Sin dal
1796 il Foscolo aveva tracciato l'idea di un
romanzo epistolare (Laura, lettere), un
misto di realtà e finzione letteraria:
l'amore infelice per una ragazza veneziana e
l'emozione indimenticata per la sorte di un
giovane morto suicida, Girolamo Ortis,
studente dell'Università di Padova, dove il
Foscolo ascoltava le lezioni del Cesarotti è
la prima idea del romanzo sentimentale, di
gusto settecentesco, in cui la catastrofe
finale doveva avvenire per rinuncia elegiaca
alla donna amata. Ma gli eventi storici, nei
quali rimase coinvolto in prima persona,
Campoformio e la patria venduta e la fine
della libertà e l'esilio, insieme alla prima
cocente delusione amorosa, daranno una veste
nuova alla prima idea già nel 1798.
E proprio alla fine del 1798 l'editore
Jacopo Marsigli di Bologna, dove il Foscolo
si era stabilito, comincia la pubblicazione
del romanzo, un insieme di lettere che
Jacopo Ortis aveva inviato all'amico Lorenzo
F.; ma l'arrivo degli austro-russi e la fuga
di Foscolo ne interrompe la stampa alla
lettera XLV (l'addio di Jacopo a Teresa).
Nella prima parte è contenuta la "storia di
Laura" che riprende la storia della sua
passione violenta e infelice per Teresa
Pikler moglie di Vincenzo Monti. Il romanzo
viene quindi a trovarsi improvvisamente
senza una conclusione. L'editore affida
allora al letterato bolognese Angelo Sassoli,
che la completa con addirittura venti nuove
lettere insieme ad Alcune memorie
appartenute alla storia di Teresa. La parte
scritta dal Sassoli, pur ispirandosi ai temi
foscoliani e pur imitando lo stile del
Foscolo, è comunque molto diversa dalla
prima parte originale, anche se qualche
critico ha tentato di attribuirne
sostanzialmente la paternità al Foscolo,
magari con un autore, il Sassoli appunto,
che avrebbe ricucito insieme le lettere
foscoliane.
Marsigli, quindi, pubblica l'opera con il
titolo Vera storia di due amanti infelici
ossia Ultime lettere di Jacopo Ortis e vi
aggiunge un Avviso al lettore e alcune
Annotazioni destinate al nuovo pubblico che
avrebbe comprato il libro. Il titolo e le
annotazioni cercano di dare risalto al
filone romanzesco dell'opera anche per
ottenere più facilmente il visto della
censura degli austriaci giunti a Bologna
dopo il trattato di Campoformio. Ma la
vittoria di Napoleone a Marengo, il rientro
dei democratici a Bologna e il conseguente
ritiro degli Austiaci che abbandonano
definitivamente la Romagna, spingono
l'editore Marsigli a ripristinare la prima
veste editoriale soprattutto per guadagnarsi
i favori dei nuovi governanti.
Foscolo sconfessa comunque l'operazione del
Marsigli, e a Milano nel 1799 presso
l'editore Mainardi, si appresta una nuova
edizione del romanzo, che si ferma sempre
alla lettera XLV; ma per uno screzio con
l'editore le copie vanno al macero: si
salvano soltanto due copie, tra cui quella
che era stata inviata a Goethe.
Nel novembre 1800 Foscolo, dopo dopo un anno
e mezzo di avventurosa vita militare, arriva
a Firenze, e qui conosce la bella e
giovanissima Isabella Roncioni di cui si
innamora fino al delirio rivivendo il primo
grande amore venezia e la cocente
disillusione della fine. Torna a Milano e
pone mano al "suo romanzo" proprio mentre,
passata la passione fiorentina, vive
un'altra travolgente passione amorosa,
quella per la contessa Antonietta
Fagnani-Arese. Anzi, proprio questa nuova
edizione favorì l'amore fra i due. La prima
edizione completa vede la luce nell'ottobre
1802, presso la stamperia il "Genio
Tipografico" e presenta alcune sostanziali
modifiche rispetto al testo precedente:
Lorenzo F. diventa Lorenzo A. (solo dal 1817
si chiamerà Lorenzo Alderani); il numero
delle lettere passa da 45 a 67; il tempo
della storia si dilata: nel primo dura dal 3
settembre 1797 alla fine di maggio del 1798,
ora va dall'11 ottobre 1797 al 25 marzo
1799. Le modifiche riguardano comunque
aspetti sostanziali dell'opera, come il tema
del suicidio, la valenza della passione
politica e la valenza della passione amorosa
che acquistano una più logica collocazione.
