Mentre America si interrompe all'improvviso e non offre alcuna coerente soluzione narrativa, Il processo, anch'esso incompiuto, rivela una struttura più organica e un capitolo considerabile senza dubbio come quello conclusivo. Non appena a Josef K. (qui, e a maggior ragione nel romanzo Il castello dove scompare anche il nome di battesimo, il protagonista viene indicato semplicemente con l'iniziale del cognome), quasi senza alcuna spiegazione, viene notificato che a suo carico sta per iniziarsi un procedimento penale, prende il via la sua contesa con l'effimera sostanza di quel tribunale invisibile che dovrebbe giudicarlo. Pur proclamandosi innocente, egli ammette infatti di non conoscere gli estremi della legge che lo chiama in causa e questo risulta palesemente contraddittorio. In realtà, sin dalle prime battute la tramasi precisa nella contrapposizione di due ambiti diversi e assolutamente antitetici: quello serio e rispettabile di Josef K., funzionario di banca e onesto cittadino, e quello misterioso e ambiguo del tribunale, istanza giudicante che ha sede in soffitte buie e inospitali di quartieri popolari, che sembra presieduta da autorità incompetenti, e che sempre appare inflessibile e disumana. Con l'ausilio della terza persona, in modo asciutto, quasi registrazione di una semplice cronaca, Kafka descrive i molteplici contatti del protagonista con l'organizzazione del tribunale. Tutto sembra far credere che Josef K. sia vittima di un oscuro disegno, di un atroce inganno; eppure l'innocenza più volte ribadita non nasconde nient'altro che la sua colpa profonda, la colpa di chi ignora la natura carismatica della legge. È vero, Josef K. non ha fatto nulla, non ha fatto nulla per entrare nella legge, per comprenderne l'effettivo carattere, per adeguarsi ai suoi inderogabili dettami, e si ostina a continuare su questa strada. Il rifiuto di qualsiasi rapporto con l'universo giuridico e con quei personaggi che in qualche modo potrebbero aiutarlo (il pittore Titorelli, l'avvocato Huld) aumenta, anziché diminuirla, la distanza che separa il protagonista dall'ambito della legge. Ogni volta che riesce ad avvicinare il mondo del tribunale, Josef K. lo trova ambiguo e degno di repulsione, e questo perché continua a voler applicare il proprio ostinato razionalismo. Il motivo centrale del romanzo risiede sicuramente nell'episodio in cui il sacerdote del duomo narra al protagonista la parabola del campagnolo e del guardiano della legge. Estrema possibilità concessagli di incontrare la legge e con essa (questo, almeno, pare il messaggio del romanzo) una dimensione trascendentale, la parabola viene creduta un inganno dal protagonista e ciò finisce per condannarlo in modo inappellabile. Se la verità suprema non sembra mai poter essere compresa, si scopre poi che, in pratica, è l'uomo stesso a rifiutare ogni dialogo e a lasciarsi ingannare. Di fronte alla domanda metafisica e alla purezza della legge, occorre lasciare da parte ogni interpretazione razionalistica e accettare il mistero in quanto tale, come parte integrante del rapporto con la verità. Proprio per questo motivo, Josef K., possibile simbolo della crisi di un'anima ebraica lontana dalle chimere della secolarizzazione ma anche dai dogmi dell'ortodossia, nella sua sterile esistenza solitaria non può non essere considerato nel torto.
