Il carme
Dei Sepolcri
fu composto dal
Foscolo nel 1806 fra i mesi di luglio
e settembre e pubblicato a Brescia ai primi
d'aprile del 1807. All'origine vi fu
certamente una discussione che il Poeta,
durante la breve visita a Venezia del 16-17
giugno 1806, ebbe nel salotto veneziano
della Contessa Isabella Teòtochi Albrizzi
con l'amico Ippolito
Pindemonte, al quale verrà poi
dedicato, sul tema delle sepolture, che in
quegli anni, sulla spinta delle legislazioni
sia della Francia che dell'Austria, stava
modificando costumi e modi di vivere, in una
società che cominciava a marciare
speditamente sulla via del progresso
economico-industriale e civile, favorita
anche dalla diffusione delle teorie
illuministiche. Il Pindemonte nel suo
poemetto intitolato
Cimiteri aveva espresso la sua
contrarietà alla nuova legislazione e alla
nuova filosofia, temendo che queste
potessero portare a trascurare il culto dei
defunti e il Foscolo aveva risposto, invece,
con argomentazioni che affermavano la
giustezza di quanto stava avvenendo. Ma a
una più attenta analisi Foscolo capì che le
idee esposte non corrispondevano al suo modo
di sentire e alla sua concezione della vita
e dei destini dell'umanità. Il Carme può
essere diviso in quattro parti e
un'introduzione:
- 1)
vv. - 1-22 -
introduzione,
in cui è dichiarata la materia generale,
l'interesse dei vivi per le tombe:
"Il sonno della morte non è certamente meno
doloroso in un'urna confortata di pianto.
Quando il sole non risplenderà più innanzi
al poeta nessun compenso sarà per i giorni
perduti una pietra che distingua le sue
dalle infinite altre ossa. Persino l'ultima
dea, la Speranza, abbandona i sepolcri; e
tutto il tempo travolge nella sua notte,
non soltanto gli uomini e le loro tombe ma
le reliquie stesse della terra e del cielo".
- 2)
vv. 23-90 -
parte prima, le
tombe sono la "Celeste corrispondenza
d'amorosi sensi" e "sol chi non lascia
eredità d'affetti / poca gioia ha
dell'urna"; ma una nuova legge impone la
sepoltura fuori dai centri abitati, dallo
sguardo pietoso degli uomini, e questa ha
permesso che senza una tomba sia sepolto
Parini, il cui corpo magari giace mischiato
a quelli di infami che hanno lasciato la
vita sul patibolo:
"perché
tuttavia l'uomo dovrebbe rinunciare alla
benigna illusione del sepolcro, a quelle
soavi cure della tomba per le quali ancora
sopravvive sotterra? Una celeste dote esiste
negli uomini; per questa dote si genera tra
i vivi e i trapassati una corrispondenza di
amorosi sensi; per questa dote noi viviamo
con l'amico estinto e l'estinto con noi, se
le sue ossa siano state accolte pietosamente
dalla terra nativa, e un sasso conservi il
ricordo del nome. Solo per chi non lascia
sulla terra eredità di affetti il sepolcro è
privo di senso, né alcuna voce dalla tomba
può giungere ai viventi. Eppure nuove leggi
vorrebbero contendere ai morti la memoria
dei nome, e invidiare ai superstiti
l'illusione del sepolcro. E senza tomba
giace Parini, il sacerdote della Musa Talia,
che nella sua povera casa scrisse poesie
satiriche come omaggio alla dea, cantando
del giovin signore, del
moderno e corrotto Sardanapalo, per il quale
sola dolcezza era il muggito dei buoi: le
sue ceneri avrebbero dovuto essere accolte
in una tomba, ornata di alberi ombrosi, tra
le mura stesse di Milano, che pure è stata
allettatrice di cantori senza dignità e
senza virilità, ed ora giace privo di tomba
in una fossa comune, nella quale forse il
suo capo è insanguinato da quello mozzato di
un ladro che ha lasciato sul patibolo la sua
vita delittuosa. Invano sulle ossa del
Parini la Musa Talia vigila pietosa per
custodirle, invano prega che la notte sia
larga di rugiada alle reliquie del poeta.
Sulle tombe il conforto d’un fiore può
sorgere soltanto quando viene onorato dal
pianto amoroso e onorato dalla lode degli
uomini, facendo sopravvivere l’estinto oltre
la morte".
