso due volte e due volte risorto splendidamente sulle mute vie per rendere più bella l’ultima conquista dei Greci vittoriosi aiutati dal Fato; e il sacro vate, placando le afflitte anime troiane, eternerà col suo canto la gloria dei principi greci, in tutte le terre abbracciate dal grande Padre Oceano; e tu Ettore avrai onore di pianti e sarai ricordato ovunque sarà sacro e onorato di lagrime il sangue versato per la patria, e finché il sole risplenderà sulle sciagure degli uomini ".    

Nella tabella sottostante riportiamo i personaggi trattati nel carme

I personaggi

Machiavelli

Trattando del potere ha svelato alle genti di quanto sangue innocente e di quante lagrime esso gronda: il potere non sembra avere più misteri

Michelangelo

Ha innalzato in Roma la cupola di San Pietro in onore di Dio, paragonata alla cima del monte Olimpo in onore degli DEI dell’antica Grecia

Galilei

Per primo ha affermato la teoria geocentrica aprendo la strada allo studio del firmamento al Newton

Firenze e Dante

Firenze per prima ascolta il carme che ha rallegrato l’ira del Ghibellin fuggiasco (la poesia scritta prima dell’esilio)

Petrarca

Firenze ha dato i natali e la lingua al Petrarca (nato ad Arezzo da genitori fiorentini in esilio) che ‘Amore in Grecia nudo e nudo in Roma / d’un velo candidissimo adornando, / rendea nel grembo a Venere celeste;’

Pindemonte

Amico di Foscolo, viaggia per i mari greci all’età di 23 anni e che certo conobbe i miti dell’antica Grecia e ne condivise gli ideali col Foscolo

Ulisse

l’anti-eroe condannato degli dei inferi e condannato dalla storia perché portatore solo di senno astuto e non di valori e illusioni

Elettra

Il mito positivo della progenitrice la cui fama diventa eterna attraverso il canto del poeta, di Omero che trova nella storia la fonte della sua narrazione

Cassandra

l’eroe sconfitto, come Foscolo, che cerca di lasciare nei posteri una traccia, un insegnamento duraturo dei grandi valori

Ettore

l’eroe altamente positivo, che incarna le illusioni della patria, dell’onore, dell’amore di figlio, di marito, di cittadino; ma è anche l’eroe sconfitto eppure eterno nel tempo e perciò vincitore, al quale sono indirizzate le simpatie del poeta e del lettore.

         Perfettamente fusi risultano in questo carme l'elemento romantico e l'elemento neoclassico, che diventa quasi la naturale sostanza del primo; ancora una volta la poesia si tuffa nel passato per trovare quella forza che permetta di superare la dolorosità di un presente che è fatto di incertezze e nel quale le cose più belle cadono troppo presto. Gli stessi versi sono costruiti con una armoniosità che rare volte trovano l'uguale nella storia della poesia italiana. –
         La vita umana è dolore, ma l'uomo ha in sé una dote religiosa, la capacità di creare a se stesso dei miti, l'immortalità, l'amicizia, l'amore, la bellezza; miti per i quali, nonostante il loro valore illusorio, si abbellisce e si fa degna la vita; illusioni che gli uomini tramandano di secolo in secolo, affidandone la custodia al culto delle tombe e al canto dei poeti. Intitolato ai Sepolcri il carme potrebbe essere intitolato ugualmente alla storia o alla poesia, che furono con la patria e la bellezza le vere illusioni del Foscolo, e rivelare così anche nel titolo la palese ispirazione vichiana.
         Il carme è ispirato ai sepolcri; ma la parte più importante è occupata dalla poesia, che si svolge ed accentra intorno alla figura di tre vari, trasfigurati dal Foscolo in una sorta di figurazione simbolica; questo è lo schema riassuntivo:

 

Le figure poetiche

la figura del Parini

la figura dell'Alfieri

la figura di Omero

- rinnovatore del costume civile,
- maestro di orgogliosa povertà e indipendenza;
- giace senza tomba, vittima delle nuove leggi

- irato ai numi della patria, sdegnoso lungo le rive solitarie dell'Arno si rifugia in Santa Croce
- amore per la libertà

trasfigurato ossianicamente in un vecchio favoloso, che brancolando penetra negli avelli e abbraccia le urne e interroga le antichissime ombre

la figura del Foscolo

- errabondo fuggire di gente in gente.
- concetto di poesia come ricordo delle imprese degli eroi,
- fine della poesia: insegnare l'eredità degli affetti

la figura di Omero

è il simbolo di ogni poeta che risponda all'ideale nuovo del Foscolo: l'ideale di un poeta che si ispira alla storia, e consacra e rende eterne le illusioni più generose degli uomini.