lo stesso personaggio di Odoardo, il
promesso sposo di Teresa se prima suscitava
sentimenti di stima e perfino di simpatia in
Ortis, ora diventa un giovane arido dedito
agli affari, che "sarà anche un bravo
giovine, ma la sua faccia non dice nulla",
fino a destare qualche sentimento di
ostilità. Le innovazioni, infine, riguardano
profondamente anche lo stile, ora spesso
conciso e talvolta figurativo, nel senso che
porta subito il lettore a "vedere" la scena
con i propri occhi.
L'edizione definitiva del romanzo appartiene
al 1816 ed avviene a Zurigo (anche se la
stampa reca la falsa indicazione Londra
1814); in questa viene aggiunta la lettera
datata 17 marzo, viene ritoccata la forma ed
inserita una Notizia bibliografica "preziosa
sul piano critico, inattendibile su quello
informativo e documentario (Segre-Martignon).
L'ultima edizione esce nel 1817 a Londra,
con qualche lieve modifica rispetto alla
precedente.
La trama
La vicenda del romanzo, rimasta
sostanzialmente immutata nelle varie
edizioni, si può riassumere in breve. Jacopo
Ortis, giovane veneziano di buona famiglia,
studente e patriota di ideali giacobini, è
costretto a lasciare la città dopo che
Venezia è stata ceduta all'Austria col
trattato di Campoformio firmato da Napoleone
e ratificato il 17 ottobre 1798, per
scampare alle persecuzioni politiche e cerca
rifugio in una sua proprietà di campagna sui
colli Euganei, dove conosce la famiglia del
Signor T., padre di Teresa, la divina
fanciulla di cui si innamora, pur sapendo
che la ragazza è stata promessa sposa dal
padre, contro la volontà della madre, al
marchese Odoardo, un ricco possidente,
dedito più agli affari che agli affetti
familiari. Teresa ricambia il sentimento per
Jacopo, ma nello stesso tempo non può
opporsi alla volontà del padre, come già sua
madre non ha potuto opporsi alla volontà di
suo padre che l'aveva promessa sposa al
Signor T***:
Ma, e perché, le diss'io, perché mai non è
qui vostra madre? - Da più settimane vive in
Padova con sua sorella; vive divisa da noi e
forse per sempre! Mio padre l'amava: ma da
ch'ei s'è pur ostinato a volermi dare un
marito ch'io non posso amare, la concordia è
sparita dalla nostra famiglia. La povera
madre mia dopo d'avere contraddetto invano a
questo matrimonio, s'è allontanata per non
aver parte alla mia necessaria infelicità.
Io intanto sono abbandonata da tutti! ho
promesso a mio padre, e non voglio
disubbidirlo - ma e mi duole ancor più, che
per mia cagione la nostra famiglia sia così
disunita (lettera del 20 novembre)
Il padre di Teresa viene a sapere dell'amore
di Jacopo, dopo aver capito qualcosa
attraverso lo strano contegno che il giovane
teneva soprattutto con Odoardo durante le
sue visite. Tornato a casa dopo due giorni
si ammala. Il Signor T. va a trovarlo e
cerca di persuaderlo ad allontanarsi dai
Colli Euganei:
Ma Odoardo era ricco, e di una famiglia
sotto la cui parentela il signore T***
fuggiva alle persecuzioni e alle insidie de'
suoi nemici, i quali lo accusavano d'avere
desiderato la verace libertà del suo paese;
delitto capitale in Italia. Bensì
imparentandosi all'Ortis, avrebbe accelerato
la rovina di lui, e della propria famiglia.