- 3)
vv. 91-150 -
parte seconda:
le tombe trovano la loro giustificazione
nella storia; dopo aver delineato il
significato di illusione e di tomba, Foscolo
ne descrive l'origine: l'uomo quando esce
dallo stato ferino, comincia a formare
gruppi sociali che hanno bisogno, per
cementare l'unione fra i singoli componenti,
di norme e linguaggio per capirsi: proprio
quando istituisce la famiglia, le leggi e il
culto dei morti, non solo come elemento di
pietà ma soprattutto come elemento eternante
l'illusione di una vita che continua al di
là della morte nella mente dei vivi,
possiamo dire che sia nata la società
civile:
"Dal giorno in cui l’uomo istituì le nozze,
i tribunali e gli altari (famiglia-legge-religione),
superò la sua ferina barbarie primitiva,
diventando pietoso verso se stesso e gli
altri, e cominciò seppellire i corpi delle
persone care togliendole all’insulto
dell’aria maligna e delle belve feroci, il
sepolcro è diventato testimonianza delle
imprese passate un altare per i vivi: e non
c’era impresa o decisione importante che non
avesse avuto religiosamente il rito degli
auspici presi sulle tombe degli antenati
venerati come custodi e dèi (Lari)
della Patria e sacro e rispettato divenne il
giuramento prestato sulle loro tombe: questi
riti tramandarono per lunghi secoli gli
uomini. Né il culto dei morti è stato sempre
così orrido e tenebroso come nei riti che
furono propri delle età medioevali, ma un
luogo d’incontro tra i vivi è stato il
sepolcro, allietato da odorosi cipressi e
cedri che impregnavano di puri profumi
l’aria circostante (così diverso dal lezzo
dei cadaveri impregnato d’incenso delle
chiese medioevali) protendendo perenne verde
e morbide ombre sulle urne mentre vasi
preziosi raccoglievano le lacrime votive,
mentre i vivi rubavano una faville al sole
per rendere meno buia la sotterranea eterna
notte, perché gli uomini emanando l’ultimo
sospiro alla luce che sfugge cercano il
sole. E sulle tombe venivano coltivati viole
e amaranti, e i vivi si sedevano a libar
latte e a raccontare le proprie pene, mentre
intorno si spandeva la fragranza medesima
degli Elisi; è una pietosa insania, una
(folle) illusione nata dalla pietà che
spinge a cercare e onorare i sepolcri, come
fanno le britanne vergini, che curano le
tombe suburbane. E mentre si crea un
mausoleo già da vivo nelle reggie piene di
adulazioni, il poeta prega che il destino
gli prepari un avello in
cui le sue ossa possano riposare una volta
che il destino abbia cessato di dar corso
alle vendette e l’amicizia possa raccogliere
non una eredità di tesori materiali, ma
l’esempio di nobili sentimenti e di una
poesia libera da cortigiania e adulazione".
- 4)
vv. 151-225 -
parte terza: è
il momento della
giustificazione civile delle
tombe, che devono ispirare gli uomini forti
a intraprendere una vita che può essere
forte solo seguendo i grandi ideali che i
grandi uomini con le loro opere ci hanno
tramandato e dei quali le tombe sono la
testimonianza sempre viva e presente;
Firenze, che ha dato i natali a Dante, e
Santa Croce che conserva le tombe dei grandi
(Machiavelli, Petrarca, Alfieri,
Michelangelo, ecc.) sono la esemplificazione
efficace di questo concetto, insieme
all'immagine delle tombe innalzate ai prodi
di Maratona che evidenziano l'idea della
morte come "giusta
dispensiera" di fama e gloria per i
generosi che hanno versato il sangue per la
Patria e per coloro che hanno ben operato.
