IntroduzionePrima
di introdurci nello studio dell’Ottocento, è
d’obbligo dare uno sguardo alle vicende
politiche e culturali di fine Settecento, dalle
quali presero il via nuove ideologie e nuove forme
d’arte che si svilupparono successivamente.
Nell’ode che il Manzoni
compose per la morte di Napoleone
Bonaparte, "5
maggio", vi è la seguente strofa:
Ei si nomò: due secoli,
l’un contro l’altro
armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe’ silenzio, ed
arbitro
s’assise in mezzo a lor.
|
In
questi pochi versi è racchiusa una profonda
intuizione non solo sulla valenza storica del
grande Corso, ma anche sulla realtà del rapporto
che possiamo stabilire fra Settecento e Ottocento.
In
effetti il Settecento fu il secolo dei "lumi",
della "Ragione", in virtù
della quale la nuova ideologia dell’Illuminismo
denunziò l’assurdità di alcuni pregiudizi
storici ormai inveterati nella società (primo fra
tutti quello dell’assolutismo monarchico e
subito dopo quello che legittimava i privilegi di
casta a scapito degli interessi delle grandi masse
popolari) e rivendicava i principi ben più
naturali di libertà, uguaglianza e fraternità
per tutti gli uomini e per tutti i popoli.
Il
discorso degli Illuministi fu di carattere "umanitario",
nel duplice senso che intese riscattare prima
ancora della dignità dell’ uomo, la sua
autentica natura, e che intese rivolgersi agli
uomini di tutta la terra.
Naturalmente
la cieca fiducia riposta nella validità della
ragione umana indusse gli Illuministi da un lato a
ripudiare ogni sorta di fede religiosa, la cui
giustificazione non poteva certo rientrare nel
campo della pura attività razionale (e a questa
forma di ateismo diede non poco vigore
l’istintiva avversione al maggiore istituto
religioso europeo, quello cattolico, che gli
Illuministi ritenevano storicamente responsabile
del decadimento della originaria "umanità
di eguali" in "umanità di
diseguali" e accusavano di aver
accaparrato non pochi privilegi), dall’altro ad
essere fortemente ottimisti nel considerare
immediatamente possibile la realizzazione di una
nuova società umana fondata sulla libertà,
sull’uguaglianza, sulla giustizia.
Volendo
ridurre in "termini" la sostanza
dell’ideologia illuministica, potremmo indicare
i seguenti:
ragione |
considerata
infallibile e l’unica legittima motrice
delle azioni umane |
ateismo |
assenza
di ogni fede religiosa, a volte sostituito
dal "deismo", che
è una sorta di religione naturale in
contrapposizione a quella rivelata |
egualitarismo |
eguaglianza
assoluta fra tutti gli uomini della terra |
cosmopolitismo |
abbattimento
di ogni frontiera fra i popoli |
antistoricismo |
ripudio
integrale del passato, responsabile dei
pregiudizi che avevano determinato,
avallato e legittimato le ingiustizie
sociali |
Per
la verità la Rivoluzione Francese
sembrò inizialmente dare ragione agli
Illuministi, perché in breve tempo riuscì a
spazzare via, almeno in Francia (e sia pure con
metodi drastici e sanguinari un bel po’ distanti
dal sentimento di fraternità professato dagli
Illuministi), tutti gli istituti dell’ "ancien
régime" e i presupposti stessi sui
quali essi si fondavano. Ma la Rivoluzione ebbe
anche uno sbocco imprevisto nell’avventura
napoleonica, la quale, se da un lato rappresentò
un veicolo formidabile per la diffusione in Europa
delle idee rivoluzionarie (e cioè
dell’ideologia illuministica ridotta in chiave
popolare), grazie alle invasioni "liberatrici"
delle truppe francesi costituite in gran parte dai
"figli della rivoluzione",
dall’altro si trasformò in una nuova forma di
imperialismo che ben presto approdò ad una nuova
forma di dispotismo niente affatto aliena
dall’uso della violenta "ragion di
stato", tipica dell’ "ancien
régime".
