LETTERATURA ITALIANA: IL NOVECENTO

 

Luigi De Bellis

 


 

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NOVECENTO







Il Novecento: Giuseppe Ungaretti

Giuseppe Ungaretti nacque ad Alessandria d'Egitto l'8 febbraio 1888. La sua famiglia, di origine contadina, aveva lasciato la Lucchesia per seguire Antonio Ungaretti, il capofamiglia, il quale aveva trovato lavoro come sterratore presso il canale di Suez. Nel 1890, tuttavia, alla tenera età di due anni, Giuseppe rimase orfano del padre assieme al fratello, Costantino, di otto anni più grande di lui. Fu costretta ad occuparsi dei figli la sola madre, una donna energica, molto religiosa, che gestiva alla periferia della città, dove la famiglia viveva, un forno di proprietà del marito. A quell'epoca era presente in famiglia anche Anna, una vecchia croata. Le vicende fantasiose e le notizie esotiche, sulla base dei suoi trascorsi avventurosi, che ella raccontava si impressero definitivamente nella memoria del futuro poeta. L'abitazione degli Ungaretti si trovava ai limiti del deserto e la sensibilità di Giuseppe fu segnata per sempre dai silenzi, dai suoni misteriosi, dai colori di quel paesaggio favoloso e primitivo. A questa prima immagine se ne aggiunse nella fantasia un'altra, quella dell'Italia lontana. Ad alimentarla contribuirono i discorsi che se ne facevano in famiglia e i racconti di perseguitati politici e fuoriusciti italiani ai quali la madre offriva generosa ospitalità. La sua istruzione scolastica iniziò in un collegio di religiosi, l'Istituto don Bosco, e proseguì all'Ecole Suisse Jacot, dove compì gli studi liceali. Qui conobbe Mohammed Sceab, un giovane arabo di cui divenne amico fraterno. In questa scuola, grazie all'interessamento dei suoi insegnanti, poté avvicinarsi alla conoscenza della letteratura europea. Lesse ed amò, tra gli altri, Baudelaire, Mallarmè, Lafourge ed in particolare Giacomo Leopardi. La sua fu una formazione dilettantesca, al di fuori degli schemi culturali ed accademici tradizionali. Attraverso l'amico Sceab conobbe Enrico Pea, uno scrittore toscano, originario della Versilia. Costui, anarchico convinto, oltre a svolgere delle promiscue attività commerciali, teneva delle riunioni di affiliati e simpatizzanti sopra un deposito di legname, nella cosiddetta "Baracca rossa". Da queste riunioni nascevano spesso clamorose dimostrazioni pubbliche, che si concludevano talvolta col fermo e con l'arresto dei partecipanti. Ungaretti simpatizzò e prese parte a queste attività, sia di persona, sia attraverso la redazione di articoli, novelle e scritti diversi che venivano pubblicati sui fogli di propaganda anarchica. Nel frattempo venne a conoscenza dell'esistenza della rivista "La voce", nata nel 1908 a Firenze, vi si abbonò e ne divenne corrispondente per l'Egitto, legandosi di amicizia epistolare con i suoi redattori.

I D E O L O G I A    E    P O E T I C A

 

VIII) Ungaretti vive nel periodo in cui la borghesia, dopo aver realizzato in Italia il capitalismo, non porta avanti gli ideali di giustizia e libertà, ma si chiude in se stessa, temendo di perdere la propria egemonia, e affida la risoluzione delle proprie contraddizioni sociali prima al colonialismo-imperialismo, poi alla guerra mondiale, al fascismo e alla II guerra mondiale.

IX) Ungaretti è il maestro riconosciuto dell'Ermetismo. Il termine "ermetico" significa "chiuso", "oscuro". La definizione venne adottata per la prima volta dalla critica nel '36, in riferimento soprattutto alla sua poesia. Successivamente si inclusero negli ermetici anche Montale, Saba e in parte Quasimodo.

- L'Ermetismo si oppone soprattutto al Decadentismo di D'Annunzio, cioè agli atteggiamenti estetizzanti e superomistici; ma anche a quello del Pascoli, giudicato troppo bozzettistico e malinconico, troppo soggettivo e poco universale.

- L'Ermetismo si oppone anche ai crepuscolari, ai futuristi, ai "vociani", perché non si accontenta di una riforma stilistica e non sopporta la retorica.

X) E' l'esperienza della guerra che rivela al poeta la povertà dell'uomo, la sua fragilità e solitudine, ma anche la sua spontaneità e semplicità (primitivismo) che viene ritrovata nel dolore. L'esistenza è un bene precario ma anche prezioso. In guerra egli si è sottratto ad ogni vanità e orgoglio; nella distruzione e nella morte ha però riscoperto il bisogno di una vita pura, innocente, spontanea, primitiva. Ha acquisito compassione per ogni soldato coinvolto nell'assurda logica della guerra: ha maturato, per questo, un profondo senso di fraterna solidarietà. La sua visione esistenziale è dolorosa perch'egli pensa che l'uomo non abbia la possibilità di concretizzare le sue aspirazioni conoscitive e morali. Ungaretti non crede nelle filosofie razionali e cerca di cogliere la realtà attraverso una poetica che s'incentri sull'analogia, cioè sul rapido congiungimento di ordini fenomenici diversi, di immagini fra loro molto lontane che la coscienza comune non metterebbe insieme.