         Poche opere poetiche trascendono come questa la figura dell'autore, si innalzano ad un tale significato; eppure l'immagine del poeta si impone nei versi con tale evidenza immediata. Poche opere poetiche sono legate come i Sepolcri ad un momento storico determinato, alle speranze di una nazione in un momento particolare della sua storia; eppure poche sono le pagine da cui derivi una musica come questa, " che va dal più remoto passato al più indefinito avvenire ".
         Infine annotiamo come qualche critico ha osservato che i Sepolcri debbono essere considerati come la maggiore "fonte" di quella pesante tradizione retorica che vede nei monumenti un motivo di esaltazione delle glorie nazionali e che la nazione non vi compare mai come popolo ma come un insieme di marmi illustri, di lapidi.

A questa osservazione occorre aggiungere che il Foscolo visse in un'epoca:
         - in cui fu vivissimo il senso dei monumenti, delle scoperte archeologiche, dei marmi: l'epoca della riscoperta di Ercolano, di Pompei, della "prosopopea di Pericle",
         - in cui dovunque parvero germinare dal suolo i resti dissepolti delle antiche glorie, che determinarono un fiorire di antichi marmi e le celebrazioni più convenzionali, perché monotonamente immutabili del neoclassicismo ufficiale (basta ricordare gli scultori Canova e David), la glorificazione dei potentati viventi, dal Papa Pio VI a Napoleone Bonaparte;
         - in cui vivissimo era il distacco tra una plebe numerosa e stracciona e una nobiltà senza potere che viveva di una rendita agraria spesso miserabile e che aveva perso ormai irrimediabilmente il proprio potere economico a favore di una borghesia emergente e fortemente motivata a conquistare anche il potere politico per conservare quello economico;
         - in cui in Italia i particolarismi regionali e campanilistici erano troppo forti rispetto a una visione d’insieme: in cui ad esempio il concetto di patria era limitato al comune, se non addirittura al quartiere o al focolare domestico, come possiamo vedere nell’opera del Nievo;

        
- in cui la crisi politica dei piccoli potentati italici era giunta a un livello talmente profondo che le grandi nazioni, come Francia e Impero austriaco, con un tratto di penna potevano dichiarare decaduta una Repubblica gloriosa e plurisecolare come quella Serenissima Veneta, o creare dal nulla repubbliche che dureranno qualche anno, ecc.;
         - in cui le certezze del passato sono divenute ormai fumose e anacronistiche.
         In questo ambito solo nei versi del Foscolo i monumenti sono presentati non in funzione declamatoria o cortigiana, ma fortemente propositiva e polemica nei confronti del presente:
         - E me che i tempi ed il desio d'onore / fan per diversa gente ir fuggitivo;
         - Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo, / decoro e mente al bello italo regno, / nelle adulate regge ha sepoltura / già vivo ...

     Riportiamo, a titolo di curiosità, per coloro che amano il Foscolo, ma anche per chi volesse approfondire le proprie conoscenze foscoliane, il brano contenuto nella Lettre à monsieur Guillon, nella quale il poeta tratta della incompetenza dell’abate francese a giudicare i poeti italiani, che viene da tutti conosciuto ormai come il sommario del Carme. La lettera fu scritta in risposta alla critica che l'abate francese Aimé Guillon aveva pubblicato contro il carme foscoliano sul Giornale Ufficiale di Milano. Il sommario risulta " sostanzialmente così poco aderente al contenuto e allo spirito dei Sepolcri da impacciare anziché renderne più facile la comprensione ".

