Questo sonetto usa il linguaggio fortemente «realistico» e metaforico secondo i modi della satira e dell'invettiva politica propri della tradizione comica. Vi spicca l'immagine allegorica della Chiesa, prima rappresentata, a indicare la situazione attuale, come meretrice (secondo il modello dell'Apocalisse, XVII, I, già ripreso da Dante in Inferno, XIX, vv. 106-11 e in Purgatorio, XXXII, vv. 14950) e poi rappresentata, a indicare la situazione delle origini, come una povera anacoreta nel deserto. Accanto a essa si formano altre immagini e personificazioni: il nido dei tradimenti, l'alcova di lussuria, il palazzo delle feste orgiastiche di Belzebù. Le metafore sono fitte e rilevate (nido, piume, rezzo, vento, stecchi) e così le metonimie (fiamma, trecce, fiume, ghiande, vino, letti).
È possibile tuttavia osservare che anche nei confronti di una materia così incandescente Petrarca ha esercitato il suo senso dell'equilibrio e dell'arte: si può notare ad esempio come il sonetto si apra e si chiuda con due congiuntivi desiderativi, come esso proceda per coppie e simmetrie (le due immagini della Chiesa a confronto, da cui derivano molte coppie oppositive di nomi e
aggettivi), come esso si appoggi su una struttura ben diversa di quartine e terzine. |