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Ermetismo


 

Luigi De Bellis

 


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Ad osservare sinteticamente lo sviluppo delle poetiche (e dell'arte) dal romanticismo alle avanguardie storiche si deve constatare che un processo si è compiuto: il processo di sperimentazione di nuove forme espressive, di dissoluzione del linguaggio di tutta la precedente tradizione (compresa in parte quella romantica) a partire dal rifiuto delle forme chiuse e regolari fino addirittura al rifiuto del linguaggio comunicante. Più radicalmente, se si vuole, si può dire che si è compiuto il processo di autodissoluzione dell'arte, così come da sempre era stata concepita. Eventi questi innescati dal rifiuto delle teorie classiche dell'arte e dall'imporsi del canone dell'originalità come criterio di valore estetico (tanto che i risultati più radicalmente eversivi possono apparire un esito inevitabile, già tutto scritto nei cardini concettuali della poetica romantica), ma certo portati al loro apice proprio dalle avanguardie storiche convinte della necessità e dell'inevitabilità di una «rivoluzione permanente delle forme» (Calvino). Comunque sia, è un fatto che una linea di sviluppo della ricerca artistica moderna, forse la linea portante, ha toccato sul piano formale limiti (con l'assurdo e il nonsense dei dadaisti, con la scrittura automatica dei surrealisti) difficilmente superabili. Dopo le avanguardie storiche - c'è da domandarsi - quale forma espressiva può dirsi in assoluto innovativa e originale? È davvero plausibile una «rivoluzione permanente delle forme»? O viceversa, sperimentata la dissoluzione dell'arte tradizionale e raggiunti i limiti del silenzio, non c'è che da guardarsi indietro e recuperare forme, modi, esperienze di quei movimenti che hanno innescato il processo e hanno portato lo sperimentalismo ai suoi estremi limiti formali? Dopo le avanguardie ci possono essere altre autentiche avanguardie o solo un'accademia delle avanguardie?

Sarebbe probabilmente azzardato affermare assolutamente che, dopo le avanguardie, tutto è stato ed è mera ripresa di forme artistiche e poetiche ormai esperite in tutte le loro virtualità. Ma è anche un fatto che più fitta e frequente si fa la ripresa di modelli precedenti (in pratica di tutti i modelli formali che hanno segnato la storia dal romanticismo alle avanguardie) magari combinati fra loro. Ne sarebbe una conferma, esteriore ma significativa, la stessa frequenza dei prefissi "neo" utilizzati per designare alcuni movimenti tra i più significativi storicamente degli ultimi decenni (dal neorealismo alla neoavanguardia). L'originalità dei nuovi movimenti e delle nuove poetiche andrà allora ricercata essenzialmente nelle diverse sintesi di elementi formali già sperimentati, nella ricerca di nuove tematiche e nel rapporto, variabile per definizione, con i contesti e con le situazioni particolari in cui tali fenomeni si manifestano (cioè nel loro significato storico-culturale specifico). L'originalità delle sintesi, poi, andrà probabilmente ricercata, più ancora che nei grandi movimenti, soprattutto nelle soluzioni individuali che obbediscono a ragioni personali particolari oltre che storico-culturali.

In parte questa è l'impressione che dà lo sviluppo delle poetiche novecentesche in Italia, che traggono motivi ispiratori e linfa vitale (sul piano teorico) via via dal decadentismo-simbolismo e dalle sue propaggini novecentesche straniere, dalle avanguardie storiche e addirittura dal naturalismo-verismo (fenomeno per certi versi estraneo alla linea portante di sviluppo che si è delineata). Ma in verità, a parte forse poche eccezioni, anche il panorama europeo non presenta tratti assai diversi. Non è qui certo il caso di prendere in esame tutte le poetiche novecentesche italiane, soprattutto non è possibile considerare le poetiche individuali (spesso in sviluppo diacronico), nelle cui sintesi originali stanno probabilmente alcuni dei vertici della letteratura novecentesca italiana (pensiamo a Ungaretti a Montale a Saba e, più recentemente, a Luzi a Pavese a Calvino o a Zanzotto). Delle poetiche di alcuni scrittori, come di alcuni movimenti diamo conto in altre parti di questo volume. Intanto, però, si dovrà rendere ragione di alcune nozioni storiografiche, di alcuni movimenti dominanti o caratteristici di un'epoca e di alcune poetiche più estensive e generali che hanno avuto un particolare rilievo nella storia letteraria italiana del Novecento, a partire - per l'età fra le due guerre dall'ermetismo.