     

I monumenti inutili ai morti giovano ai vivi, perché destano affetti virtuosi lasciati in eredità alle persone dabbene, solo i malvagi, che si sentono immeritevoli di memoria, non la curano; a torto dunque la legge accomuna le sepolture de' tristi e dei buoni, degli illustri e degli infami.
      Istituzione delle sepolture nata col patto sociale.
     Religione per gli estinti derivata dalle virtù domestiche.
     Mausolei eretti dall'amore della Patria agli Eroi.
     Morbi e superstizioni de' sepolcri promiscui nelle chiese cattoliche.
     Usi funebri de' popoli celebri.
     Inutilità dei monumenti alle nazioni corrotte e vili.
     Le reliquie degli Eroi destano a nobili imprese e nobilitano le città che le raccolgono; esortazioni agli Italiani di venerare i Sepolcri de' loro illustri concittadini; quei monumenti inspireranno l'emulazione agli studi e l'amor di Patria, come le tombe di Maratona nutriano ne' Greci l'aborrimento a' Barbari.
     Anche i luoghi ov'erano le tombe de' grandi, sebbene non vi rimanga vestigio, infiammano la mente de' generosi.
     Quantunque gli uomini di egregia virtù siano perseguitati vivendo, e il tempo distrugga i lor monumenti, la memoria delle virtù e de' monumenti vive immortale negli scrittori, e si rianima negl'ingegni che coltivano le muse.
     Testimonio il sepolcro d'Ilo, scoperto dopo tante età da' viaggiatori che l'amor delle lettere trasse a peregrinar alla Troade: sepolcro privilegiato da' Fati perché protesse il corpo d'Elettra da cui nacquero i Dardanidi autori dell'origine di Roma e della prosapia de' Cesari signori del mondo.

 

Una voce critica .... Mario Pazzaglia

 

da: Mario Pazzaglia, Letteratura italiana, vol. 3, l’Ottocento, Testi e critica con lineamenti di storia letteraria, Zanichelli, Bologna 1991, p. 68-69