Per questo la tomba appare come un "riposato
albergo" nel quale cessa ogni
vendetta e comincia per i morti nei vivi
un'esistenza più alta e degna di onori:
"Le
urne dei grandi incitano l’animo dei forti a
compiere gloriose imprese e rendono nobile e
sacra al pellegrino la terra che le
accoglie. Quando il poeta visitò in Santa
Croce le tombe degli italiani più grandi, di
Machiavelli che ha svelato alle genti di
quante lagrime e sangue gronda lo scettro
dei regnanti, di Michelangelo che in Roma
costruì la cupola di San Pietro, di Galilei
che vide sotto la volta celeste ruotare più
mondi intorno al sole e aprì la via a Newton
le vie del firmamento, dichiarò beata
Firenze non solo per le felici aure piene di
vita, per i natali e la lingua concessi a
Dante Ghibellin fuggiasco e a Petrarca che
dolcemente cantò d’amore; ma più beata
perché serbava accolte in un tempio le
glorie della Patria, le uniche superstiti
che mai avrebbero potuto essere invase e
conquistate, dal giorno in cui le Alpi non
han più formato un baluardo difensivo per
l’Italia. Da un tempio in cui splenda
sull’Italia e nell’animo di uomini forti e
coraggiosi la speranza di gloria, gli
italiani avrebbero tratto gli auspici per il
loro riscatto. Proprio nel tempio di Santa
Croce veniva a meditare l'Alfieri che da
quei marmi traeva l'unico conforto e l'unica
speranza, dopo aver errato muto sulle sponde
dell’Arno mirando i campi e il cielo e
nessuna presenza umana gli raddolciva
l’animo. Tra le mura di Santa Croce spirano
quegli ideali ed ora Alfieri abita grande
fra quei grandi. E in quel tempio un Nume,
una potenza arcana e misteriosa, parla, il
dio della Patria che ha nutrito l’animo e la
virtù greca contro i Persiani in Maratona,
dove Atene consacrò tombe per i suoi prodi
che la salvarono dalla distruzione: il
navigante che viaggiava presso l’Eubea
nell’ampia oscurità poteva vedere un balenar
d’elmi e di spade che cozzavano, e l’igneo
vapore delle pire che ardevano i corpi degli
eroi e le larve guerriere cercar la
battaglia nel frastuono delle armi e del
suono delle tube, fra i cavalli scalpitanti
che incalzavano sugli elmi dei moribondi,
fra i pianti e gli inni e il canto delle
Parche. Felice il Pindemonte che nella sua
giovinezza veleggiò per i mari della Grecia
e udì l'eco delle antiche imprese! E se il
timoniere diresse la prua della nave oltre
le isole greche, certamente d’antichi fatti
udisti risuonare i lidi dell’Ellesponto: ai
generosi la morte è giusta
dispensiera di gloria, una gloria
che nè il senno astuto di un Ulisse né il
favore di re come Agamennone avrebbe potuto
mai togliere, come Ulisse non aveva potuto
conservare le armi di Achille che spettavano
di diritto ad Aiace perché l’onda del mare
incitata dagli dei infernali le aveva
ritolte alla poppa della sua nave per
ricondurle sulla tomba dello stesso Aiace
che reso folle dallo smacco subito si
uccise".
- "A
egregie cose il forte animo accendono /
l’urne de’ forti...": alla forza che
unisce vivi e morti, nella sacralità
giuridica e religiosa che realizza
concretamente la stessa pietà umana, si
aggiunge l’insegnamento che dalla
contemplazione delle tombe, insieme alla
meditazione delle gesta compiute dai grandi
personaggi che lì hanno trovato l’estremo
riposo, l’uomo può ricevere per ben agire ed
operare: in questo modo le tombe diventano
il simbolo degli
ideali che animarono gli antenati, un
incitamento al progresso e alle conquiste
sociali e civili.
- 5)
vv. 226-295 -
parte quarta:
contiene la "giustificazione
poetica": in questi versi troviamo la
sostanza dell’esistenza stessa della poesia;
si apre con la figura dello stesso Foscolo,
che i tempi e il
desio d'onore / fan per diversa gente ir
fuggitivo (tema dell'esilio) e si
chiude con la grandiosa figura di Ettore,
che muore per la difesa della patria, eroe
sfortunato, così come sfortunato era stato
il Foscolo. Uno dei compiti della poesia
è proprio quello di celebrare gli eroi e di
tramandarne le imprese e la gloria: così la
gloria dell'eroe troiano è eternata dal
canto di Omero e di Foscolo, insieme alle
donne iliache, che sulle tombe degli eroi
caduti sciolgono in segno di lutto le loro
chiome, alla stirpe di Elettra amata da
Giove e ai suoi discendenti Dardano, Ilo e
Assaraco. Il carme si chiude col concetto
dell'illusione
che nel futuro le tombe possano essere
onorate da lagrimati affetti per cui
men duro
sarà il sonno della morte.
