ANALISI TESTUALE: FRANCESCO PETRARCA

 

Luigi De Bellis

 
 

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S'amor non è, che dunque è quel ch'io sento? 






Riportiamo, su questo sonetto, l'analisi di Leonard Forster e quella di Hugo Friedrich:

- «Le due quartine contengono una serie di domande retoriche, ciascuna delle quali esprime un contrasto. La formulazione è intellettuale, raziocinante, ma estremamente semplice. $ costruita su un modulo "se-perché" per i primi sei versi, 1a possibile monotonia dei quali è però rotta dall'esclamazione, costituita da due coppie antitetiche paradossali "O viva morte, o dilettoso male", che non solo riassume in sé, con immagini concentrate, la situazione descritta in termini discorsivi nei versi precedenti, ma serve come una specie di invocazione ad Amore in persona, al quale il poeta rivolge domande dirette. Il primo verso della prima terzina conclude la discussione raziocinante; i versi successivi presentano immagini di contrasto: venti contrari, barca frate, senza timone in alto mare, "lieve di saver, d'error sì carca". Il penultimo verso rompe la serie delle immagini, prima che anch'essa divenga monotona, con la semplice espressione di desideri confusi (che è però, anch'essa, un'antitesi implicita) e il sonetto si conclude con due paradossi antitetici: La prima persona era già presente nel primo verso ("io sento"), ma questo "io" che parla non è così individualizzato da dover essere solo Petrarca e nessun altro. Generoso in questo sonetto di antitesi e ossimori, Petrarca non permette mai che divengano stancanti. C'è un bell'equilibrio fra raziocinio e immagini, e il settimo verso, centrale nel sonetto, esprime un grido estatico, che lo differenzia da tutti gli altri versi, eppure anche tutti li riassume: "viva morte", "dilettoso male" sono il paradosso dell'amore petrarchesco».
- «Il sonetto riprende le antiche discussioni su Amore, ma non con lo scopo di enunciare un teoria oggettivante, bensì per dare una rappresentazione emotiva, del tutto limitata al soggetto. Tema sono i paradossi dell'amore espressi negli ossimori secondo la formula, altrettanto antica, del dulce malum. Lo schema delle domande antitetiche nella I e II strofa, delle enunciazioni antitetiche nella m e nella m sfiora il manierismo, ma serve a rendere più intenso il desiderio di penetrare nei controsensi dell'amore. Tutto ciò è anche l'espressione mossa e ricca di un moto dell'animo dove non c'è nulla di troppo e non si può quindi parlare di manierismo, a differenza del sonetto CXXXIV, tematicamente affine, ma estremamente manieristico».

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it