Leopardi
scrive questo poemetto satirico di
otto canti in ottave, presentandolo
come continuazione del poema
pseudomerico Batracomiomachia,
che era stato tradotto per ben tre
volte dal Leopardi:
1815 |
La
guerra dei topi e delle rane |
1821-1822 |
Guerra
de' topi e delle rane |
1826 |
Guerra
dei topi e delle rane |
Leopardi
finge che il poema sia tratto da
antiche pergamene e che sia
all’improvviso interrotto e non
continuabile, per quanto abbia
interrogato le antiche fonti.
Incerta è la data di composizione del
poemetto, che sicuramente non viene
cominciato prima del 1831, e questo lo
si può dedurre dall’accenno alla
sconfitta dei Belgi a Lovanio il 12
agosto 1831 e alla morte del Niebuhr
avvenuta il 2 gennaio 1831. Quasi
certamente vi lavorò mentre si
trovava a Napoli nel 1834 e vi lavorò
fino alla morte lasciandolo
incompiuto, nel senso che non riuscì
a dargli una veste definitiva. In una
lettera scritta l’11 dicembre 1846
da Giuseppe Giusti a Vincenzo
Gioberti.
Dei Paralipomeni abbiamo due
copie manoscritte: una è fra le carte
napoletane ed è di mano di Antonio
Ranieri (ma il primo canto è di mano
del poeta); l’altra è fra le carte
che il Ranieri lasciò alla biblioteca
nazionale di Napoli, ed è interamente
di mano del poeta. Fu pubblicato per
la prima volta nel 1842 a Parigi, per
i tipi della Libreria europea di
Baudry.
Con i Paralipomeni Leopardi
scrive dei suoi tempi, ma erano tempi
legati a un certo immobilismo: la
napoletanità di Topaia, la città-stato
dei Topi lo dimostra. Ma ne parla in
modo letterario, lontano dai veri
problemi sociali e politici che
affannavano l’epoca della Napoli che
lui ha conosciuto negli ultimi anni
della sua vita, che non gli entrerà
mai dentro e della quale conoscerà a
malapena certi aspetti esteriori,
riassumibili nelle vicende di
Pulcinella e Colombina, che venivano
rappresentati dai teatranti di strada
col teatro dei pupi, unico
divertimento della gente che si
accalcava davanti al teatrino e
partecipava in modo diretto alle
vicende con incitamenti e richieste
che spesso cambiavano la stessa
vicenda come in una specie di
"Commedia dell'arte" . È
vero che i Topi sono i liberali
italiani, le Rane i papalini e i
Granchi i reazionari austriaci e
l’autore crede di essere il Malpensante,
il personaggio Assaggiatore, cioè
l’uomo antiretorico e
anticonformista, ma è anche vero che
di quell’epoca non riesce a cogliere
né la realtà storica né la realtà
umana della gente che lo circondava,
troppo assorbito forse dalla vasta e
profondamente dolorosa vicenda
personale.
I Paralipomeni sono un poemetto
incompleto, perché manca una
conclusione strutturalmente valida
(troppo debole e letteraria risulta il
marchingegno della trovata del
manoscritto interrotto) e manca
soprattutto un’idea-guida intorno
alla quale far girare l’intera
vicenda, che pure non manca di spunti
importanti e sul piano poetico di
ottave interessanti: e l’idea-guida
poteva essere solo, in quei frangenti
storici e la presenza dei tre gruppi
Topi-Rane-Granchi, la soluzione di
un’Italia unita; ma noi non sapremo
mai, leggendo questo poemetto, cosa
veramente Leopardi pensasse
dell’Italia e della sua
unificazione.
Dei Paralipomeni così scrive
Novella Bellucci in Per leggere
Leopardi, (Bonacci, Roma 1988, p.