" Le Muse ad evocar gli eroi chiamino il
Poeta, che per luoghi stranieri va fuggitivo
ed esule spinto dal desiderio d’onore e dai
tempi malvagi, concedendogli almeno di
rievocare le antiche glorie, di rendere
eterni col canto gli eroi. Le Muse,
animatrici del pensiero mortale, siedono
infatti sulle tombe come custodi, e quando
su queste si abbatte distruggendole la furia
del tempo, esse rendono lieti i deserti col
loro canto e l’armonia vince il silenzio di
mille secoli: così dal deserto sorge la voce
dei poeti, e per quella voce risplendono gli
ideali e i sogni dei trapassati. Ancor oggi,
nel deserto inseminato della Troade,
risplende eterno agli uomini un luogo;
eterno per la ninfa Elettra, amata da Giove,
cui diede il figlio Dardano, fondatore di
Troia, e progenitore di Assaraco e Priamo
(al quale la leggenda attribuiva cinquanta
figli) ed Enea fondatore della futura Roma.
Quando Elettra udì la voce della Parca,
chiese all'Amato: ‘Se care ti furono le mie
chiome e il viso e le dolci attese e le
dolci veglie, in questo momento supremo
guarda la tua morta amica dal cielo,
affinchè resti immortale almeno la sua fama’.
Così pregando moriva Elettra e Giove Olimpio
gemendo soffriva per quella morte e con un
lieve cenno del capo rese sacra la sua tomba
facendo piovere ambrosia sul corpo della
Ninfa. Intorno a quella tomba si raccolsero
i sepolcri dei grandi troiani, di Erittonio
e di Ilo e su quelle tombe le donne iliache
scioglievano nel pianto le chiome pregando
che fosse allontanato dal capo dei loro
mariti l’imminente fato e venne Cassandra,
figlia di Priamo, guidando i nipoti ed
insegnando loro un amoroso lamento; e
sospirando diceva loro: ‘se mai pascerete i
cavalli di Diomede figlio di Tideo o di
Ulisse figlio di Laerte, e il destino vi
permetterà di tornare, invano allora
cercherete la vostra patria, perché le mura,
opera di Apollo saranno macerie fumanti; ma
in queste tombe si troveranno i Penati di
Troia, perché dono degli dèi è conservare
fiero e indimenticato il nome dei grandi; e
voi, cipressi e palme, piantati dalle nuore
di Priamo ormai vedove, crescete in fretta
innaffiate dalle vedovili lacrime e
proteggete i miei padri, e quelli che con
pietà terranno lontana la scure da questi
alberi soffriranno meno dei luttuosi
avvenimenti di persone care; un giorno
Omero, un cieco mendìco, errerà tra quelle
antichissime ombre, ed abbraccerà i sepolcri
ed interrogherà le urne: e narrerà di Ilio
(Troia) raso due volte e due volte risorto
splendidamente sulle mute vie per rendere
più bella l’ultima conquista dei Greci
vittoriosi aiutati dal Fato; e il sacro
vate, placando le afflitte anime troiane,
eternerà col suo canto la gloria dei
principi greci, in tutte le terre
abbracciate dal grande Padre Oceano; e tu
Ettore avrai onore di pianti e sarai
ricordato ovunque sarà sacro e onorato di
lagrime il sangue versato per la patria, e
finché il sole risplenderà sulle sciagure
degli uomini ".