Oltre di che aveva obbligata la sua fede; e
per mantenerla s'era ridotto a dividersi da
una moglie a lui cara. Né i suoi bilanci
domestici gli assentivano di accasare Teresa
con una gran dote, necessaria alle mediocri
sostanze dell'Ortis. Il signore T*** mi
scrisse queste cose, e le disse a Jacopo che
sapevale da sé, e le ascoltò con aspetto
riposatissimo...
Così, senza un addio, Jacopo parte.
La seconda parte narra di Jacopo che cerca
di distogliersi dall'amore per Teresa,
viaggiando per l'Italia per le città più
significative: Bologna, Firenze e la
Toscana, Milano, la Liguria fino a
Ventimiglia, la Romagna e Ravenna con la
tomba di Dante. Infine ritorna ai Colli
Euganei e va a casa del Signor T. che in
quel momento stava passeggiando con Odoardo
preceduto da Teresa e Isabellina; vedendo
Jacopo Teresa quasi sviene, reggendosi al
braccio del padre: i saluti sono freddi e
asciutti: solo Isabellina gli corre fra le
braccia in un silenzio imbarazzato. Gli
eventi precipitano, finché Jacopo si suicida
con un colpo di pugnale nella notte del 25
marzo 1799.
L'Ortis è un romanzo epistolare ed
autobiografico, perché sostanzialmente
Foscolo narra una parte della propria vita:
più che narrare una vicenda, Foscolo indaga
sulle proprie ansie di esule, medita sulla
vita e sulla storia e sui valori e sui
grandi ideali che agitano il suo tempo. I
primi anni trascorsi lontano da Venezia,
l'interruzione degli studi e il forzato
distacco dagli amici e dalle compagnie in
cui cresceva e imparava a maturare e a
vivere, lo portano inevitabilmente a
racchiudersi in se stesso per capire meglio
la vita e a restare isolato. Spesso lo
vediamo infatti passeggiare da solo in un
giorno tempestoso quando il suo cuore è
straziato dall'amore irrealizzabile o in un
giorno radioso quando la sua anima assapora
soltanto la grande felicità dell'amore.
Un posto importante assume proprio il
paesaggio, come proiezione dei sentimenti
che agitano l'anima dei personaggi, tenendo
presente che per quanto riguarda Teresa il
paesaggio ha una funzione secondaria.
Per Jacopo il paesaggio è essenzialmente
esterno ed è lussureggiante, verde, luminoso
o fosco o tempestoso a seconda dei
sentimenti che prova in quel momento; spesso
vediamo il personaggio passeggiare
solitario,esprimendo quasi un senso di
dominio sulla natura, nella quale può
ritrovare e sfogare il suo senso di libertà,
di rifiuto di qualsiasi atto di
sottomissione a un altro uomo o alla
società.
Per Teresa invece non possiamo parlare di
paesaggio vero e proprio quanto di spazio
chiuso: una stanza o la casa del padre. Lo
spazio è caratterizzato dalla perpetua
immobilità: una stanza è addobbata sempre
allo stesso modo, ha sempre gli stessi
mobili, nel corso degli anni è illuminata
sempre allo stesso modo dal sole o dal lume
delle candele. È in questo spazio che la
figura della donna assume una caratteristica
fondamentale della sua esistenza: quella di
essere un elemento equilibratore di tutte le
passioni che agita i frequentatori o gli
abitanti della casa: nella dolcezza della
casa possiamo ritrovare la dolcezza della
donna e la mitezza delle passioni che non
scoppiano mai violente.
Spazio e paesaggio caratterizzano
rispettivamente la funzione femminile e la
funzione maschile nella società del tempo.
L'opera
Il romanzo epistolare si svolge innanzitutto
su due tematiche fondamentali che si
intrecciano: la passione politica e la
passione amorosa.
La passione politica, che, col suo
fallimento, mette in evidenza da un lato i
rapporti negativi con il potere e dall'altro
il desiderio di un'Italia che avrebbe potuto
essere unificata proprio alla luce delle
idee diffuse dalla Rivoluzione francese e
dagli entusiasmi suscitati dalle imprese di
Napoleone; il fallimento è controbilanciato
dall'amor di patria, dall'elogio della virtù
individuale (Giuseppe Parini!) e dalla
meditazione sulla storia e sulla passata
grandezza di Roma e dell'Italia.