194): "Con questa satira
politica … Leopardi ha insegnato ai
posteri una lettura certamente non
conformista degli eventi
prerisorgimentali, elaborata sullo
sfondo di uno scenario di cui ormai
l’autore ha smascherato ogni
ornamento pseudoculturale o
ideologico, ogni supporto aprioristico
e consolatorio. Va tenuto presente che
lo spirito polemico del poemetto è
indirizzato verso dei destinatari
concreti, i liberali in genere (molti
Leopardi ne aveva conosciuti e
frequentati nel soggiorno fiorentino),
ma soprattutto gli spiritualisti
cattolici della Napoli in cui si trovò
a vivere negli ultimi anni della vita;
eppure le ottave dei Paralipomeni,
mentre si misurano con la polemica
concreta, si situano anche in una
prospettiva più generale, si
riconducono al complessivo discorso
poetico dell’ultimo Leopardi: sopra
e oltre le vicende degli uomini, le
loro micro e macro storie, incombe un
"sistema"
antiprovvidenziale, ugualmente
indifferente a umani e bestie,
impossibilitato nei suoi meccanismi
essenziali a mutare o migliorare,
identificabile con una natura
"carnefice e nemica" o
almeno non finalizzata alla cura degli
eventi."
Queste parole sono apparentemente
chiare, ma difficili da capire per i
nostri magri studenti (avrebbe, ad
esempio, almeno potuto spiegare che
cosa significa supporto
aprioristico e consolatorio in un
autore che chiede così poco di essere
consolato ma tanto di sentire vicino
una presenza amica); e noi le abbiamo
riportate perché ci servono per
mettere in evidenza due elementi, che
appartengono non solo alla
comprensione di questo poemetto, ma
all’intera poetica leopardiana e che
possiamo così enucleare:
1) il
poemetto è indirizzato
realisticamente a certi gruppi di
persone, i liberali che aveva
conosciuto soprattutto a Firenze e gli
spiritualisti cattolici di Napoli
eredi delle vittoriose giornate
contro la Repubblica partenopea del
1799 e che continuavano imperterriti a
fare disastri politici ed economici
nella Napoli della prima metà
dell’Ottocento;
2) ogni
cosa è sottoposta a un sistema
esterno e superiore all’individuo
(identificabile con la Natura
matrigna) che tutto vede e a tutto
provvede senza tener conto degli
individui ma perseguendo fini
misteriosi ai quali l’uomo è
completamente estraneo e contro i
quali si rende conto di essere
impotente. Se estendiamo questo
concetto dal piano religioso a quello
politico, ci accorgiamo che in effetti
la situazione non cambia: il potere
politico resta qualcosa di
inaccessibile all’uomo che si rende
conto allo stesso modo di essere
estraneo e impotente.
Ma, al di là di queste due
considerazioni, assodato che questo
poemetto leopardiano viene letto solo
dagli studiosi e da qualche
appassionato, ci dobbiamo rendere
conto che Leopardi stesso vive in una
realtà sociale, politica e religiosa
che gli resta estranea: non è
l’interprete di quella realtà, come
non può esserlo il romantico in
genere tutto preso dai suoi grandi
ideali che appartengono a una realtà
storica sicuramente più evoluta, ma
solo il visionario che con la realtà
tende molto spesso a scontrarsi. Il
romantico lotta per un’idea, non per
la realtà, lotta per la libertà come
ideale non per la libertà di un
popolo che è anche progresso
dell’uomo e non ci può essere
progresso sociale se non si cancellano
privilegi che allora come ora erano
forti e tenacemente legati al modo di
vivere e di pensare di coloro che in
qualunque modo avevano in mano le leve
del potere sia a livello generale che
a livello locale.
Per avere scrittori che siano anche
interpreti della realtà bisognerà
aspettare almeno i poètes maudits
e i veristi o naturalisti,
che descriveranno la realtà come
credevano che essa fosse. Insomma:
a) i
romantici hanno una visione personale
della realtà,
b) i
romantici non sono interpreti della
realtà.