Nella
tabella sottostante riportiamo i personaggi
trattati nel carme
I
personaggi
Machiavelli |
Trattando
del potere ha svelato alle genti di
quanto sangue innocente e di quante
lagrime esso gronda: il potere non
sembra avere più misteri |
Michelangelo |
Ha
innalzato in Roma la cupola di San
Pietro in onore di Dio, paragonata alla
cima del monte Olimpo in onore degli DEI
dell’antica Grecia |
Galilei |
Per primo
ha affermato la teoria geocentrica
aprendo la strada allo studio del
firmamento al Newton |
Firenze e Dante |
Firenze
per prima ascolta il carme che ha
rallegrato l’ira del Ghibellin fuggiasco
(la poesia scritta prima dell’esilio) |
Petrarca |
Firenze
ha dato i natali e la lingua al Petrarca
(nato ad Arezzo da genitori fiorentini
in esilio) che ‘Amore in Grecia nudo e
nudo in Roma / d’un velo candidissimo
adornando, / rendea nel grembo a Venere
celeste;’ |
Pindemonte |
Amico di
Foscolo, viaggia per i mari greci
all’età di 23 anni e che certo conobbe i
miti dell’antica Grecia e ne condivise
gli ideali col Foscolo |
Ulisse |
l’anti-eroe condannato degli dei inferi
e condannato dalla storia perché
portatore solo di senno astuto e non di
valori e illusioni |
Elettra |
Il mito
positivo della progenitrice la cui fama
diventa eterna attraverso il canto del
poeta, di Omero che trova nella storia
la fonte della sua narrazione |
Cassandra |
l’eroe
sconfitto, come Foscolo, che cerca di
lasciare nei posteri una traccia, un
insegnamento duraturo dei grandi valori |
Ettore |
l’eroe
altamente positivo, che incarna le
illusioni della patria, dell’onore,
dell’amore di figlio, di marito, di
cittadino; ma è anche l’eroe sconfitto
eppure eterno nel tempo e perciò
vincitore, al quale sono indirizzate le
simpatie del poeta e del lettore. |
Perfettamente fusi risultano in questo carme
l'elemento romantico e l'elemento
neoclassico, che diventa quasi la naturale
sostanza del primo; ancora una volta la
poesia si tuffa nel passato per trovare
quella forza che permetta di superare la
dolorosità di un presente che è fatto di
incertezze e nel quale le cose più belle
cadono troppo presto. Gli stessi versi sono
costruiti con una armoniosità che rare volte
trovano l'uguale nella storia della poesia
italiana. –
La vita umana è dolore, ma l'uomo
ha in sé una dote religiosa, la capacità di
creare a se stesso dei miti, l'immortalità,
l'amicizia, l'amore, la bellezza; miti per i
quali, nonostante il loro valore illusorio,
si abbellisce e si fa degna la vita;
illusioni che gli uomini tramandano di
secolo in secolo, affidandone la custodia al
culto delle tombe e al canto dei poeti.
Intitolato ai Sepolcri il carme potrebbe
essere intitolato ugualmente alla storia o
alla poesia, che furono con la patria e la
bellezza le vere illusioni del Foscolo, e
rivelare così anche nel titolo la palese
ispirazione vichiana.
Il carme è ispirato ai sepolcri; ma
la parte più importante è occupata dalla
poesia, che si svolge ed accentra intorno
alla figura di tre vari, trasfigurati dal
Foscolo in una sorta di figurazione
simbolica; questo è lo schema riassuntivo:
Le figure poetiche
la figura del
Parini |
la figura
dell'Alfieri |
la figura di
Omero |
-
rinnovatore del costume civile,
- maestro di orgogliosa povertà e
indipendenza;
- giace senza tomba, vittima delle
nuove leggi |
- irato
ai numi della patria, sdegnoso lungo
le rive solitarie dell'Arno si rifugia
in Santa Croce
- amore per la libertà |
trasfigurato ossianicamente in un
vecchio favoloso, che brancolando
penetra negli avelli e abbraccia le
urne e interroga le antichissime ombre |
la figura del
Foscolo |
-
errabondo fuggire di gente in gente.
- concetto di poesia come ricordo
delle imprese degli eroi,
- fine della poesia: insegnare
l'eredità degli affetti |
la figura di
Omero |
è il
simbolo di ogni poeta che risponda
all'ideale nuovo del Foscolo: l'ideale
di un poeta che si ispira alla storia,
e consacra e rende eterne le illusioni
più generose degli uomini. |
Poche opere
poetiche trascendono come questa la figura
dell'autore, si innalzano ad un tale
significato; eppure l'immagine del poeta si
impone nei versi con tale evidenza
immediata. Poche opere poetiche sono legate
come i Sepolcri ad un momento storico
determinato, alle speranze di una nazione in
un momento particolare della sua storia;
eppure poche sono le pagine da cui derivi
una musica come questa, " che va dal più
remoto passato al più indefinito avvenire ".
Infine annotiamo come qualche
critico ha osservato che i Sepolcri debbono
essere considerati come la maggiore "fonte"
di quella pesante tradizione retorica che
vede nei monumenti un motivo di esaltazione
delle glorie nazionali e che la nazione non
vi compare mai come popolo ma come un
insieme di marmi illustri, di lapidi.
