Il Cinque
Maggio
Introduzione
L’ode è stata scritta da Manzoni in soli tre
giorni (17-19 luglio 1821) subito dopo la
notizia della morte di Napoleone, giunta a
Milano il 16 luglio, che doveva provocare
nel Poeta una notevole impressione che creò
quello sgomento che sempre coglie gli uomini
quando muoiono i Grandi che sembrabo
indistruttibili, una certa commozione che
nel Manzoni si traduce nella meditazione
sulla vita e sulla morte, sulla fragile
transitorietà delle glorie umane e terrene,
sulla dolorosità della solitudine acuita dal
ricordo delle grandezze passate e
dall’ansietà di un desiderio, talvolta
potente, di un aiuto che non arriva
(Napoleone che scruta l’orizzonte lontano
sul mare), e infine la pacificazione nella
Benefica Fede, con una preghiera "a
speredere ogni ria parola" superando la
condizione umana contingente nell’attesa di
raggiungere il premio / che i desideri
avanza.
Possiamo dividere l’ode manzoniana, composta
da 18 sestine per complessivi versi 108, in
due distinte parti simmetriche, comprendenti
ciascuna 9 sestine:
la prima fino al verso 54, dominata dalla
presenza dell’uomo di fronte a se stesso,
alla sua storia terrena, alla sua gloria
umana, al premio / ch’e follia sperar;
domina Napoleone e la sua storia, per il
quale Manzoni non si era prodigato in elogi
negli anni in cui dominò l’Europa, e non
aveva neanche pensato un codardo oltraggio
quando il destino dell’uomo era ormai
segnato solo dalla sconfitta; di fronte alla
morte di Napoleone il Poeta e la terra tutta
restano muti nella meraviglia un po’
dolorosa di una morte "incredibile".
la seconda dal v. 55 alla fine, dominata
dall’incontro tra l’uomo e Dio, la benefica
/ Fede ai trionfi avvezza, che sola può dare
quel premio / che i desideri avanza, / dov’è
silenzio e tenebre / la gloria che passò. I
verbi al passato remoto in questa seconda
parte sono soltanto sei, le tre coppie
sparve/chiuse, imprese/stette,
ripensò/disperò ed esprimono una escalation
verso una condizione di disperazione e di
solitudine assoluta che può essere risolta
solo attraverso l’intervento di una Forza
esterna all’uomo. Per questo, finita
l’escalation verso la disperazione, si
impone una presenza diversa.
Entrambe cominciano con la realtà presente
della morte di Napoleone (Ei fu al v. 1, E
sparve al v. 55), di un Napoleone che è solo
uno dei due centri costitutivi dell’ode
(l’altro è Dio). Ciò che colpisce
l’immaginazione e la spiritualità del
Manzoni non è la figura di Napoleone,
dominatore degli eventi a cavallo fra il
Settecento e l’Ottocento, o la storiadei
fatto o delle idee di quegli anni, quanto il
silenzio e la solitudine vissuti nell’isola
di Sant’Elena, e la possibilità di un
profondo pentimento maturato nella
meditazione sulla sua vita passato e di un
affidamento alla pietà di Dio
all’avvicinarsi della fine dei propri
giorni.
Il poeta rimane muto ripensando agli ultimi
attimi della vita di un uomo che il Fato
aveva voluto arbitro della storia e di tanti
destini umani, di un uomo che si era posto
lui stesso come Fato/arbitro dei destini dei
popoli e che racchiuse in sé le aspettative
di un’epoca; e allora non può che ripensare
a quando potrà esistere nuovamente un uomo
altrettanto decisivi per i destini umani,
che, calpestando la sanguinosa polvere del
mondo e della vita, lascerà nella storia
un’orma altrettanto grande.
E quegli ultimi attimi sono fusi
nell’ansietà di un naufrago, oppresso dalla
solitudine e dal peso delle memorie e delle
immagini che si affollano nella memoria; e
da quel naufragio lo salverà solo la
benefica Fede nel Dio che atterra e suscita
/ che affanna e che consola.
Marzo 1821
Introduzione
L’ode fu scritta da Manzoni in occasione dei
moti carbonari piemontesi del 1821, quando
l’atteggiamento riformistico e liberale del
giovane Carlo Alberto, erede al trono
piemontese e Reggente in attesa dell’arrivo
del Re Carlo Felice di Savoia, che sembrava
stesse per varcare il Ticino ed entrare con
le armi in Lombardia per aiutare i patrioti
a liberare il Lombardo-Veneto
dall’oppressivo dominio austriaco, aveva
acceso le speranze dei liberali e di coloro
che aspiravano all’unificazione dei vari
stati italiani sotto un’unica bandiera. Ma
le speranze vennero ben presto vanificate
sia dall’intervento di Carlo Felice che
della polizia austriaca, che procedette a
una dura repressione nella quale furono
coinvolti, tra gli altri, Silvio Pellico e
Federico Confalonieri.