Personaggi
del poemetto
(I nomi di
alcuni personaggi appartenevano già
alla Batracomiomachia)
Miratondo,
un guerriero dei Topi
Mangiaprosciutti,
Re dei Topi, morto in battaglia
Leccamacine,
figlia di Mangiaprosciutti, sposa di
Rodipane
Rodipane,
sposo di Leccamacine, successore di
Mangiaprosciutti per elezione e quindi
per volontà popolare
Rubabriciole,
figlio di Rodipane e Leccamacine, per
la cui morte scoppia la guerra fra
Rane e Topi
Rubatocchi,
generale dei Topi, valoroso come
Achille, l'unico a morire eroicamente
nella battaglia contro i Granchi
Leccafondi,
Conte e Signore di Pesafondi e
Stacciavento (identificato con Gino
Capponi o Pietro Colletta)
Brancaforte,
Generale dei Granchi (qualcuno lo ha
voluto identificare col generale
austriaco di origine italiana Federico
Bianchi, che nel maggio del 1815
sconfisse Gioacchino Murat a
Tolentino)
Senzacapo,
Re dei Granchi (probabile allusione a
Francesco I di Lorena, diciannovesimo
imperatore della casa d’Asburgo,
appartenente alla dinastia iniziata da
Francesco di Lorena e Maria Teresa)
Camminatorto,
ministro reazionario imposto dai
Granchi a Rodipane
Assaggiatore,
generale, che rispecchia idee e scelte
dell’autore
Riassunto
del poemetto
(I
numeri tra parentesi indicano le
ottave)
Canto
primo:
Nella guerra tra Topi e Rane,
scoppiata per la morte del principe
Rubabriciole, nipote di
Mangiaprosciutti re dei Topi e figlio
di Leccamacine, i Topi sconfitti sono
costretti a una ritirata precipitosa
(1-4); morto in battaglia il loro re
Mangiaprosciutti, durante una sosta
eleggono il valoroso Rubatocchi come
capo provvisorio (5-13) e inviano il
conte Leccafondi come ambasciatore al
campo nemico (32-47). Lunga
digressione sull’antica grandezza
d’Italia (14-31).
sconfitta
dei topi
|
riferimento
alla battaglia di Tolentino
(3 maggio 1815) nella quale
l’esercito napoletano
comandato da Gioacchino
Murat fu sconfitto dagli
Austriaci venuti in soccorso
delle truppe pontificie
|
fuga
dei topi
|
terza
ottava:
viene paragonata a quella
delle truppe pontificie nel
corso della prima campagna
d’Italia di Napoleone
(1797), guidate dal generale
imperiale Michelangelo
Alessandro Colli-Marchini
|
fuga
dei topi
|
quarta
ottava:
sconfitta degli Olandesi a
Lovanio (12 agosto 1831) con
una fuga interrotta dal
soccorso delle truppe
francesi di Luigi Filippo
|
nona
ottava
|
riferimento
all’episodio narrato da
Senofonte nell’Anabasi,
dei diecimila mercenari
greci che, dopo aver
partecipato alla sfortunata
spedizione
|
Lucerniere
|
antico
topolino filosofante, al
quale è stata eretta una
statua
|
Canto secondo:
Viaggio notturno del Conte Leccafondi
(1-10) e descrizione del suo arrivo al
campo dei Granchi (11-27); Brancaforte,
generale dei Granchi, dapprima si
rifiuta di riconoscere il mandato di
Leccafondi; poi, per ordine del suo re
Senzacapo, detta al conte le
condizioni di pace: nomina, da parte
dei Topi, di un re legittimo e
insediamento di un presidio di
trentamila granchi in Topaia, la
capitale sotterranea dei vinti Topi e
infine illustra la politica del suo
sovrano, basata sui princìpi
dell’equilibrio e del diritto
d’intervento (28-46). Da notare che
nelle ottave 30-39 è satireggiato il
principio dell’equilibrio europeo,
obiettivo della politica austriaca
posteriore al congresso di Vienna.
