Franco Lattes
(Fortini è il cognome della madre) è nato a Firenze da padre ebreo
nel 1917. A Firenze si laurea in Giurisprudenza e in Lettere e, nei
tardi anni Trenta, intrattiene relazioni con il gruppo degli
ermetici e con Giacomo Noventa, che dirigeva la rivista «La riforma
letteraria». Richiamato alle armi nel 1941, dopo l'8 settembre 1943
ripara in Svizzera, da dove si ricongiunge alle brigate partigiane
che operano ìn Val d'Ossola. Finita la guerra si stabilisce a
Milano. Pubblica la raccolta di versi Foglio
di via (1966) e il romanzo Agonia di
Natale (1948, riedito nel 1972 col titolo originario di Giovanni
e le mani). Si iscrive al Partito socialista, dal quale si
staccherà nel 1957, e comincia un'intensa attività di critico
militante, di saggista e di poeta che dura fino alla morte (1994).
Le sue principali raccolte di poesia sono: Fresia
ed errore (1959, che raccoglie varie raccolte minori
precedentemente edite), Una volta per sempre (1963), L'ospite
ingrato (1966), Questo muro
(1973), Una obbedienza (1986), Paesaggio
con serpente (1984), Composita
solvantur (1994). Fra le numerose raccolte di saggi
segnaliamo: Dieci inverni (1957), Verifica
dei poteri (1965), Ventiquattro voci
per un dizionario di lettere (1969), Questioni
di frontiera (1977), Insistenze
(1985). Ma intensissima e importante é anche la sua attività di
traduttore dal francese e dal tedesco. Ha collaborato in qualità di
redattore prima alla rivista «Politecnico» di Vittorini
e poi all'«Avanti!», quindi a numerosissime altre riviste fra
cui «Comunità», «Ragionamenti», «Officina», «Quaderni
piacentini».
Dopo aver lavorato nell'industria, ed aver insegnato per qualche
anno nella scuola secondaria superiore, ha ottenuto la cattedra di
Storia della critica all'università di Siena. Ha anche svolto
attività di consulente editoriale per varie case editrici.
A proposito di quest'ultimo componimento ha scritto lo stesso Franco
Fortini:
Ho sempre creduto che qualcosa (molto, per essere più preciso;
quasi tutto, direi) dovesse mutare nella nostra società. So che
questo mutamento si prepara da tanto tempo, forse da decenni. So che
molti non vi credono o non lo vogliono; e perciò riparano,
racconciano, aggiustano quel che è troppo guasto, convinti che
nessun crollo sia imminente. Intanto, un poco per giorno, il mondo
muta.
Sono vissuto spiando il giorno di quella caduta; e preparandolo.
Anche con poesie come questa, preparandolo. Mala gioia che fin da
ora mi ripaga di inevitabili sofferenze non è solo nella certezza
di aver contribuito ad una trasformazione che voglio positiva; è
nella persuasione che la causa occasionale finale potrà essere data
dal leggero impeto di una giovinezza e di una felicità, dal minimo
peso di un uccello, di una rondine, capace quindi di sottrarsi al
crollo, di non avvertirlo nemmeno. Verranno generazioni di giovani
che saranno più felici di noi e non avranno nemmeno bisogno di
sapere da quale mondo atroce noi eravamo circondati.
Per scrivere questi versi avevo bisogno di una forma molto semplice,
di ritmi larghi, di pause assai profonde. Mi pare che tuttavia
dovrebbe essere scandita, accentuando le cesure alla fine di ogni
verso, come fosse una profezia. Vorrebbe esserne una infatti.
Tra realismo e allegoria
«Poeta sempre politico, nel senso migliore, anche quando parla
di alberi e di nidi» (Mengaldo), Franco Fortini oscilla nella sua
produzione fra il realismo, anche crudo e quasi espressionistico, di
alcune prove degli esordi, e una poesia in cui il rapporto - in lui
sempre fondamentale - con la realtà storica, sociale, politica e
ideologica del suo tempo appare mediato dalle forme, ad esempio,
della parabola, dell'allegoria e della conversazione-riflessione con
destinatari reali o ideali.
II primo componimento si finge una tetra canzone intonata da alcuni
degli ultimi partigiani «visti in una luce nera di sconfitta»,
come Fortini stesso ebbe a scrivere a proposito di questo
componimento, in una ristampa di Foglio di via del 1967. I
compiaciuti eccessi realistici (soprattutto «la bava degli
impiccati»), di coloritura espressionistica, si spiegano con
l'assunzione di questo punto di vista (che implica un processo di
oggettivazione e spersonalizzazione, un distanziamento dall'io
lirico, anche se Fortini stesso fu tra gli ultimi partigiani in Val
d'Ossola).
II secondo componimento è una «facile allegoria» (questo il
titolo di un altro componimento fortiniano) o, se si vuole, una
parabola. In particolare la «casa invecchiata» è il mondo
capitalistico in procinto di crollare e la rondine una futura
generazione che opererà la trasformazione della società senza
essere travolta dal crollo delle vecchie strutture. |