1. Nasce a Livorno nel 1804, dove frequenta il ginnasio dei Barnabiti. Fuggito di casa dopo una grave lite familiare, fece il revisore di stampe. Riconciliatosi col padre, fu mandato a Pisa, dove si laurea in legge nel 1824. Esercita l'avvocatura, dedicandosi però nel contempo, e con maggior impegno, alle lettere.
2. A Pisa conosce il poeta inglese G. Byron restando influenzato dalla sua forte personalità, tant'è che le sue prime opere sono tutte pervase di motivi byroniani: La società (1824), le Stanze (1825), allo stesso Byron dedicata.
3. Invece il romanzo storico La battaglia di Benevento (1828), si rifà al romanziere e poeta W. Scott. Di esso disse N. Tommaseo: "Il romanzo risorgimentale ebbe i suoi primi influssi, la sua prima formulazione non nella Lombardia del Manzoni, ma nella Toscana del Guerrazzi". L'opera, in effetti, suscitò, specie nel Mezzogiorno, vivissime simpatie, che peraltro troveranno conferma molti anni dopo con la sua elezione a deputato nei collegi di Melfi, Lecce e Caltanissetta. Con essa il Guerrazzi si era praticamente segnalato a livello nazionale come scrittore politico, patriottico e civile.
4. Acceso sostenitore degli ideali repubblicani, fonda nel 1828 il giornale politico-letterario L'indicatore livornese, che diresse con Carlo Bini fino al 1830 e di cui uscirono 48 numeri. Questi sono gli anni in cui si diffonde il Toscana il mazzinianesimo, il sansimonismo e le idee di Buonarroti (cfr. Carlo Guitera, Veri Italiani). L'indicatore si poneva nettamente in alternativa al periodico Antologia, fondato a Firenze dal ginevrino moderato Viesseux.
5. Oratore eloquente, per un elogio funebre di un ufficiale livornese morto in Russia (il discorso fu pronunciato a Livorno e pubblicato a Marsiglia sul periodico della Giovane Italia), Guerrazzi venne confinato per sei mesi a Montepulciano. Poi siccome organizzava un'attività pericolosa per il granducato di Toscana, nel '33 viene rinchiuso nelle prigioni del forte Stella a Portoferraro.
6. Nel '36 pubblica a Parigi, sotto il nome di Anselmo Gualandi, e fa introdurre clandestinamente in Italia L'assedio di Firenze, suscitando l'entusiastica ammirazione del Mazzini, il quale scrisse: "per energia, immaginazione e sacro sdegno io non so di scrittore vivente che ragguagli Guerrazzi", aggiungendo che l'arte, con lui, era diventata "un mezzo di azione, uno strumento di educazione alle generazioni". "A Napoli -disse il De Sanctis- L'assedio di Firenze si vendeva a peso d'oro e felice chi poteva leggerlo!". In effetti sia questo libro che La battaglia di Benevento ebbero un successo editoriale enorme per quei tempi (oltre 50 edizioni ciascuno) che durò sino ai primi del '900. L'assedio fu tradotto nelle principali lingue europee. La rivista russa Sovremenik (Il Contemporaneo) lo definì come "la scuola dal quale sono usciti i Mille di Marsala",
7. Nel 1847 cominciò a stendere le sue Note autobiografiche, ma il libro fu sequestrato e pubblicato, postumo, da ignoti nel 1899.
8. Si era intanto ritirato dalla politica, dedicandosi alla professione di avvocato, ma durante la rivoluzione del 1848-49 ebbe nuovamente un ruolo di spicco negli avvenimenti toscani. Livorno fu la sola città italiana che dalla caduta di Milano riuscì a conseguire nel '48 una vittoriosa rivoluzione. Essa infatti seppe imporre un governo decisamente democratico togliendo di mezzo il granducato leopoldino.
9. Guerrazzi, eletto deputato nell'ottobre del '48, fu poi ministro dell'Interno. Dopo la fuga del granduca formò con Montanelli e G. Mazzoni un governo provvisorio (8 febbraio 1849). Il programma prevedeva un prestito forzoso da chiedere ai latifondisti per avviare una serie di lavori pubblici con cui eliminare la disoccupazione, la costituzione di un esercito popolare, ecc. Preoccupato della debolezza militare dei rivoltosi, Guerrazzi chiese e ottenne di diventare capo dell'esecutivo (marzo '49). Purtroppo fu sorpreso dal colpo di stato controrivoluzionario (capeggiato dal barone Ricasoli e dal Capponi, che chiesero l'intervento degli austriaci) del 12 aprile 1849. Il parlamento fu subito soppresso. All'avvento della restaurazione Guerrazzi, che si era rifiutato di fuggire, fu arrestato e processato (1853) dopo quattro anni di carcere. Nonostante la sua Apologia (1851) e l'Orazione a difesa (1853), egli fu condannato per lesa maestà a 15 anni di carcere duro, pena commutata subito dopo nell'esilio in Corsica.
10. Nei primi anni di esilio scrive Il marchese di Santa Prassede (1853) e il romanzo storico Beatrice Cenci (1854), stroncato dal De Sanctis, che intanto era diventato un sostenitore della monarchia piemontese. Al che il Guerrazzi rispose per iscritto a un amico: "Alessandro Manzoni onorato, me depresso… E sì che fino dal '40 gli inglesi e i tedeschi ci ponevano a capo di due scuole diverse, e la sua qualificavano narcotica". Va tuttavia sottolineato che nel momento stesso in cui De Sanctis parteggiò per la destra, i suoi giudizi letterari su tutti gli scrittori a lui contemporanei si trasformarono in politici, diventando, come nel caso del Guerrazzi, ovviamente negativi. (P. es. l'opera innovatrice di Cattaneo e Ferrari non fu presa neppure in considerazione.) De Sanctis arrivò persino a togliere al Guerrazzi il ruolo di caposcuola della corrente letteraria democratica.
