IL NOVECENTO: ANTON PAVLOVIC CECHOV

 

Luigi De Bellis

 
 
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Anton Pavlovic Cechov nacque nel 1850 da una famiglia assai modesta (il nonno era stato servo della gleba), e si laureò in medicina esercitando saltuariamente la professione, assorbito dall'attività letteraria sin dagli anni universitari. Minato sin da giovane dalla tubercolosi, si spense a 44 anni nel 1904. Della sua produzione narrativa ricordiamo fra le sue cose più alte i racconti La steppa (1888), La corsia n. 6 (1892), La signora col cagnolino (1898); quella teatrale, oltre ad alcuni atti unici derivati dai racconti (caso non unico: si pensi a Pirandello o a Verga), annovera alcuni dei testi esemplari del teatro del Novecento: Zio Vanja (1899), Le tre sorelle (1901), Il giardino dei ciliegi (1904).

È difficile estrapolare un brano esemplare dalle opere teatrali di Cechov, nelle quali assai di rado accade qualcosa di vistoso, di teatrale nel senso tradizionale del termine, e tutto si svolge per impercettibili trapassi, nel lento dipanarsi del tempo, che logora e modifica l'interiorità degli esseri umani. Più che i fatti in questo teatro conta l'atmosfera che via via viene creata attraverso minute annotazioni, un dialogo apparentemente banale, una pausa, un incrinarsi di voce.

Ne Le tre sorelle le protagoniste - Olga, Mascia e Irina - vivono in una città di provincia sperando di tornare a Mosca, dove hanno trascorso l'infanzia. Ma questa speranza si rivela sempre più difficile da realizzare e il loro destino diventa sempre più triste: Olga invecchia sola; Mascia disprezza e tradisce il marito; Irina, che aveva accettato di sposare il barone Tusenbach, uno degli ufficiali della guarnigione locale che frequentano la casa delle tre sorelle, deve rassegnarsi alla solitudine, perché il giovane tenente viene ucciso in duello dal capitano Solionii, un altro suo pretendente. Quando gli ufficiali partono, in seguito ad un ordine di trasferimento, anche Mascia deve separarsi dal colonnello Vierscinin, di cui si era innamorata: e Olga, mentre il suono della banda militare si fa sempre più fioco, dà voce all'angoscia di tutti: «Questa musica è tanto gaia, tanto piena di gioia... sembra quasi che, ecco, ancora un po' di tempo, e sapremo perché viviamo, perché soffriamo... Ah, poterlo sapere, poterlo sapere! ». E sull'iterazione di questa battuta cala il sipario.

Le tre sorelle si apre con una battuta («Papà è morto un anno fa, proprio oggi...») che enuncia già il tema di fondo, il leitmotiv dell'opera: il ritorno della memoria al passato, la malinconia del ricordo. Tema, questo, che subito dopo si precisa come desiderio di evasione dalla condizione attuale-vita, ambiente, compagnie-, formulato con quel grido (proposito vitalistico o lamento malinconico?) « A Mosca, a Mosca» che tornerà varie volte nel corso del dramma. Senza rumore, senza colpi di scena, il quotidiano é descritto nella sua banalità e nella sua meschinità (la cognata Natascia che mira ad estromettere Irina dalla sua stanza; Natascia che tradisce il marito, prima oggetto di entusiastica ammirazione e ora di assoluto disprezzo; Kulighin, marito di Mascia, che cita il latino per evidenziarne grottescamente le regole); e Irina che, anelante di vita, più di tutte ne sente il peso logorante, continua ad attendere un cambiamento («A Mosca, a Mosca») che non avverrà mai. Le tre sorelle, come mezzo secolo più tardi, Vladimiro ed Estragone, continueranno ad attendere un Godot che non arriverà mai.

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