Ad osservare sinteticamente lo sviluppo delle
poetiche (e dell'arte) dal romanticismo alle
avanguardie storiche si deve constatare che un
processo si è compiuto: il processo di
sperimentazione di nuove forme espressive, di
dissoluzione del linguaggio di tutta la precedente
tradizione (compresa in parte quella romantica) a
partire dal rifiuto delle forme chiuse e regolari
fino addirittura al rifiuto del linguaggio
comunicante. Più radicalmente, se si vuole, si può
dire che si è compiuto il processo di
autodissoluzione dell'arte, così come da sempre
era stata concepita. Eventi questi innescati dal
rifiuto delle teorie classiche dell'arte e
dall'imporsi del canone dell'originalità come
criterio di valore estetico (tanto che i risultati
più radicalmente eversivi possono apparire un
esito inevitabile, già tutto scritto nei cardini
concettuali della poetica romantica), ma certo
portati al loro apice proprio dalle avanguardie
storiche convinte della necessità e
dell'inevitabilità di una «rivoluzione permanente
delle forme» (Calvino). Comunque sia, è un fatto
che una linea di sviluppo della ricerca artistica
moderna, forse la linea portante, ha toccato sul
piano formale limiti (con l'assurdo e il nonsense
dei dadaisti, con la scrittura automatica dei
surrealisti) difficilmente superabili. Dopo le
avanguardie storiche - c'è da domandarsi - quale
forma espressiva può dirsi in assoluto innovativa
e originale? È davvero plausibile una «rivoluzione
permanente delle forme»? O viceversa, sperimentata
la dissoluzione dell'arte tradizionale e raggiunti
i limiti del silenzio, non c'è che da guardarsi
indietro e recuperare forme, modi, esperienze di
quei movimenti che hanno innescato il processo e
hanno portato lo sperimentalismo ai suoi estremi
limiti formali? Dopo le avanguardie ci possono
essere altre autentiche avanguardie o solo
un'accademia delle avanguardie?
Sarebbe probabilmente azzardato affermare
assolutamente che, dopo le avanguardie, tutto è
stato ed è mera ripresa di forme artistiche e
poetiche ormai esperite in tutte le loro
virtualità. Ma è anche un fatto che più fitta e
frequente si fa la ripresa di modelli precedenti
(in pratica di tutti i modelli formali che hanno
segnato la storia dal romanticismo alle
avanguardie) magari combinati fra loro. Ne sarebbe
una conferma, esteriore ma significativa, la
stessa frequenza dei prefissi "neo" utilizzati per
designare alcuni movimenti tra i più significativi
storicamente degli ultimi decenni (dal neorealismo
alla neoavanguardia). L'originalità dei nuovi
movimenti e delle nuove poetiche andrà allora
ricercata essenzialmente nelle diverse sintesi di
elementi formali già sperimentati, nella ricerca
di nuove tematiche e nel rapporto, variabile per
definizione, con i contesti e con le situazioni
particolari in cui tali fenomeni si manifestano
(cioè nel loro significato storico-culturale
specifico). L'originalità delle sintesi, poi,
andrà probabilmente ricercata, più ancora che nei
grandi movimenti, soprattutto nelle soluzioni
individuali che obbediscono a ragioni personali
particolari oltre che storico-culturali.
In parte questa è l'impressione che dà lo sviluppo
delle poetiche novecentesche in Italia, che
traggono motivi ispiratori e linfa vitale (sul
piano teorico) via via dal decadentismo-simbolismo
e dalle sue propaggini novecentesche straniere,
dalle avanguardie storiche e addirittura dal
naturalismo-verismo (fenomeno per certi versi
estraneo alla linea portante di sviluppo che si è
delineata). Ma in verità, a parte forse poche
eccezioni, anche il panorama europeo non presenta
tratti assai diversi. Non è qui certo il caso di
prendere in esame tutte le poetiche novecentesche
italiane, soprattutto non è possibile considerare
le poetiche individuali (spesso in sviluppo
diacronico), nelle cui sintesi originali stanno
probabilmente alcuni dei vertici della letteratura
novecentesca italiana (pensiamo a Ungaretti a
Montale a Saba e, più recentemente, a Luzi a
Pavese a Calvino o a Zanzotto). Delle poetiche di
alcuni scrittori, come di alcuni movimenti diamo
conto in altre parti di questo volume. Intanto,
però, si dovrà rendere ragione di alcune nozioni
storiografiche, di alcuni movimenti dominanti o
caratteristici di un'epoca e di alcune poetiche
più estensive e generali che hanno avuto un
particolare rilievo nella storia letteraria
italiana del Novecento, a partire - per l'età fra
le due guerre dall'ermetismo.