L’entusiasmo di quei giorni venne quindi
subito stroncato dagli eventi, ma l’ode
rispecchiò profondamente uno spirito che non
verrà mai soffocato e che ha rappresentato
uno degli elementi politici e culturali
fondamentali dell’Ottocento, elemento che,
dopo circa trentanni di discussioni e
approfondimenti, che toccarono non solo le
sfere della politica e del diritto, ma anche
quella della religione (pensiamo ad esempio
al Neoguefismo), a partire dal 1848 in poi,
comincerà a trovare una sua qualche
realizzazione, non appena i sentimenti
liberali si diffonderanno nelle classi
sociali medio-basse e diventeranno popolari,
non appartenenti più a una ristretta élite.
Nel timore di una perquisizione della
polizia, il Manzoni nascose o addirittura
distrusse il manoscritto dell’ode, ma
qualche copia venne conservata da amici, e
fu pubblicata solo nel 1848, a cura del
Governo provvisorio di Milano, a seguito del
successo delle Cinque Giornate che facevano
ben sperare in una felice conclusione della
liberazione dallo straniero, devolvendo i
proventi ai patrioti.
Alla base dell’ode si trovano, quindi motivi
storici e politici e di esaltazione della
libertà dallo straniero insieme a una
presenza di Dio, viva e puntuale nelle
vicende umane, una presenza che aiuta l’uomo
a combattere non solo per il personale
riscatto dal peccato, ma anche in senso più
universale a combattere per il riscatto
della patria dallo straniero, portando gli
uomini verso la creazione di un mondo in cui
ci sia veramente un maggiore rispetto
dell’uomo per gli altri uomini, superando la
barriera dell’egoismo personale e
dell’interesse politico di una classe
sociale che pensa solo e innanzitutto a
mantenere il proprio potere.
L’ode è un appello alla libertà di tutti i
popoli, che va al di là della polemica
contro i princìpi (soprattutto quello di
legittimità) sanciti dal Congresso di
Vienna, princìpi che non tenevano conto
delle nuove aspirazioni dei popoli e della
nuova situazione europea, venutasi a creare
sia con la Rivoluzione francese (sul piano
ideologico e politico) che con la
Rivoluzione industriale (sul piano
economico); l’ode è un appello, infine,
contro ogni forma di violenza, ad
abbandonare la via del male per seguire
quella del diritto dei popoli, rivolto
proprio a quei popoli e a quei governi che
solo qualche anno prima l’avevano
sbandierato per liberarsi dall’oppressione
napoleonica. Per questo diventa fondamentale
un concetto in questo appello: Dio protegge
gli uomini oppressi, e come aveva già
protetto a suo tempo i Tedeschi (accomunati
agli Austriaci) così avrebbe protetto gli
Italiani; ed è proprio il concetto della
protezione degli oppressi che troverà la sua
grandiosa e definitiva sistemazione
ideologica ed artistica ne I Promessi Sposi.
Il Poeta dedicò l’ode a Teodoro Koerner,
patriota e poeta romantico tedesco, autore
di drammi e canti patriottici contro
l’oppressione napoleonica, morto combattendo
nel 1813 combattendo nella battaglia di
Lipsia, secondo il Manzoni.
"In questa poesia il Manzoni esprime il
proprio ideale nazionale unitario, fondato
sull’unità di lingua, di religione, di
tradizioni, di stirpe e di aspirazioni,
superando ogni forma politicamente gretta o
vuotamente rettorica dell’ideale patriottico
e incentrandolo su un’effettiva comunione di
vita, materiale e spirituale, del popolo,
sancita da una tradizione nazionale (le
memorie del v. 32). Altrettanto importante e
grave l’ammonimento rivolto agli stranieri
che si sono serviti degli ideali nazionali
per far ribellare i popoli a Napoleone, ma
subito dopo hanno sostituito la loro
oppressione a quella dell’imperatore
francese. Qui c’è un’altissima e nobile
protesta contro la bassa politica della
violenza e dell’intrigo, totalmente opposta
al messaggio cristiano. È la voce di un
cattolico liberale, che esorta gli italiani
a insorgere contro l’oppressione in nome di
un Dio che è amore ma anche giustizia. Il
diritto alla libertà diviene così un dovere,
un momento della lotta per l’affermazione
del del bene contro il male; Il Manzoni, che
nelle Tragedie esecra la guerra, non esita
qui a invocare il Dio degli eserciti, a
incitare gli Italiani a combattere in nome
della giustizia. (Pazzaglia)
http://www.fausernet.novara.it/fauser/biblio/bios/bio048.htm
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