Topaia
|
La
città stato dei Topi,
identificabile con la città
di Napoli e/o col Regno di
Napoli
|
Mezzofanti
|
cardinale
Giuseppe Gaspare Mezzofanti
(1774-1849), famoso
poliglotta, professore
all’Università di Bologna
(sembra conoscesse una
ventina di lingue)
|
Brancaforte
|
Generale
dei Granchi (qualcuno lo ha
voluto identificare col
generale austriaco di
origine italiana Federico
Bianchi, che nel maggio del
1815 sconfisse Gioacchino
Murat a Tolentino): è
comunque l’emblema del
militare austriaco rozzo e
ottuso
|
Senzacapo
(ott. 26)
|
probabile
allusione a Francesco I di
Lorena, diciannovesimo
imperatore della casa
d’Asburgo, appartenente
alla dinastia iniziata da
Francesco di Lorena e Maria
Teresa
|
ottava
42
|
Forse
c’è un riferimento alla
guarnigione che l’Austria
impose al Regno di Napoli
nel 1821
|
C anto
terzo
Rubatocchi, che ha condotto in salvo
l’esercito dei Topi in salvo nella
città-stato di Topaia (1-19),
rinuncia al potere che gli viene
offerto; digressione sul secolo XVI
(20-34). I Topi instaurano allora un
regime costituzionale ed eleggono come
loro Re Rodipane, genero di
Mangiaprosciutti (35-45).
Topaia
|
nella
descrizione di Topaia
Leopardi ha tenuto presente
Napoli
|
ottava
7
|
Il
castello di Topaia è
paragonato alla città di
Trevi con una lunga
similitudine che si estende
per tre ottave
|
Canto
quarto
Dopo
una lunga digressione satirica sui
primordi della società umana in
polemica con le teorie
provvidenzialistiche della storia
(1-25), il racconto riprende dalle
elezioni di Rodipane: viene costituito
un governo liberale, nel quale il
liberale Leccafondi è nominato
consigliere del re e ministro degli
interni, e si adopera per il progresso
culturale, civile ed economico del
popolo (26-42. Ma Senzacapo, il re dei
Granchi, non tollera questa svolta
pericolosa ed invia a Topaia il suo
messo Boccaferrata (43-47)0.
Senzacapo
|
nel
ritratto di Senzacapo c’è
un probabile riferimento a
Francesco I d’Austria, il
quale "si occupava
personalmente di regolare
con editti e decreti il
numero e le qualità delle
percosse, e la qualità
della verga che era,
secondo i casi, o bastone o
verga di vimini. Francesco I
fu veramente sonatore di
violino e faceva parte di un
quartetto speciale" (Allodoli)
|
Canto
quinto
Lungo discorso (1-15) di Boccaferrata
che cerca di costringere Rodipane di
"legittimare" il suo potere,
rifiutando la sua elezione avvenuta
per volontà popolare e sancendo che
il potere gli spetta per diritto
dinastico. Rodipane si rifiuta (16-20)
e scoppia la guerra: il popolo dei
Topi approva sdegnati
l’atteggiamento del suo re e si
prepara allo scontro con i Granchi
(21-34); ma alla sola vista del nemico
i Topi fuggono e vengono sconfitti
(35-48): tanto grandiosa ed epica è
la descrizione della preparazione alla
battaglia (basta vedere l’elenco dei
personaggi mitici nominati). L’unico
a non fuggire è Rubatocchi, contro il
quale si rivolgono le schiere nemiche:
dopo il tramonto del Sole, quando il
buio è ormai completo, cade "ma
il suo cader non vide il cielo".
Canto
sesto
Cade Topaia e cade il suo regime
liberale (1-6): Camminatorto, il
ministro reazionario che i Granchi
impongono a Rodipane, abroga tutti i
provvedimenti che aveva preso
l’illuminato Leccafondi (7-13). A
Topaia i Topi cominciano a tramare
congiure velleitarie, mentre
Leccafondi viene esiliato (14-23);
durante la tempesta in una notte
d’autunno trova rifugio nel palazzo
di Dedalo (unico personaggio umano del
poema) (24-36), che lo ospita
generosamente e al quale narra le sue
peripezie, come Enea a Didone (37-45).