La passione amorosa, che col suo fallimento
mette in evidenza i rapporti negativi
dell'individuo con gli usi, i costumi e le
consuetudini che vogliono ancora la donna
oggetto del padre o del marito e priva di
quella volontà autonoma che la
contraddistinguerebbe come persona umana: la
forza non è ancora nel sentimento (o non lo
sarà se non sporadicamente), ma nel potere
soprattutto economico. La forza delle idee
illuministiche non è stata in grado di
liberare l'individuo dalle pastoie della
potenza di chi può disporre e della
debolezza di chi è sottomesso perché nulla
possiede. Ma anche in questo caso, come per
la passione politica, il romanzo e i due
personaggi Teresa e Jacopo, insieme alla
madre della ragazza, rappresentano un atto
di fede nel sentimento e nel rinnegamento
dell'egoismo. Il fallimento della passione
amorosa è controbilanciato proprio dalla
valorizzazione del sentimento e dalla
ribellione a un certo senso del fatalismo
che durante il romanticismo assegnerà alla
donna un altissimo ruolo, valorizzando il
suo essere madre e punto fondamentale di
unione del focolare domestico.
Il fallimento delle due passioni porta
inevitabilmente al suicidio, provocato dal
dolore intensamente provato e intensamente
protratto fino al limite della rottura
finale: ma questo elemento negativo è
controbilanciato dalla speranza di un mondo
in cui coloro che si amano possano riunirsi
per sempre: non la morte come fine di tutto,
ma come passaggio:
È poco prezzo, o mio angelo, la morte per
chi ha potuto udir che tu l'ami, e sentirsi
scorrere in tutta l'anima la voluttà del tuo
bacio, e piangere teco - io sto col piè
nella fossa; eppure tu anche in questo
frangente ritorni, come solevi, davanti a
questi occhi che morendo si fissano in te,
in te che sacra risplendi di tutta la tua
bellezza... - addio - fra poco saremo
disgiunti dal nulla, o dalla incomprensibile
eternità. Nel nulla? Sì. - Sì, sì; poiché
sarò senza di te, io prego il sommo Iddio,
se non ci riserba alcun luogo ov'io possa
riunirmi teco per sempre, lo prego dalle
viscere dell'anima mia, e in questa tremenda
ora della morte, perché egli m'abbandoni
soltanto nel nulla.
Il suicidio è l'unico rimedio in certi tempi
ai mali della vita provocati dall'uomo.
I personaggi
Jacopo Ortis rappresenta la crisi delle
speranze rivoluzionarie e di un'idea di
libertà e di patria vissuta in modo
istintivo e fondata su una fiducia
fondamentale che all'atto pratico si rivela
inconsistente e negativa. Egli è l'eroe
romantico che lotta inutilmente contro
convenzioni ormai inattuali
Sul piano della passione politica non
rappresenta tanto la crisi delle idee
rivoluzionarie, come qualcuno ha
prospettato, quando un atto di fede in
un'idea straordinaria che potrà essere
realizzata non con la fiducia in un
personaggio come Napoleone o altri, ma con
la fede nelle proprie forze e la volontà di
una nazione di raggiungere il risultato
finale
Il suicidio di Jacopo appare come un atto di
denuncia contro gli usi e le consuetudini
dell'epoca e di protesta politica, ed è
motivato non soltanto dalla fine
dell'infelice amore per Teresa ma anche dal
tradimento perpetrato da Napoleone Bonaparte
che vende Venezia all'Austria col trattato
di Campoformio, ratificato il 17 ottobre,
contro le speranze di molti nobili idealisti
del tempo, che aspiravano a una Italia
unita. Soprattutto il suicidio credo che non
sia originato dal dolore che si insinua
lentamente nella ragione fino a capire che
ormai è l'inevitabile conclusione
dell'esistenza a causa del fallimento della
sola passione amorosa: anche il fallimento
della passione politica è altrettanto
importante. Non a caso, quando il Signor T.