A
tal proposito è significativo l’esempio
dell’Italia centrosettentrionale, che si lasciò
facilmente "liberare" dal
rivoluzionario Napoleone (vedi costituzione della
repubblica Cisalpina, avvenuta nel 1797) e poi
conquistare, senza colpo ferire,
dall’imperialista Napoleone (vedi trasformazione
della Cisalpina in
Regno d’Italia, vassallo della Francia, nel
1805). Senza dire che, a pochi mesi dalla
liberazione dell’Italia Settentrionale,
nell’ottobre del 1797, Napoleone si era arrogato
il diritto di stipulare con l’Austria, senza
neppure informare il proprio governo legittimo (il
Direttorio), il Trattato di Campoformio,
col quale, tra l’altro, cedeva Venezia, appena
"liberata",
all’Austria.
Naturale,
quindi, specialmente in Italia, ma non solo in
Italia, la delusione che seguì a tali vicende.
Tuttavia il seme di alcuni valori umani,
insopprimibili eppure per tanti secoli conculcati
dalla forza brutale dell’ingiustizia e della
sopraffazione di pochi potenti su intere masse
inermi, il seme dei valori della Libertà e della
Giustizia, era ormai largamente penetrato nelle
coscienze popolari europee e non poteva non
germogliare nell’immediato futuro.
Le
vicende napoleoniche avevano sì gettato un velo
di pessimismo sull’aspirazione dei popoli alla
libertà ed alla giustizia, ma avevano pure
insegnato che l’una e l’altra non possono
essere considerate un dono da attendersi dagli
stranieri, ma un bene che ciascun popolo deve
conquistarsi da sé. Ed è ancora il Manzoni ad
avere, tra i primi, quest’altra
interessantissima intuizione, che esprime con la
consueta perspicacia nel primo coro dell’ "Adelchi",
nello stesso anno della morte di Napoleone (1821):
agli Italiani di mille anni prima, che si
attendevano dalla calata dei Franchi di Carlo
Magno la liberazione dal giogo opprimente dei
Longobardi, egli lancia un solenne ammonimento:
Udite!
Quei forti che tengono il campo
che ai vostri
tiranni precludon lo scampo,
son giunti da
lunge, per aspri sentier:
............................................................
E il premio
sperato, promesso a quei forti,
sarebbe, o
delusi, rivolger le sorti,
d’un volgo
straniero por fine al dolor?
Tornate alle
vostre superbe ruine,
all’opere
imbelli dell’arse officine,
ai solchi bagnati
di servo sudor.
Il forte si mesce
col vinto nemico,
col novo signore
rimane l’antico;
l’un popolo e
l’altro sul collo vi sta.
|
L’Ottocento
sarà quindi il secolo di una nuova presa di
coscienza: il senso della Nazione. I princìpi
fondamentali dell’Illuminismo e della
Rivoluzione Francese, quelli di Libertà e di
Giustizia, resteranno radicati nelle coscienze
degli uomini, ma ridotti dalla dimensione
cosmopolitica originaria (e utopistica) alla
dimensione nazionalistica, in seguito alle vicende
napoleoniche, che hanno indirettamente suggerito
l’avvento di un nuovo ideale, quello
dell’Indipendenza delle Nazioni, che a sua volta
non tarda a promuovere la nozione di "Stato
Nazionale" (cioè il principio che
ogni Nazione deve coincidere con uno Stato
indipendente e sovrano).
Naturale,
quindi, che per tanti aspetti non ci sia più
spazio per l’ideologia illuministica e che la
coscienza storica europea avverta la necessità di
una nuova concezione.
Questa
andrà definendosi via via, non molto lentamente,
ma molto faticosamente e tra mille contraddizioni,
nell’arco della prima metà dell’Ottocento.