A questa
osservazione occorre aggiungere che il
Foscolo visse in un'epoca:
- in cui fu vivissimo il senso dei
monumenti, delle scoperte archeologiche, dei
marmi: l'epoca della riscoperta di Ercolano,
di Pompei, della "prosopopea di Pericle",
- in cui dovunque parvero germinare
dal suolo i resti dissepolti delle antiche
glorie, che determinarono un fiorire di
antichi marmi e le celebrazioni più
convenzionali, perché monotonamente
immutabili del neoclassicismo ufficiale
(basta ricordare gli scultori Canova e
David), la glorificazione dei potentati
viventi, dal Papa Pio VI a Napoleone
Bonaparte;
- in cui vivissimo era il distacco
tra una plebe numerosa e stracciona e una
nobiltà senza potere che viveva di una
rendita agraria spesso miserabile e che
aveva perso ormai irrimediabilmente il
proprio potere economico a favore di una
borghesia emergente e fortemente motivata a
conquistare anche il potere politico per
conservare quello economico;
- in cui in Italia i particolarismi
regionali e campanilistici erano troppo
forti rispetto a una visione d’insieme: in
cui ad esempio il concetto di patria era
limitato al comune, se non addirittura al
quartiere o al focolare domestico, come
possiamo vedere nell’opera del Nievo;
- in cui
la crisi politica dei piccoli potentati
italici era giunta a un livello talmente
profondo che le grandi nazioni, come Francia
e Impero austriaco, con un tratto di penna
potevano dichiarare decaduta una Repubblica
gloriosa e plurisecolare come quella
Serenissima Veneta, o creare dal nulla
repubbliche che dureranno qualche anno,
ecc.;
- in cui le certezze del passato
sono divenute ormai fumose e anacronistiche.
In questo ambito solo nei versi del
Foscolo i monumenti sono presentati non in
funzione declamatoria o cortigiana, ma
fortemente propositiva e polemica nei
confronti del presente:
- E me che i tempi ed il desio
d'onore / fan per diversa gente ir
fuggitivo;
- Già il dotto e il ricco ed il
patrizio vulgo, / decoro e mente al bello
italo regno, / nelle adulate regge ha
sepoltura / già vivo ...
Riportiamo, a titolo
di curiosità, per coloro che amano il
Foscolo, ma
anche per chi volesse approfondire le
proprie conoscenze foscoliane, il brano
contenuto nella
Lettre à monsieur Guillon, nella
quale il poeta tratta della incompetenza
dell’abate francese a giudicare i poeti
italiani, che viene da tutti conosciuto
ormai come il sommario del Carme. La
lettera fu scritta in risposta alla critica
che l'abate francese
Aimé Guillon aveva pubblicato contro
il carme foscoliano sul
Giornale Ufficiale
di Milano. Il sommario risulta "
sostanzialmente così poco aderente al
contenuto e allo spirito dei Sepolcri da
impacciare anziché renderne più facile la
comprensione ".
I monumenti inutili ai morti giovano ai
vivi, perché destano affetti virtuosi
lasciati in eredità alle persone dabbene,
solo i malvagi, che si sentono
immeritevoli di memoria, non la curano; a
torto dunque la legge accomuna le
sepolture de' tristi e dei buoni, degli
illustri e degli infami.
Istituzione delle sepolture nata col
patto sociale.
Religione per gli estinti derivata
dalle virtù domestiche.
Mausolei eretti dall'amore della
Patria agli Eroi.
Morbi e superstizioni de' sepolcri
promiscui nelle chiese cattoliche.
Usi funebri de' popoli celebri.
Inutilità dei monumenti alle nazioni
corrotte e vili.
Le reliquie degli Eroi destano a
nobili imprese e nobilitano le città che
le raccolgono; esortazioni agli Italiani
di venerare i Sepolcri de' loro illustri
concittadini; quei monumenti inspireranno
l'emulazione agli studi e l'amor di
Patria, come le tombe di Maratona nutriano
ne' Greci l'aborrimento a' Barbari.
Anche i luoghi ov'erano le tombe de'
grandi, sebbene non vi rimanga vestigio,
infiammano la mente de' generosi.