va a casa di Jacopo per fargli visita mentre
è ammalato, gli rivela di avere anche lui le
stesse idee; ma purtroppo, al contrario di
Jacopo, non può permettersi di di dare
libero sfogo ai suoi sentimenti patriottici
perché altre responsabilità li limitano e
soprattutto gli preme di assicurare alla
figlia un partito che comunque possa
assicurarle per sempre un'esistenza agiata e
senza preoccupazioni, cercando nel contempo
di assicurarla anche a se stesso con la
protezione che inevitabilmente gli avrebbe
dato il futuro genero.
Il crollo degli ideali di patria e libertà
da un lato, e di quelli di famiglia e amore
dall'altro, costretto com'è a vivere ramingo
lontano dall'amata Venezia e impossibilitato
a formarsi una propria famiglia perché
nessun padre, come il Signor T., gli avrebbe
concesso la mano della propria figliuola,
portano Jacopo a una disperazione sempre più
profonda e radicale e infine al ripudio
dell'esistenza. proprio in questo possiamo
trovare l'origine dell'eroe romantico.
Jacopo nel romanzo campeggia in una luce
solitaria e spesso violenta, specie
nell'ultima parte, dove ogni suo gesto
appare netto e preciso come scolpito in un
marmo, così come Ugo nella vita quotidiana
campeggia solitario perché nessun legame
solido e duraturo gli è permesso, vivendo
"ramingo di gente in gente. Con questo
romanzo Foscolo mette in chiaro i temi
nuovissimi della sua poesia, dalla tomba
come "corrispondenza d'amorosi affetti al
concetto stesso delle illusioni,
dall'illusione della patria alla
valorizzazione delle grandi gesta che
rendono eterno l'uomo permettendogli di
vivere nella "mente dei suoi", gesta che
sono fonte di educazione e di imitazione per
le generazioni a venire
Teresa in origine ricorda la Teresa Pikler,
moglie del Monti, ma già nell'edizione del
1802 ricorda la Isabella Roncioni,
conosciuta sul finire del 1800 a Firenze,
che come Teresa appunto era stata promessa a
un marito che non amava (il marchese
fiorentino Pietro Bartolomei) e reincontrata
nell'aprile del 1813, ormai sposata e
corteggiata dal barone Strozzi.
Teresa rappresenta l'amore, la dolcezza, il
senso dell'infinito sul piano del
sentimento, ma anche l'oggetto, come abbiamo
visto, del padre prima (che se ne serve come
scambio per ottenere per sé una sostanziale
tranquillità anche sul piano poliziesco, e
del marito poi: i matrimoni sono un
contratto sociale, come aveva ben scritto il
Rousseau, e la vittima di questo contratto,
la parte debole è proprio la donna, così
legata al focolare domestico e al decoro
della casa, da non avere per sé
assolutamente nessun momento: la sua vita
deve essere dedicata interamente alla casa,
ai figli e al marito... e alla preghiera,
come dirà Carducci circa settantanni dopo.
All'uomo la vita pubblica, alla donna la
vita privata.
Ma la sofferenza di Teresa di fronte alla
mancata realizzazione dell'amore per Jacopo,
il dolore muto vissuto fra il padre e il
marito che pure per Jacopo provavano qualche
simpatia e che il qualche modo si sentono
responsabili della sua morte, come sistema
se non proprio come individui, è chiaramente
manifesto e non viene mai messo in
discussione nemmeno da coloro che sono
preposti alla sua vigilanza: il padre e il
marito. In lei non c'è odio o avversione, ma
una sottomissione alla volontà del padre e
la coscienza che nel suo intimo può vivere
il suo amore per Jacopo, soffrire delle pene
che soffre Jacopo, sentire la mancanza di
Jacopo assente e non lamentarsi, ma rivelare
i suoi sentimenti appena lo vede da lontano
avvicinarsi perché sa che lui è lí per lei,
col suo amore senza pretese.