Quella di ermetismo, ancora una volta, è una nozione discussa. In discussione è in particolare l'estensione del fenomeno da qualificare come ermetico. Senza entrare nel merito della storia del termine (la cui origine remota risale a Ermete Trismegisto e a una dottrina filosofico-religiosa di tipo esoterico fiorita nella tarda età ellenistica che appunto da lui prese nome di "ermetismo"), osserveremo che tutt'oggi, in ambito letterario italiano, se ne danno due accezioni differenti: una più estensiva che, a partire da un celebre saggio del Flora del 1936, associa al termine in pratica l'intero sviluppo della lirica (con estensione alla critica e alla prosa d'arte, più che alla narrativa) italiana da Ungaretti e Montale sino a un gruppo di scrittori fiorentini legati alle riviste «Frontespizio» e «Campo di Marte» (Bo, Bigongiari, Contini, Gatto, Luzi, Macri, Parronchi, Traverso, ecc.); e una più riduttiva, oggi prevalente, che pur evidenziando i rapporti tra quei maestri e il gruppo fiorentino ritiene di dover associare il termine solo a quest'ultimo ed eventualmente a suoi vicini milanesi (legati alla rivista «Corrente» e facenti capo a Sereni). Si tratta anche in questo caso in certa misura di problemi di periodizzazione e di classificazione che, una volta posti per dovere di informazione, possiamo trascurare di analizzare. Basti per ora rilevare che un legame di relativa (comunque non esclusiva) filiazione tra l'esperienza di Ungaretti e Montale e quella della scuola fiorentina non si può negare, ma che d'altronde tra quei "padri" e quei "figli" (peraltro non identici) palesi sono anche le diversità sia ideologiche che formali.

Consideriamo il contesto: tra le due guerre, dopo le esperienze delle avanguardie in tutta Europa si assiste ad un processo di ora brusco ora progressivo "ritorno al l'ordine". Dopo gli esiti estremi delle avanguardie si sente la necessità di guardare indietro e di riconnettersi più direttamente anche alle esperienze decadenti e simboliste europee (solo parzialmente penetrate nella cultura italiana all'epoca di Pascoli e D'Annunzio), molte delle cui ragioni ideali, culturali e letterarie non si sono ancora esaurite. In Italia l'ottimismo e la ludicità futuristi non potevano da soli - specie dopo la grande guerra - aver fatto piazza pulita di tutti gli elementi di crisi morale, spirituale, culturale e magari politica vissuti dalle generazioni precedenti. Anzi la guerra li aveva rinnovati e resi per molti versi più acuti e gravi.

La realtà del dopoguerra proponeva poi ulteriori spinte in direzione di un " ritorno all'ordine" e ulteriori motivi di crisi, di inquietudine, di dubbio, che non si esauriscono nell'avvento del fascismo, ma che certo lo comprendono. Pur senza enfatizzare il rapporto degli intellettuali col fascismo quale genesi della nuova poesia e letteratura, bisogna qui render conto di un'interpretazione vulgata, che non per questo ha del tutto perso la sua ragion d'essere.