Sarà detta ROMANTICISMO
e di essa tenteremo a suo luogo un’analisi ed
una interpretazione. Basti per ora l’indicazione
dei "termini" cui
essa sarà riconducibile e che a noi sembrano i
seguenti:
sentimento
e fantasia |
in
contrapposizione alla Ragione degli
Illuministi |
religiosità |
e
fede nella religione rivelata contro
l’ateismo e il deismo |
individualismo |
ogni
uomo è diverso dagli altri e deve
affermare la propria personalità |
nazionalismo |
in
contrapposizione al cosmopolitismo |
storicismo |
in
contrapposizione all’antistoricismo |
Va
inoltre osservato che la feroce reazione delle
monarchie assolute prenapoleoniche, succeduta al Congresso
di Vienna (1814-15) ed
al patto dei potenti della Santa
Alleanza, rese più
urgente che mai l’attuazione delle rivoluzioni
liberali e nazionali.
Gli
obiettivi di tali rivoluzioni furono: Unità
della Nazione, Indipendenza dello Stato,
Autogoverno del Popolo (mediante le
Costituzioni liberal-democratiche da
concretizzarsi negli istituti della repubblica o
della monarchia costituzionale). Tale urgenza rese
necessario e improcrastinabile sposare il "Pensiero"
all’ "Azione" (secondo
la ben nota intuizione mazziniana) e possiamo dire
che nessun altro secolo prima, specie in Italia,
aveva visto una così ardente partecipazione,
degli intellettuali in generale e dei letterati in
particolare, alla causa dei popoli.
Ritornando
ai versi manzoniani con cui abbiamo iniziato
questa nota, possiamo senz’altro accettare il
giudizio che i secoli XVIII e XIX furono
sostanzialmente "l’un contro
l’altro armato", essendo per gran
parte contrapposti i sentimenti e le idee
dell’uno e dell’altro: razionalista, ateo,
egualitarista (nella più larga accezione del
termine), cosmopolita, antistoricista, ottimista
e, tutto sommato, utopista il primo;
sentimentalista, religioso, individualista,
nazionalista, storicista, pessimista e, tutto
sommato, realista il secondo.
Il
Settecento, che aveva fermamente deciso di tenere
i piedi saldamente appiccicati alla realtà e di
usare i soli strumenti dettati dalla fredda
ragione, in definitiva promosse l’affermazione
di alcuni Ideali, facendo ricorso a tutto
l’entusiasmo morale di cui l’uomo può essere
capace, fino a raggiungere la sfera dell’utopia;
mentre l’Ottocento, che era partito col preciso
proposito di combattere il materialismo
illuministico e di affermare le leggi del
sentimento e della fantasia, fu in pratica più
concretamente sensibile ai problemi della realtà
e realizzò il suo programma di rinnovamento
civile.
E
fu grazie ai Romantici che la letteratura si fece
veramente interprete delle ansie e delle
aspirazioni popolari e, per quanto ci riguarda più
da vicino, i personaggi cosiddetti "umili"
entrarono per la prima volta, e dalla porta
principale, nel più grande romanzo italiano, ne
"I Promessi Sposi".
Ma è anche accettabile l’altra affermazione
del Manzoni, secondo cui i due secoli "l’un
contro l’altro armato", "sommessi"
si rivolsero a Napoleone, "come
aspettando il fato". In effetti,
durante il periodo di maggior fortuna del
Bonaparte, le voci più risonanti dei due secoli
tacquero (naturalmente non in senso assoluto) e
ci fu principalmente spazio per un’arte ed una
letteratura le quali, rifacendosi agli antichi
splendori del mondo antico, potessero degnamente
rappresentare l’imponenza e la solennità dei
fasti dell’età napoleonica: questo movimento
artistico fu detto NEOCLASSICISMO
e rappresenterà il primo argomento di cui ci
occuperemo.
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