La storia
Apparentemente senza alcun motivo, ad un uomo di nome Josef K. viene comunicato che deve ritenersi agli arresti e che sta per iniziare un procedimento penale a suo carico. Stimato funzionario di banca, paladino della legalità, egli si proclama senz'altro innocente e vittima di un banale equivoco. Tuttavia si occupa della sua causa e durante la prima udienza prende contatto con la realtà dell'universo giuridico, scoprendo fra l'altro che la sede prescelta è situata in una soffitta sporca e buia e che i giudici non sembrano infondere alcuna fiducia. Per la necessaria assistenza si rivolge allora all'avvocato Huld, che gli rivela altre caratteristiche del tribunale. In seguito apprende dal pittore Titorelli, ritrattista di alcuni magistrati, che esistono sedi del tribunale pressoché in ogni luogo e che la sua organizzazione risulta molto più articolata di quanto non sembri. Eppure, invece di stabilire un rapporto saldo con l'autorità giudiziaria, Josef K. insiste sulle proprie ragioni e finisce di fatto per isolarsi. Dall'avvocato, mentre si accinge ad esautorarlo, conosce il signor Block, imputato in un altro processo, e, insieme a lui, apprende nuovi inquietanti particolari circa il complesso meccanismo che regola il tribunale. Poiché l'uomo, chiuso in una stanza, ha studiato la legge con impegno, quale somma ricompensa, può adesso venire a sapere che la sua causa non è neppure iniziata. Recatosi nel duomo della città per accompagnarvi un cliente della banca, Josef K. si trova solo poiché costui non si presenta, ed é allora che viene invitato da un sacerdote ad ascoltare una parabola; essa narra i molteplici sforzi compiuti da un uomo di campagna per varcare la porta della legge custodita da un guerriero. Mentre in questo modo il sacerdote sembra offrire a Joséf K. la possibilità di comprendere i caratteri dell'ordine superiore, egli interpreta la parabola come un inganno nei riguardi dell'uomo di campagna. Vanificato anche quest'ultimo contatto con la realtà dei tribunale, la fine di Josef K. appare segnata; una sera, infatti, dopo averlo prelevato da casa, due uomini sconosciuti lo conducono fuori città e, seguendo un macabro cerimoniale, lo giustiziano colpendolo al cuore con un coltello.
Nel duomo: una predica
È importante prestare attenzione all'episodio che precede di poco le fasi conclusive del romanzo Il processo, ovvero all'incontro che Josef K. ha col sacerdote del duomo. Infatti in quest'occasione Kafka mette a fuoco il nucleo centrale dell'intero romanzo, che dunque finisce per ruotare intorno alla narrazione della parabola, e sottolinea come sull'interpretazione che il protagonista dà della stessa parabola si basano le sue possibilità di condanna o di salvezza.
Già si è detto della centralità dell'episodio in cui Kafka narra l'incontro di Josef K. col sacerdote del duomo, che racconta al protagonista una parabola. È importante qui chiarire il peso, il significato profondo di questo episodio nell'economia dell'intero romanzo, così come è essenziale comprendere quale relazione intercorre tra la vicenda giudiziaria apparentemente assurda di Josef K. e le parole della parabola. In questo lavoro ci può aiutare la lettura di alcune osservazioni di Giuliano Baioni.
Il campagnolo si trova in sostanza di fronte a quel limite che ogni creatura, conscia della propria finitezza, prova di fronte al mistero della vita. Ora questo .limite è per Kafka un limite insuperabile, l'uomo, in altre parole, non è in grado di interpretare la parabola, e proprio questa sua incapacità di decifrare le parole della Legge è quella colpa che è posta inevitabilmente con la vita dell'uomo. Con l' esegesi della parabola infatti Kafka compie sul piano dell'interpretazione lo stesso labirintico itinerario del suo imputato che non riesce a definire la propria colpa e a dare un volto al suo tribunale. Una interpretazione che è un capolavoro di bizantinismo talmudico, ma anche una dimostrazione magistrale della disperata, e disperante, ambiguità con cui Kafka inganna se stesso e il suo lettore. Va innanzi tutto notato che Kafka si guarda bene dal toccare esplicitamente quello che poi è il punto essenziale della parabola e cioè: era o non era possibile al campagnolo di entrare nella Legge nonostante il divieto? E del resto, che valore poteva avere questo divieto, cioè il «non ora» del guardiano che, se gli impediva - o sembrava impedirgli - l'immediato accesso alla Legge, non era poi un divieto assoluto, bensì relativo e per ciò stesso ingannevole? |