XI) Questa esperienza lo porta a rifiutare -soprattutto nell'Allegria- ogni forma metrica tradizionale: rifiuta il lessico letterario, le convenzioni grammaticali, sintattiche e retoriche (ad es. elimina la punteggiatura, il "come" nelle analogie, ecc. Diventano importanti gli accenti tonici, le pause). Crea un ritmo totalmente libero, con versi scomposti, brevissimi, scarni, fulminei, dove la singola parola acquista un valore assoluto, dove il titolo è parte integrante del testo. La poetica qui è frammentaria, allusiva, scabra, anche perché il poeta non ha una realtà ben chiara da offrire.

XII) Ne Il porto sepolto Ungaretti lascia intendere che poesia significa possibilità di contemplare la purezza in un mondo caotico e assurdo, ma la poesia dev'essere espressione di un'esperienza particolare, intensamente vissuta: la ricerca del vocabolo giusto è faticosa, perché l'uomo deve liberarsi del male che è in lui e fuori di lui.

XIII) Ne L'allegria il poeta non accetta le illusioni e preferisce star solo con la sua sofferenza (cfr. Peso, dove al contadino-soldato che si affida, ingenuamente, alla medaglia di Sant'Antonio per sopportare meglio il peso della guerra, il poeta preferisce stare "solo", "nudo", cioè senza illusioni ("senza miraggio"), con la sua anima. Ungaretti tuttavia non è ateo: si limita semplicemente a chiedersi che senso ha Dio in un mondo di orrori (cfr Risvegli) e perché gli uomini continuano a desiderarlo quando ciò non serve loro ad evitare gli orrori (cfr Dannazione). Il contrasto è fra una religiosità tradizionale, superficiale, e una religiosità più intima e sofferta, che in Fratelli si esprime come profonda umanità, partecipazione al dolore universale. E' solo negli Inni che Ungaretti ripone nella fede religiosa la soluzione delle contraddizioni umane (cfr La preghiera).

XIV) Il superamento dell'autobiografismo e la modificazione dello stile ermetico avviene nel Sentimento del tempo. Qui il poeta ha consapevolezza che il tempo è cosa effimera rispetto all'eterno (la riflessione è molto vicina ai temi della religione). La poesia aspira a dar voce ai conflitti eterni, a interrogativi drammatici: solitudine e ansia di una comunicazione con gli altri, rimpianto di un'innocenza perduta e ricerca di un'armonia col mondo, ecc. In questa raccolta Ungaretti ritrova i metri e i moduli della tradizione poetica italiana (ad es. riscopre il valore dell'endecasillabo, del sistema strofico, della struttura sintattica).

XV) L'ultima importante raccolta, Il dolore, contiene 17 liriche dedicate al figlio e altre poesia di contenuto storico (sulla IIa guerra mondiale). Qui il discorso diventa più composto, quasi rasserenato. Toni e parole paiono affiorare da un'alta saggezza raggiunta al prezzo di una drammatica sofferenza. Il poeta esprime una inappagata ma inesauribile tensione alla pace e all'amore universali..

 

La tristezza di Ungaretti

 

I)        L'ermetismo è una forma d'individualismo ma sofferente. E' più profondo del decadentismo del Pascoli e di tutte le correnti ad esso contemporanee: futurismo, crepuscolarismo, superomismo dannunziano, "vocismo"...; forse lo si può paragonare al simbolismo francese.

L'ermetismo però non contiene messaggi etico-politici significativi. Anzi, con Ungaretti (che era partito, come il Pascoli, dal socialismo anarchico), esso giunge a desiderare la dittatura politica, nell'illusione di poter risolvere i mali sociali.

Il suo ermetismo, che fu apprezzato da Mussolini, esprime il bisogno di recuperare la purezza originaria degli individui, la loro primitiva semplicità e forza d'animo. L'intenzione, di per sé, è lodevole, ma se in politica si cerca di affermare un principio del genere, senza realizzare, nel contempo, una rivoluzione sociale e culturale, lo sbocco verso l'ideologia fascista diventa inevitabile, anche se un poeta come Ungaretti non potrà non accorgersi, in seguito, che il regime fascista, incapace di affrontare la complessità della vita, predicava solo illusioni e mistificazioni.

L'ermetismo, se si fosse agganciato ai temi del proletariato, avrebbe avuto un'immensa fortuna.

 

II)         C'è della sensualità nella bellissima poesia Natale, soprattutto laddove si parla di "caldo buono" e di "quattro capriole". Il poeta sembra aver rifiutato l'invito dei suoi amici soldati, in licenza come lui, di dimenticare (forse in qualche postribolo) le fatiche e gli orrori della guerra.

Al poeta non piacciono gli atteggiamenti superficiali, evasivi: egli ha "troppa stanchezza", cioè troppa amarezza, per poter fingere. Preferisce star solo coi suoi pensieri piuttosto che, senza pensieri, nelle braccia d'una donna d'occasione. Gli sembrerebbe di tradire se stesso, di venir meno all'impegno di prendere con serietà le cose della vita.

Il "caldo buono" è quello che riscalda l'anima, non il corpo, quello che riconcilia con l'esistenza, che aiuta ad accettare il dolore con sobrietà e coerenza. Anche questo è un modo di vivere la sensualità: "le quattro capriole di fumo nel focolare" gli tengono compagnia come un'amante che lo conosca nel suo più profondo.


www.avnet.it/itis/ungaretti/frp_vita.htm

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