Quasi tutti i contemporanei, specie i cattolici, furono ostili al Leopardi a causa del suo estremo pessimismo. Non poterono, tuttavia, fare a meno di elogiarne lo stile. La verità è che nessuno riuscì a penetrare a fondo nell'animo del Poeta.
Fu Francesco De Sanctis il primo grande ammiratore del Leopardi, colui che gettò le basi per una lettura seria e approfondita del grande recanatese. Anche nel Leopardi, come già nel Foscolo, c'è contrasto fra l’intelletto che nega ogni valore alla vita umana ed il sentimento che afferma tenacemente un grande desiderio non solo di vita, ma di eterno. Il De Sanctis, con un'analisi minuta dei “Canti”, mette in luce la grandezza poetica del Leopardi, soprattutto quella raggiunta negli idilli che cantano “l’impressione immediata e nuova prodotta dalla contemplazione della natura su anime solitarie e malinconiche”. Egli fu però assai severo nei confronti delle “Operette Morali” che non considerò assolutamente opera di poesia: «nella prosa l'intelletto regna solo, cacciate dall’anima tutte le illusioni, e afferma la sua vittoria con un cotal risolino a spese del volgo, ch'esso incalza e deride dall'alto della sua superiorità»; nelle “Operette” mancherebbe «l'interesse che viene da una sincera e calda partecipazione personale, e l’interesse che viene dalla calma e dalla serenità dello spirito».
I critici successivi prenderanno tutti l’avvio dalle tesi del De Sanctis, che approfondiranno in vario modo e con vari risultati, sempre però ribadendo l’alto valore della poesia dei “Canti” ed in più cercando di rendere giustizia alle “Operette Morali”, la cui poeticità oggi è comunemente riconosciuta.
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