Quella di ermetismo, ancora una volta, è una
nozione discussa. In discussione è in particolare
l'estensione del fenomeno da qualificare come
ermetico. Senza entrare nel merito della storia
del termine (la cui origine remota risale a Ermete
Trismegisto e a una dottrina filosofico-religiosa
di tipo esoterico fiorita nella tarda età
ellenistica che appunto da lui prese nome di
"ermetismo"), osserveremo che tutt'oggi, in ambito
letterario italiano, se ne danno due accezioni
differenti: una più estensiva che, a partire da un
celebre saggio del Flora del 1936, associa al
termine in pratica l'intero sviluppo della lirica
(con estensione alla critica e alla prosa d'arte,
più che alla narrativa) italiana da Ungaretti e
Montale sino a un gruppo di scrittori fiorentini
legati alle riviste «Frontespizio» e «Campo di
Marte» (Bo, Bigongiari, Contini, Gatto, Luzi,
Macri, Parronchi, Traverso, ecc.); e una più
riduttiva, oggi prevalente, che pur evidenziando i
rapporti tra quei maestri e il gruppo fiorentino
ritiene di dover associare il termine solo a
quest'ultimo ed eventualmente a suoi vicini
milanesi (legati alla rivista «Corrente» e facenti
capo a Sereni). Si tratta anche in questo caso in
certa misura di problemi di periodizzazione e di
classificazione che, una volta posti per dovere di
informazione, possiamo trascurare di analizzare.
Basti per ora rilevare che un legame di relativa
(comunque non esclusiva) filiazione tra
l'esperienza di Ungaretti e Montale e quella della
scuola fiorentina non si può negare, ma che
d'altronde tra quei "padri" e quei "figli"
(peraltro non identici) palesi sono anche le
diversità sia ideologiche che formali.
Consideriamo il contesto: tra le due guerre, dopo
le esperienze delle avanguardie in tutta Europa si
assiste ad un processo di ora brusco ora
progressivo "ritorno al l'ordine". Dopo gli esiti
estremi delle avanguardie si sente la necessità di
guardare indietro e di riconnettersi più
direttamente anche alle esperienze decadenti e
simboliste europee (solo parzialmente penetrate
nella cultura italiana all'epoca di Pascoli e
D'Annunzio), molte delle cui ragioni ideali,
culturali e letterarie non si sono ancora
esaurite. In Italia l'ottimismo e la ludicità
futuristi non potevano da soli - specie dopo la
grande guerra - aver fatto piazza pulita di tutti
gli elementi di crisi morale, spirituale,
culturale e magari politica vissuti dalle
generazioni precedenti. Anzi la guerra li aveva
rinnovati e resi per molti versi più acuti e
gravi.
La realtà del dopoguerra proponeva poi ulteriori
spinte in direzione di un " ritorno all'ordine" e
ulteriori motivi di crisi, di inquietudine, di
dubbio, che non si esauriscono nell'avvento del
fascismo, ma che certo lo comprendono. Pur senza
enfatizzare il rapporto degli intellettuali col
fascismo quale genesi della nuova poesia e
letteratura, bisogna qui render conto di
un'interpretazione vulgata, che non per questo ha
del tutto perso la sua ragion d'essere.