Canto
settimo
Ritratto di Dedalo che fa vedere a
Leccafondi la sua biblioteca e le
opere antiche e moderne dei Topi
(1-7), convinto assertore
dell’immortalità dell’anima delle
bestie, guida Leccafondi verso l’Averno
degli animali. Muniti di ali, i due
sorvolano la meta Europa, Asia e
Africa rappresentate in età
preistorica (20-31) e infine
raggiungono l’Averno degli animali
(32-51).
Canto
ottavo
Leccafondi discende nell’Averno dei
Topi (1-19) e a fatica riesce a
strappare un consiglio ai Topi
defunti: rientri in Topaia e si
rivolga al vecchio e prode generale
Assaggiatore (20-31). Tornato in
patria, il conte interroga più volte
invano il generale (32-41); finalmente
egli parla ma le sue dichiarazioni non
possono essere riferite perché
proprio a questo punto s’interrompe
il manoscritto sul quale il poeta
finge di aver condotto la sua storia
(42-46) e più a nulla vale la
conoscenza celata in mille biblioteche
e in tante lingue diverse, antiche o
moderne.
"Sotto le vesti animalesche si
nascondono i contendenti dei moti
risorgimentali dal 1821 al 1831, con
particolare riferimento alle vicende
napoletane: i topi sono liberali, le
rane rappresentano i conservatori (con
specifica allusione alle truppe
pontificie), i granchi invece
rappresentano gli Austriaci. Resta
fondamentale il giudizio espresso sul
poemetto da Vincenzo Gioberti (cfr. Il
gesuita moderno, vol. III,
Losanna, Bonamici 1847, pag. 484):
"I popoli italiani sono forse
educati alle grandi imprese? Il
Leopardi verso la fine della sua vita
scrisse un libro terribile, nel quale
deride i desideri, i sogni, i
tentativi politici degl’Italiani con
un’ironia amara che squarcia il
cuore, ma che è giustissima.
Imperocchè tutto ciò che noi abbiam
fatto in opera di polizia da un mezzo
secolo in qua è così puerile, che io
non vorrei incollerire contro gli
stranieri quando ci deridono se
anch’essi non fossero intinti più o
meno della stessa pece".
Alla fine resta la penosa impressione
dell’esercito dei Topi che,
schierato e pronto ormai per la
battaglia, all’improvviso si slancia
in una irrefrenabile fuga e giunge ad
accalcarsi davanti alle quattro sole
porte d’entrata nella città di
Topaia, raggiunto e inesorabilmente
decimato dall’esercito dei Granchi,
dopo che era stato abbattuto
l’ultimo eroico inutile baluardo,
rappresentato dalla figura del
generale Rubatocchi: una morte tanto
eroica quanto farsesca se si pensa
alla contemporanea oscena fuga del suo
esercito.
Proprio le due dicotomie eroismo-farsa
e storia-apparenza,
introducono alla dicotomia più
interessante presente nel poemetto e
che affonda le sue radici
nell’Illuminismo e nella Rivoluzione
francese, quella fra potere
regio e potere popolare, che
così male era rappresentata
dall’esercito francese in Italia,
sia per quanto riguarda le esperienze
infelici di Monaldo Leopardi, sia per
le esperienze altrettanto infelici dei
tempi di Giacomo; proprio quest'ultima
dicotomia è ben rappresentate dalla
presenza di Boccaforte che cerca di
obbligare Rodipane a cambiare la
legittimità della sua elezione da
popolare in una più tradizionale,
quella del potere che deriva dal
diritto divino.
http://www.fausernet.novara.it/fauser/biblio/bios/bio048.htm
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