Quantunque gli uomini di egregia
virtù siano perseguitati vivendo, e il
tempo distrugga i lor monumenti, la
memoria delle virtù e de' monumenti vive
immortale negli scrittori, e si rianima
negl'ingegni che coltivano le muse.
Testimonio il sepolcro d'Ilo,
scoperto dopo tante età da' viaggiatori
che l'amor delle lettere trasse a
peregrinar alla Troade: sepolcro
privilegiato da' Fati perché protesse il
corpo d'Elettra da cui nacquero i
Dardanidi autori dell'origine di Roma e
della prosapia de' Cesari signori del
mondo.
Una voce critica ....
Mario Pazzaglia
da:
Mario Pazzaglia,
Letteratura
italiana,
vol. 3,
l’Ottocento, Testi e critica con lineamenti
di storia letteraria, Zanichelli, Bologna
1991, p. 68-69
Il carme Dei Sepolcri fu scritto fra
il luglio e il settembre del 1806,
pubblicato a Brescia nel 1807. Il motivo
occasionale fu una disputa che il Foscolo
ebbe con Ippolito Pindemonte nel salotto di
Isabella Teotochi Albrizzi, a Venezia,
intorno al problema, allora assai dibattuto,
delle sepolture. Sia, infatti, la
legislazione francese (editto di Saint Cloud,
1804) sia quella austriaca, che
venivano, nel giro di quegli anni, estese
all'Italia, imponevano che le sepolture
fossero poste fuori dell'abitato e vietavano
monumenti vistosi e iscrizioni. Il
Pindemonte, cattolico, esponendo il piano di
un suo poemetto, i Cimiteri, aveva
lamentato che la moderna filosofia, cui
s'ispirava la nuova legislazione, inducesse
a trascurare il pietoso culto dei defunti;
il Foscolo lo aveva contraddetto con
considerazioni scettiche e materialistiche.
Ma poi, approfondendo la propria
meditazione, s'accorse che quelle tesi non
corrispondevano al suo intimo sentire, o,
almeno, non ne esaurivano la complessità, e
compose il suo carme come una ripresa, su un
piano poetico, della disputa avuta col
Pindemonte, ampliandola, però, in una
considerazione più vasta del destino umano.
Il sensismo e il materialismo del
Foscolo lo portavano a negare l'esistenza di
Dio, di una vita futura dell'anima, di ogni
ordine provvidenziale dell'universo. Con
questa concezione si apre il carme,
proclamando l'ineluttabilità della morte, il
nulla eterno, l'inutilità delle tombe. Ma
proprio da questa visione desolata erompe,
tenero e struggente, l'inno alla vita, alla
bellezza della natura, alle gioie
dell'amicizia e dell'amore, alla dolcezza
delle illusioni, prima fra tutte la poesia,
non solo quella che si esprime nel verso, ma
anche quella che il poeta avvertiva nei suoi
sentimenti più elevati; inno che esprime
un'ansia d'eternità, un bisogno di essere e
di durare oltre la parentesi breve dei
giorni. E questa illusione, ché tale appare
alla luce della ragione, diviene anche
l'incentivo che spinge l'uomo a opporre alla
perenne metamorfosi delle cose e di sé
stessi, dei valori che durino intatti nel
tempo e diano un significato alla vita.
Su questo contrasto è fondato tutto
lo svolgimento del carme, poema della morte
e della vita, del loro perenne incontrarsi e
scontrarsi, della loro continua e drammatica
compresenza. Alla cieca, incomprensibile e
meccanica legge della natura, il Foscolo
contrappone un mondo umano, che sia continua
creazione di valori e di civiltà, in una
perennesfida al nulla eterno.
Questo inondo nasce proprio dallo
squallore della tomba. La pietà che compone
i miseri resti destinati a rifluire nel
ciclo della materia, nel sepolcro, e pianta
su di esso un albero simbolo della vita, è
una rivolta contro la morte, è
l'affermazione che il defunto continuerà a
vivere nella memoria e nel cuore di chi l'ha
amato. Questa "corrispondenza d'amorosi
sensi" è dote veramente divina dell'animo,
perché attesta l'esistenza di una volontà
che trionfa sulla legge di perpetua guerra
fra gli esseri sancita dalla natura; da
questa corrispondenza deriva il sentimento
della continuità della vita urnana, e cioè
quello che noi chiamiamo tradizione, storia,
civiltà.
