IL NOVECENTO ITALIANO: BEPPE FENOGLIO

 

Luigi De Bellis

 
 
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Beppe Fenoglio, nato ad Alba nel 1922, ha trascorso in questa città tutta la sua vita, lavorando come impiegato in un'industria vinicola. Ha partecipato attivamente alla Resistenza (che costituisce un motivo di fondo, assieme a quello della terra natale, le Langhe, della sua produzione narrativa). È morto a Torino nel 1963.

Fenoglio ha esordito nel 1952 con I ventitré giorni della città di Alba, pubblicato da Vittorini nella collana einaudiana dei "Gettoni", che egli aveva creato per "lanciare" nuovi narratori; sono poi seguiti La malora (1954), Primavera di bellezza (1959) e, postumi, í racconti di Un giorno di fuoco (1963), Una questione privata (1963), Il partigiano Johnny (1968), La paga del sabato (1969). Una complessa questione filologica-che qui si accenna solo per scrupolo di informazione - è quella riguardante la datazione delle opere di Fenoglio: a parere di Maria Corti, che ha in varie occasioni scritto su questo argomento e ha curato l'edizione critica delle Opere (Einaudi, Torino 1978), II partigiano Johnny, ad esempio, che è stato conosciuto per ultimo, sarebbe «la prima opera di Fenoglio (almeno fra quelle a noi note); una affascinante stesura a caldo, di poco posteriore alle vicende della guerra partigiana, vissute con tanta intensa partecipazione dallo scrittore».

Un lavoro da galera [La malora]

Protagonista-narratore de La malora (1954) è Agostino, un contadino che, rimasto orfano del padre, va "a servizio" per un salario da fame: siamo nelle Langhe, attorno agli anni Trenta, in una società contadina contrassegnata dalla miseria e da un'aspra tensione dei rapporti sociali; tra padroni dei poderi e fittavoli; tra fittavoli e braccianti.

La fedeltà alla propria terra (le Langhe, Alba), caratteristica di fondo di Fenoglio uomo (che a quei paesi restò come abbarbicato) e scrittore - dai racconti, per così dire, rusticani a quelli di vita partigiana - ne La malora si estrinseca sia nel tema sia nello strenuo impegno stilistico volto a far sì che la pagina abbia "sapore" di un'umanità contadina ben definita, di un contesto ambientale ben preciso. In queste pagine non c'è quindi la scoperta o la suggestione del primitivo (si pensi, perché no? a Pasolini), né l'evocazione di un mondo mitizzato sui moduli della narrativa americana (il Pavese di Paesi tuoi) o vagheggiato nella memoria e irrimediabilmente perduto (il Pavese de La luna e i falò), mala rappresentazione di un mondo fatta dall'interno. L'immedesimazione col mondo contadino si realizza cioè tramite il linguaggio: si notino il ricorso al parlato, a livello lessicale (r. 2, bordello; r. 19, quattro parole a testa; r. 20, tempesta, dialettale per "grandine") e a livello sintattico (gli anacoluti di r. 5, Di chi... è; di r. 18, I due maschi, uno; di r. 25, Per venire... lui) e il paragone di r. 28, come... giogo. Si potrebbe continuare nell'esemplificazione. Un'operazione del genere-che appunto perché sottesa da un'austera e tragica visione di quel mondo, evita il pericolo del paternalismo-era riuscita, prima, soltanto a Verga. E Fenoglio è uno dei pochi narratori del Novecento per il quale il richiamo a Verga abbia una seria ragione d'essere
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