Rapporti complessi col fascismo caratterizzano l'esperienza di tutti i poeti e gli scrittori che operano tra le due guerre, non rinunciando alla letteratura per la lotta politica e non facendosi palesemente fiancheggiatori del regime e portavoce della sua politica culturale. Non potendo apertamente contestare il regime, molti scrittori paiono rifugiarsi nella letteratura come un campo di esperienza alternativo a quello della cultura di regime ( le velate, simboliche contestazioni, le professioni di fede negative, le affermazioni di sfiducia, di inettitudine a vivere e di impotenza, le descrizioni e le rappresentazioni di amare vicende esistenziali, qualunque fosse la loro genesi individuale, qualunque altra connotazione culturale avessero, almeno oggettivamente (cioè anche al di là delle intenzioni) costituivano un contraltare alla fiducia, all'ottimismo programmatico, al trionfalismo degli intellettuali e dei mass media fascisti. La poesia, proprio a partire dall'oggettiva denuncia della guerra dell'Allegria ungarettiana (di quell'Ungaretti che pure ne avrebbe dedicato a Mussolini una successiva edizione) e dalle negazioni montaliane («Non chiederci la parola...»),imbocca nella sua linea più vitale una direzione che potremmo genericamente definire di "negazione" e di ricerca esistenziale, etica e metafisica. Il ricorso al linguaggio oscuro e difficile di derivazione decadente e simbolista, caratteristico soprattutto del gruppo fiorentino, come pure alcune tematiche negative come quella dell'assenza e dell'attesa (attesa, ad esempio, di una palingesi che non si compie o di una ricerca che non conosce mete definitive ma se ne dà sempre di nuove) vengono tradizionalmente interpretati come (e in una certa misura sono) un dolente rifiuto del fascismo. Tale rifiuto si realizza attraverso una "chiusura" autointrospettiva, nella ricerca di un'alternativa esistenziale o spirituale alla realtà esterna difficile e ostile, una ricerca ora confidente ora disperata di realizzazione nell'interiorità della coscienza o negli spazi metafisici, talora nell'esperienza religiosa in senso proprio. Il medesimo legame con la cultura decadente e simbolista e ragioni più particolari mettono in guardia però - come si è detto - dal risolvere solo in chiave di rifiuto politico la complessa esperienza esistenziale e poetica di intellettuali e poeti come Montale e come gli ermetici fiorentini. Sul terreno per un verso c'è un più complesso e articolato rapporto con la civiltà e il mondo moderni (già del romanticismo e del decadentismo sono il rifiuto del presente, del mondo e della civiltà moderna e borghese e il volgersi ad una ricerca puramente interiore) e per altro verso ci sono - come sempre - storie e vicende umane e culturali particolari, ragioni di inquietudine, aspirazioni e tensioni individuali.
Da un punto di vista più tecnico tutta questa produzione letteraria variamente ma profondamente affonda le proprie radici nelle poetiche precedenti (soprattutto, come si diceva, del simbolismo europeo: da Verlaine a Mallarmé, da Valéry a Eliot). La ricerca condotta negli spazi interiori o, al di là del reale empirico, in spazi metafisici trova un supporto nella poetica della "poesia pura", che teorizza l'autonomia della poesia (e dell'arte) - cui nega ogni esplicita funzione pratica, morale e politica - e la sua capacità di autonoma esperienza esistenziale e conoscitiva, spirituale e salvifica (secondo Bo, in quello che è considerato il principale manifesto della poetica dell'ermetismo fiorentino, tra poesia e vita non c'è, non ci deve essere differenza, per garantire alla letteratura la sua dignità etica). La volontà di restituire al linguaggio poetico la sua forza, la sua autenticità, la sua verginità originaria è per molti versi un diretto corollario di questa concezione; come lo è il rifiuto della retorica dannunziana e di certo impressionismo e sentimentalismo pascoliano. Ulteriori caratteristiche tecniche della nuova poesia sono la concentrazione lirica (frutto di una rigorosa e sofferta distillazione del pensiero e del sentimento, contro il fluire copioso e ininterrotto di certo dannunzianesimo), la poetica dell'analogia (Ungaretti parla esplicitamente anche di «immaginazione senza fili», utilizzando il concetto marinettiano per sottolineare l'ampiezza della sintesi analogica), del simbolo o - specialmente nel caso di Montale del correlativo oggettivo (o poetica degli oggetti-simbolo, oggetti equivalenti di una condizione interiore o esistenziale). La poesia non deve né descrivere né rappresentare: deve evocare. Non importa l'immediata comprensibilità del messaggio (quantunque molti ermetici dichiarino di non essere oscuri intenzionalmente), quanto il valore di esperienza dell'atto poetico, che sarà comunicativo solo quando capace di suscitare un'analoga (non identica né univoca) esperienza nel lettore. Di qui anche la programmatica polisemia (ambiguità), l'oscurità intenzionale o meno, maggiore o minore, della poesia che poi appunto prese il nome di ermetica. Come si vede, senza bisogno di ulteriori precisazioni, gran parte di questi indirizzi, canoni e strumenti hanno precisi precedenti nell'esperienza decadente e simbolista, ne sono una rielaborazione relativamente originale.

Su questi sommari elementi in larga misura comuni si innestano poi le differenze individuali e specifiche, che qui non è il caso di indagare. Anche all'interno dell'ermetismo fiorentino, che secondo il Ramat si caratterizzerebbe fra l'altro per un uso effettivamente più criptico ed ermetico dei simboli (laddove il simbolismo ungarettiano e montaliano sarebbe assai più trasparente), si possono distinguere indirizzi, poetiche e voci particolari. 

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it