C'è, ovunque, nell'uomo una forza
spirituale che continuamente crea; crea in
primo luogo un'eredità d'affetti, e quindi
ideali di verità, bellezza, giustizia,
patria, mediante i quali l'individuo entra
in contatto dinamico e attivo con l'umanità,
contribuisce alla formazione di un
patrimonio spirituale comune che dura nei
secoli. E se le alterne vicende delle "urnane
sorti" sembrano a volte distruggerlo, esso
rinasce intatto, solo che gli uomini si
specchino nelle tombe dei grandi, ne
ascoltino l'alto messaggio.
Da semplice nodo d'affetti
familiari, il sepolcro diviene così
religione, tradizione e civiltà d'una
stirpe. Le tombe degli eroi, cioè di coloro
che hanno espresso gli ideali più nobili,
diventano patrimonio inalienabile d'una
nazione e di tutta l'umanità e accendono gli
animi generosi a egregie cose. Così le tombe
dei grandi di S. Croce ricordano ancora agli
Italiani, avviliti dalla servitù, l'antica
grandezza, li esortano a rinnovarla, a
riscattare la patria dall'oppressione.
Ma il flusso perenne della materia
distrugge, come i nostri resti mortali,
anche le tombe. Tuttavia la gloria degli
eroi non muore, ma continua a vivere eterna
nel canto del poeta, che trae dal freddo
silenzio delle tombe una parola di vita e di
speranza.
L'ultima parte del carme è un inno
alla poesia, il cui compito è quello di
tramandare non solo il ricordo degli eroi,
ma anche i valori che essi affermarono.
Essa, in tal modo, crea e diffonde il culto
delle più alte illusioni che
riscattano la nostra vita dal nulla. Quello
del poeta diventa un sacerdozio altissimo di
umanità e di civiltà: e la poesia diventa
mezzo di suprema elevazione, di armonia
spirituale e morale, di autentica civiltà.
I Sepolcri fondano, dunque,
una nuova religione, tutta laica e terrena,
del vivere, che se si oppone alla
trascendenza cattolica, inconcepibile per il
Foscolo, s'oppone anche al credo
razionalistico, esaltando il sentimento e
l'eroismo contro il freddo, sterile calcolo
della ragione, la quale può solo additare la
vanità del vivere e condurci a un'inerzia
scorata. Dalla disperazione dell'Ortis,
il poeta è giunto a una coraggiosa
accettazione della vita, non ignara della
morte, dell'angoscia, del nulla eterno, ma
protesa, di là da essi, all'affermazione
dell'umano, che anela, mediante una continua
creazione di valori, a prolungare
l'esistenza limitata del singolo nella
storia.
Stilisticamente i Sepolcri
uniscono all'impeto, alla passione e alla
romantica ricerca dei sublime, di una
poesia, cioè che esprima in immagini
lampeggianti e in intuizioni grandiose la
drammatica realtà del vivere, una rigorosa
architettura classica, che giova alla
concentrazione altissima di immagini,
sentimenti, pensieri. Questo avviene
soprattutto all'inizio (vv. 1-22) e dopo il
v. 150, quando il poeta abbandona il
procedimento didascalico, prevalente nella
prima parte del carme e ancora legato a
modelli settecenteschi, per creare nuovi
grandi miti, immaginazioni potenti e
conclusive. I Sepolcri diventano
allora come una grande sinfonia della vita e
della morte, ed esprimono nel ritmo del
verso, nella sua musica mesta e solenne,
l'epopea dell'eroismo inscindibilmente unita
alla tragedia del destino. L'ampiezza dei
periodi poetici, le loro lente volute, la
solennità austera e appassionata dei ritmi e
dei suoni fanno veramente pensare a un
severo canto religioso, nel quale tutte le
voci sono presenti, da quelle meste ed
elegiache a quelle magnanime ed eroiche.
Dei
Sepolcri si può dire ciò che diceva il
Foscolo stesso nel Saggio sulla
letteratura contemporanea in Italia:
"ciascun verso ha pause peculiari e accenti
convenienti all'argomento, onde i sentimenti
melanconici procedono con ritmo lento e
misurato, e le immagini vivaci balzano
avanti con il rapido passo della gioia; il
poeta è riuscito a dare una diversa melodia
a ciascun verso e varia armonia ad ogni
periodo".
http://www.fausernet.novara.it/fauser/biblio/bios/bio048.htm