         Il carme Dei Sepolcri fu scritto fra il luglio e il settembre del 1806, pubblicato a Brescia nel 1807. Il motivo occasionale fu una disputa che il Foscolo ebbe con Ippolito Pindemonte nel salotto di Isabella Teotochi Albrizzi, a Venezia, intorno al problema, allora assai dibattuto, delle sepolture. Sia, infatti, la legislazione francese (editto di Saint Cloud, 1804) sia quella austriaca, che venivano, nel giro di quegli anni, estese all'Italia, imponevano che le sepolture fossero poste fuori dell'abitato e vietavano monumenti vistosi e iscrizioni. Il Pindemonte, cattolico, esponendo il piano di un suo poemetto, i Cimiteri, aveva lamentato che la moderna filosofia, cui s'ispirava la nuova legislazione, inducesse a trascurare il pietoso culto dei defunti; il Foscolo lo aveva contraddetto con considerazioni scettiche e materialistiche. Ma poi, approfondendo la propria meditazione, s'accorse che quelle tesi non corrispondevano al suo intimo sentire, o, almeno, non ne esaurivano la complessità, e compose il suo carme come una ripresa, su un piano poetico, della disputa avuta col Pindemonte, ampliandola, però, in una considerazione più vasta del destino umano.
         Il sensismo e il materialismo del Foscolo lo portavano a negare l'esistenza di Dio, di una vita futura dell'anima, di ogni ordine provvidenziale dell'universo. Con questa concezione si apre il carme, proclamando l'ineluttabilità della morte, il nulla eterno, l'inutilità delle tombe. Ma proprio da questa visione desolata erompe, tenero e struggente, l'inno alla vita, alla bellezza della natura, alle gioie dell'amicizia e dell'amore, alla dolcezza delle illusioni, prima fra tutte la poesia, non solo quella che si esprime nel verso, ma anche quella che il poeta avvertiva nei suoi sentimenti più elevati; inno che esprime un'ansia d'eternità, un bisogno di essere e di durare oltre la parentesi breve dei giorni. E questa illusione, ché tale appare alla luce della ragione, diviene anche l'incentivo che spinge l'uomo a opporre alla perenne metamorfosi delle cose e di sé stessi, dei valori che durino intatti nel tempo e diano un significato alla vita.
         Su questo contrasto è fondato tutto lo svolgimento del carme, poema della morte e della vita, del loro perenne incontrarsi e scontrarsi, della loro continua e drammatica compresenza. Alla cieca, incomprensibile e meccanica legge della natura, il Foscolo contrappone un mondo umano, che sia continua creazione di valori e di civiltà, in una perennesfida al nulla eterno.
         Questo inondo nasce proprio dallo squallore della tomba. La pietà che compone i miseri resti destinati a rifluire nel ciclo della materia, nel sepolcro, e pianta su di esso un albero simbolo della vita, è una rivolta contro la morte, è l'affermazione che il defunto continuerà a vivere nella memoria e nel cuore di chi l'ha amato. Questa "corrispondenza d'amorosi sensi" è dote veramente divina dell'animo, perché attesta l'esistenza di una volontà che trionfa sulla legge di perpetua guerra fra gli esseri sancita dalla natura; da questa corrispondenza deriva il sentimento della continuità della vita urnana, e cioè quello che noi chiamiamo tradizione, storia, civiltà.
         C'è, ovunque, nell'uomo una forza spirituale che continuamente crea; crea in primo luogo un'eredità d'affetti, e quindi ideali di verità, bellezza, giustizia, patria, mediante i quali l'individuo entra in contatto dinamico e attivo con l'umanità, contribuisce alla formazione di un patrimonio spirituale comune che dura nei secoli. E se le alterne vicende delle "urnane sorti" sembrano a volte distruggerlo, esso rinasce intatto, solo che gli uomini si specchino nelle tombe dei grandi, ne ascoltino l'alto messaggio.
         Da semplice nodo d'affetti familiari, il sepolcro diviene così religione, tradizione e civiltà d'una stirpe. Le tombe degli eroi, cioè di coloro che hanno espresso gli ideali più nobili, diventano patrimonio inalienabile d'una nazione e di tutta l'umanità e accendono gli animi generosi a egregie cose. Così le tombe dei grandi di S. Croce ricordano ancora agli Italiani, avviliti dalla servitù, l'antica grandezza, li esortano a rinnovarla, a riscattare la patria dall'oppressione.
         Ma il flusso perenne della materia distrugge, come i nostri resti mortali, anche le tombe. Tuttavia la gloria degli eroi non muore, ma continua a vivere eterna nel canto del poeta, che trae dal freddo silenzio delle tombe una parola di vita e di speranza.
         L'ultima parte del carme è un inno alla poesia, il cui compito è quello di tramandare non solo il ricordo degli eroi, ma anche i valori che essi affermarono. Essa, in tal modo, crea e diffonde il culto delle più alte illusioni che riscattano la nostra vita dal nulla. Quello del poeta diventa un sacerdozio altissimo di umanità e di civiltà: e la poesia diventa mezzo di suprema elevazione, di armonia spirituale e morale, di autentica civiltà.
         I Sepolcri fondano, dunque, una nuova religione, tutta laica e terrena, del vivere, che se si oppone alla trascendenza cattolica, inconcepibile per il Foscolo, s'oppone anche al credo razionalistico, esaltando il sentimento e l'eroismo contro il freddo, sterile calcolo della ragione, la quale può solo additare la vanità del vivere e condurci a un'inerzia scorata. Dalla disperazione dell'Ortis, il poeta è giunto a una coraggiosa accettazione della vita, non ignara della morte, dell'angoscia, del nulla eterno, ma protesa, di là da essi, all'affermazione dell'umano, che anela, mediante una continua creazione di valori, a prolungare l'esistenza limitata del singolo nella storia.
         Stilisticamente i Sepolcri uniscono all'impeto, alla passione e alla romantica ricerca dei sublime, di una poesia, cioè che esprima in immagini lampeggianti e in intuizioni grandiose la drammatica realtà del vivere, una rigorosa architettura classica, che giova alla concentrazione altissima di immagini, sentimenti, pensieri. Questo avviene soprattutto all'inizio (vv. 1-22) e dopo il v. 150, quando il poeta abbandona il procedimento didascalico, prevalente nella prima parte del carme e ancora legato a modelli settecenteschi, per creare nuovi grandi miti, immaginazioni potenti e conclusive. I Sepolcri diventano allora come una grande sinfonia della vita e della morte, ed esprimono nel ritmo del verso, nella sua musica mesta e solenne, l'epopea dell'eroismo inscindibilmente unita alla tragedia del destino. L'ampiezza dei periodi poetici, le loro lente volute, la solennità austera e appassionata dei ritmi e dei suoni fanno veramente pensare a un severo canto religioso, nel quale tutte le voci sono presenti, da quelle meste ed elegiache a quelle magnanime ed eroiche.

        
Dei Sepolcri si può dire ciò che diceva il Foscolo stesso nel Saggio sulla letteratura contemporanea in Italia: "ciascun verso ha pause peculiari e accenti convenienti all'argomento, onde i sentimenti melanconici procedono con ritmo lento e misurato, e le immagini vivaci balzano avanti con il rapido passo della gioia; il poeta è riuscito a dare una diversa melodia a ciascun verso e varia armonia ad ogni periodo".
 

http://www.fausernet.novara.it/fauser/biblio/bios/bio048.htm


2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it