In Teresa non c'è esasperazione dei
sentimenti, ma mitezza: soffre per la
lontananza della madre ma non farebbe mai
come la madre perché non è una ribelle. In
questo anticipa la funzione della donna
nella società romantica: colei che protegge
il focolare domestico dalle forze
disgregatrici che provengono dall'esterno.
I seguenti due passi mi sembrano
significativi per capire la figura di
Teresa:
Oh la scimunita figura ch'io fo quand'ella
siede lavorando, ed io leggo! M'interrompo a
ogni tratto, ed ella: Proseguite! Torno a
leggere: dopo due carte la mia pronunzia
diventa più rapida e termina borbottando in
cadenza. Teresa s'affanna: Deh leggete un
po' ch'io v'intenda! - io continuo; ma gli
occhi miei, non so come, si sviano
disavvedutamente dal libro, e si trovano
immobili su quell'angelico viso. Divento
muto; cade il libro e si chiude; perdo il
segno, né so più ritrovarlo - Teresa
vorrebbe adirarsi; e sorride.
Quando leggo i suoi versi io me lo dipingo
qui - malinconico - errante - appoggiato al
tronco di un albero, pascersi de' suoi mesti
pensieri, e volgersi al cielo cercando con
gli occhi lagrimosi la beltà immortale di
Laura. Io non so come quell'anima, che avea
in sé tanta parte di spirito celeste, abbia
potuto sopravvivere in tanto dolore, e
fermarsi fra le miserie de' mortali - oh
quando s'ama davvero! - E mi parve ch'essa
mi stringesse la mano, e io mi sentiva il
cuore che non voleva starmi più in petto.
Sono due brani che riportano l'intimità tra
Jacopo e Teresa, ma si potrebbe dire anche
tra Paolo Malatesta e Francesca da Rimini,
tra Francesco Petrarca e Laura: è la fusione
tra il mito e la realtà: la realtà
quotidiana viene vista da Jacopo e Teresa
attraverso il mito di una storia d'amore che
non si realizzerà mai: Teresa come Laura e
come Francesca sposerà un altro uomo, Jacopo
come Francesco e Paolo vivrà un amore
affannoso e contrastato: solo il finale sarà
diverso, perché diversi sono i tempi, perché
diversa è l'educazione e la cultura anche se
identico è il sentimento. In questo Teresa
non può che essere un personaggio
secondario, non nel senso di personaggio
minore e quindi di scarso significato, ma
sul piano della realtà quotidiana, perché
nella vita di tutti i giorni la donna assume
una dimensione secondaria rispetto all'uomo,
tutto preso da "ideali" civili e politici
che sono una cosa distinta, perché
esclusivamente maschili, dall'ideale
dell'amore nel quale la donna assume sì una
parte di rilievo ma come elemento degno di
contemplazione non come persona compartecipe
dello stesso sentimento. I due amanti, pur
vivendo lo stesso reciproco amore, vivono
una parte autonoma, assegnata loro dalle
convenzioni, rispettando le quali si
rispetta non solo il proprio ruolo ma anche
all'interno della coppia ma anche
all'interno della società.
Proprio per questo c'è bisogno di continui
elementi esterni di paragone per esprimere
il proprio amore, come nelle due citazioni:
il libro che ricorda la vicenda dantesca di
Paolo e Francesca e la scena di Jacopo
appoggiato all'albero come Francesco
Petrarca e Laura in Chiare fresche dolci
acque.
L'amore per l'uomo, per Jacopo, è un
sentimento ideale che trascende la vita, e
Teresa con la sua celestiale bellezza col
suo volto angelicato come quello di una
Laura o di una Beatrice della fine del
Settecento rappresenta questo ideale al di
sopra della storia e al di sopra dell'essere
umano e sociale. Teresa, pur essendo
celestiale e angelicata, resta ancorata
saggiamente alla vita, anche se questa è
intessuta di difficoltà e di amarezze, di
illusioni perdute e di dolori causati da
fallimenti sentimentali e sociali e
politici. E per questo, forse, è in qualche
modo da preferire, perché accetta la lotta
quotidiana.
http://www.fausernet.novara.it/fauser/biblio/bios/bio048.htm
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