11. Nel '57 fugge dall'isola e col permesso del Cavour risiede a Genova fino al 1862. Rapporti personali o politici col Cavour mai ne ebbe; di lui scrisse che "accettava gli uomini preclari della democrazia per incettarli in pro dell'aristocrazia".
12. In questo periodo pubblica la feroce satira L'Asino (1857), la novella Fides, poi La torre di Nonza (1857) e La storia di un moscone (1858), gli Scritti politici e gli Scritti letterari, nonché il romanzo dai toni spesso ironici e fantastici Il buco nel muro (1862), che si rifà allo scrittore anglosassone L. Sterne, la cui opera era stata introdotta in Italia dal Foscolo. Di rilievo anche il romanzo storico L'assedio di Roma (1863-65) che, insieme a Il buco nel muro, riflette la sua forte delusione nei confronti delle conclusioni risorgimentali.
13. Fra il 1863 e il '67 scrisse le Vite degli uomini illustri d'Italia, in politica e in armi, dal 1450 al 1850. (Nel '57 ne aveva già scritta una di Pasquale Sottocorno, che rievoca la figura dell'eroe delle Cinque Giornate di Milano). Iniziò con la Vita di Andrea Doria, proseguì con quella di Francesco Ferrucci, Sampiero d'Ornano, Francesco Burlamacchi, poi interruppe il vasto progetto perché gli sembrava inutile. Le biografie furono scritte con un chiaro senso di fallimento storico che gettava ombre su tutto il Risorgimento, trovando in ciò il totale disaccordo del Mazzini. In effetti, il modello della sua biografia "pedagogica", pur avendo come scopo quello di dimostrare che l'individuo, col suo esempio eroico, poteva diventare un simbolo per le masse sfiduciate, di fatto non faceva che portare alla rassegnazione, in quanto gli esempi scelti erano soltanto dei "grandi infelici", destinati a soccombere sotto i colpi irrazionali della storia[i].
14. Postumo invece uscì il romanzo sociale Il secolo che muore (1885), rimasto quasi del tutto sconosciuto, nell'unica edizione romana. Nel clima persecutorio di quel momento, contro le forze democratiche, repubblicane e federaliste, non si poteva accettare un libro così controcorrente; si era persa la fiducia in una positiva evoluzione del Risorgimento verso la democrazia sociale e nella critica letteraria stava emergendo chiaramente l'opzione decadentistica. Il Guerrazzi continuò ad essere criticato (ancor più duramente, se possibile) da Benedetto Croce, successore di De Sanctis, che gli negherà qualsiasi finalità d'arte (come d'altra parte faceva con qualunque scrittore o artista che si ponesse una destinazione pratica); gli negò persino il ruolo dell'umorista che gli aveva riconosciuto il De Sanctis2. Salvò soltanto il ricco epistolario.
15. Curò l'edizione dell'opera il carducciano L. Chiarini, il quale, pur avendo detto che il Guerrazzi "fu uomo d'ingegno straordinario", concluse dicendo che "egli vide tutto più in nero che realmente non fosse e fu, finché gli durò la vita, continuo profeta di sventure, le quali per fortuna non si avverarono". Quale conclusione più infelice! Il Guerrazzi purtroppo, con molta lungimiranza, previde che ai vecchi mali dell'Italia pre-unitaria si sarebbero aggiunti quelli nuovi dell'Italia borghese, che avrebbero scatenato guerre a non finire, interne e tra Stati. Non a caso scrisse che "la Repubblica futura dovrà fare a meno degli eserciti permanenti".
16. Nel 1861 fu eletto deputato al Parlamento del Regno d'Italia, incarico che mantenne fino al 1870, avversando aspramente i politici moderati e passando dai banchi dei radicali a quelli dei repubblicani. Nel 1866, quando Mazzini venne eletto al Parlamento nel collegio di Messina, Guerrazzi parlò a lungo, ma inutilmente, contro i moderati che si opponevano alla convalida.
17. Alla fine della sua vita (1870) ebbe ancora la forza di opporsi alla fucilazione del soldato ventenne Piero Barsanti di Lucca, colpevole d'insubordinazione, in quanto aveva parteggiato per i moti mazziniani avvenuti in Lombardia. Poiché, per l'occasione, Guerrazzi gli dedicò un'epigrafe in cui era scritto: "La universa gioventù d'Italia il tuo sepolcro bagna di pianto per ora", in queste due ultime parole i magistrati inquirenti ravvisarono il reato di minaccia alle istituzioni e costrinsero l'anziano scrittore a subire un ennesimo, quanto inutile, processo penale. In questa vicenda egli anticipò di 30 anni quella di Zola nel caso Dreyfus.
18. Negli ultimi anni della sua vita rafforzò l'amicizia con Garibaldi, sostenendo, insieme a lui, il nascente movimento operaio e l'Internazionale.
19. Morì a Cecina, nella Maremma livornese, nel 1873. Il Carducci, che praticamente riconosceva Guerrazzi come suo maestro nella prosa, curerà personalmente una scelta del suo immenso carteggio.
20. Nel 1989 il Comune di Cecina, per ovviare alla coltre di silenzio che ancora oggi avvolge, nella cultura ufficiale e nell'insegnamento scolastico, le opere letterarie risorgimentali di tendenza democratica, ha istituito un premio letterario nazionale "F.D. Guerrazzi - La Cinquantina" (l'antica fattoria ove egli morì).
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