Rapporti complessi col fascismo caratterizzano
l'esperienza di tutti i poeti e gli scrittori che
operano tra le due guerre, non rinunciando alla
letteratura per la lotta politica e non facendosi
palesemente fiancheggiatori del regime e portavoce
della sua politica culturale. Non potendo
apertamente contestare il regime, molti scrittori
paiono rifugiarsi nella letteratura come un campo
di esperienza alternativo a quello della cultura
di regime ( le velate, simboliche contestazioni,
le professioni di fede negative, le affermazioni
di sfiducia, di inettitudine a vivere e di
impotenza, le descrizioni e le rappresentazioni di
amare vicende esistenziali, qualunque fosse la
loro genesi individuale, qualunque altra
connotazione culturale avessero, almeno
oggettivamente (cioè anche al di là delle
intenzioni) costituivano un contraltare alla
fiducia, all'ottimismo programmatico, al
trionfalismo degli intellettuali e dei mass media
fascisti. La poesia, proprio a partire
dall'oggettiva denuncia della guerra dell'Allegria
ungarettiana (di quell'Ungaretti che pure ne
avrebbe dedicato a Mussolini una successiva
edizione) e dalle negazioni montaliane («Non
chiederci la parola...»),imbocca nella sua linea
più vitale una direzione che potremmo
genericamente definire di "negazione" e di ricerca
esistenziale, etica e metafisica. Il ricorso al
linguaggio oscuro e difficile di derivazione
decadente e simbolista, caratteristico soprattutto
del gruppo fiorentino, come pure alcune tematiche
negative come quella dell'assenza e dell'attesa
(attesa, ad esempio, di una palingesi che non si
compie o di una ricerca che non conosce mete
definitive ma se ne dà sempre di nuove) vengono
tradizionalmente interpretati come (e in una certa
misura sono) un dolente rifiuto del fascismo. Tale
rifiuto si realizza attraverso una "chiusura"
autointrospettiva, nella ricerca di un'alternativa
esistenziale o spirituale alla realtà esterna
difficile e ostile, una ricerca ora confidente ora
disperata di realizzazione nell'interiorità della
coscienza o negli spazi metafisici, talora
nell'esperienza religiosa in senso proprio. Il
medesimo legame con la cultura decadente e
simbolista e ragioni più particolari mettono in
guardia però - come si è detto - dal risolvere
solo in chiave di rifiuto politico la complessa
esperienza esistenziale e poetica di intellettuali
e poeti come Montale e come gli ermetici
fiorentini. Sul terreno per un verso c'è un più
complesso e articolato rapporto con la civiltà e
il mondo moderni (già del romanticismo e del
decadentismo sono il rifiuto del presente, del
mondo e della civiltà moderna e borghese e il
volgersi ad una ricerca puramente interiore) e per
altro verso ci sono - come sempre - storie e
vicende umane e culturali particolari, ragioni di
inquietudine, aspirazioni e tensioni individuali.
Da un punto di vista più tecnico tutta questa
produzione letteraria variamente ma profondamente
affonda le proprie radici nelle poetiche
precedenti (soprattutto, come si diceva, del
simbolismo europeo: da Verlaine a Mallarmé, da
Valéry a Eliot). La ricerca condotta negli spazi
interiori o, al di là del reale empirico, in spazi
metafisici trova un supporto nella poetica della
"poesia pura", che teorizza l'autonomia della
poesia (e dell'arte) - cui nega ogni esplicita
funzione pratica, morale e politica - e la sua
capacità di autonoma esperienza esistenziale e
conoscitiva, spirituale e salvifica (secondo Bo,
in quello che è considerato il principale
manifesto della poetica dell'ermetismo fiorentino,
tra poesia e vita non c'è, non ci deve essere
differenza, per garantire alla letteratura la sua
dignità etica). La volontà di restituire al
linguaggio poetico la sua forza, la sua
autenticità, la sua verginità originaria è per
molti versi un diretto corollario di questa
concezione; come lo è il rifiuto della retorica
dannunziana e di certo impressionismo e
sentimentalismo pascoliano. Ulteriori
caratteristiche tecniche della nuova poesia sono
la concentrazione lirica (frutto di una rigorosa e
sofferta distillazione del pensiero e del
sentimento, contro il fluire copioso e
ininterrotto di certo dannunzianesimo), la poetica
dell'analogia (Ungaretti parla esplicitamente
anche di «immaginazione senza fili», utilizzando
il concetto marinettiano per sottolineare
l'ampiezza della sintesi analogica), del simbolo o
- specialmente nel caso di Montale del correlativo
oggettivo (o poetica degli oggetti-simbolo,
oggetti equivalenti di una condizione interiore o
esistenziale). La poesia non deve né descrivere né
rappresentare: deve evocare. Non importa
l'immediata comprensibilità del messaggio
(quantunque molti ermetici dichiarino di non
essere oscuri intenzionalmente), quanto il valore
di esperienza dell'atto poetico, che sarà
comunicativo solo quando capace di suscitare
un'analoga (non identica né univoca) esperienza
nel lettore. Di qui anche la programmatica
polisemia (ambiguità), l'oscurità intenzionale o
meno, maggiore o minore, della poesia che poi
appunto prese il nome di ermetica. Come si vede,
senza bisogno di ulteriori precisazioni, gran
parte di questi indirizzi, canoni e strumenti
hanno precisi precedenti nell'esperienza decadente
e simbolista, ne sono una rielaborazione
relativamente originale.
Su questi sommari elementi in larga misura comuni
si innestano poi le differenze individuali e
specifiche, che qui non è il caso di indagare.
Anche all'interno dell'ermetismo fiorentino, che
secondo il Ramat si caratterizzerebbe fra l'altro
per un uso effettivamente più criptico ed ermetico
dei simboli (laddove il simbolismo ungarettiano e
montaliano sarebbe assai più trasparente), si
possono distinguere indirizzi, poetiche e voci
particolari.
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