IL NOVECENTO: STEPHANE MALLARME'

 

Luigi De Bellis

 
 
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Stéphane Mallarmé nacque a Parigi nel 1842. Morta la madre nel 1847, la sua educazione venne affidata ai nonni materni. Dal 1852 studiò in collegio e nel 1857 si trasferì con la famiglia del padre a Sens, dove ottenne il baccalaureato e quindi si impiegò presso gli uffici del registro. Nel 1862 pubblicò la prima poesia sulla rivista «Le Papillon». Quindi si trasferì a Londra per perfezionare la conoscenza dell'inglese. Qui si sposò, contro il volere del padre, con una giovane tedesca, Maria Gerhard. Rientrato in Francia intraprese la carriera dell'insegnamento ottenendo un incarico in un liceo di Tournon. In seguito venne trasferito a Besancon e quindi ad Avignone. Tra il 1864 e il 1865 scrisse Hérodiade e il Monologo di un Fauno (prima redazione del Pomeriggio di un Fauno, che pubblicò nel 1876). Nel 1866 pubblicò dieci componimenti sul «Parnasse Contemporain» e quindi allacciò una corrispondenza epistolare con Verlaine, di cui ben presto divenne intimo amico. Nel periodo 1868-1871 attraversò un grave periodo di depressione, legata anche alle difficoltà di inserimento nell'ambiente di provincia che sentiva profondamente ostile. A questo periodo risalgono le sue più tetre meditazioni sul caso e sul nulla. Nel 1871 si trasferì definitivamente a Parigi e le sue condizioni migliorarono sensibilmente. Riprese a scrivere e a pubblicare componimenti su varie riviste e cominciò a frequentare gli ambienti dei pittori impressionisti. Presto la sua fama di poeta crebbe notevolmente. Celebri a Parigi divennero i suoi martedì letterari, quando nella sua casa riceveva gli amici letterati, poeti e pittori. Tra il 1874 e il 1875 redasse da solo la rivista «La Demière Mode». Nel 1884 alcune sue composizioni entrarono nella raccolta dei Poeti maledetti curata da Verlaine. Nel 1887 pubblicò la prima raccolta delle Poesie, quindi altre raccolte di prose e nel 1894 una di Versi e prose. Nel 1897 pubblicò il poema Uri colpo di dadi non abolirà mai il caso. Morì a Parigi nel 1899, mentre attendeva all'edizione definitiva delle Poesie.

Brezza marina. 
La tensione verso un mondo di ideale purezza e perfezione, assolutamente "altro" rispetto a quello in cui al poeta tocca vivere è il tema dominante del primo componimento, che - come si è detto - è intessuto in parte di motivi baudelairiani. In particolare baudelairiana è l'opposizione spleen/ideale, che riecheggia soprattutto nei versi iniziali, quando la stanchezza della carne e la sazietà della cultura costituiscono lo spunto che determina il desiderio di fuga verso mondi ideali ed esotici. E ancora l'esotismo stesso, e i motivi dell'evasione e del viaggio possono ascriversi in qualche misura al modello baudelairiano. Tuttavia originalmente mallarmeani sono il motivo di un mondo di incontaminata purezza, in opposizione a quello reale, e il motivo della ricerca di una parola pura (altrettanto incontaminata e perfetta) che, nel drammatico confronto con la pagina bianca, rischia di condurre il poeta alla sterilità creativa.

Quando minacciò l'ombra della legge ineluttabile. 

Questo componimento delinea un moto spirituale che da un atto di sfiducia nella possibilità dell'uomo di sfuggire all'annientamento totale porta alla riconquista della fede nella poesia. Ad esso fanno riscontro un contrasto temporale (dal passato: minacciò, ripiegò; al presente: è abbagliato, io so, proietta, ecc.) e un contrasto cromatico (dalla dominante oscura, connotata negativamente: ombra, volte funebri, salotto d'ebano, tenebre, notte; alla dominante luminosa, connotata per lo più positivamente: abbagliato, gran falò, accendersi, luce). II componimento si apre insomma sul passato, su una visione di tenebre intessuta di allusioni funerarie, sul concetto di annientamento e di disperazione, trascorrendo dalla notte interiore della prima quartina alla notte esteriore della seconda. Non una notazione luminosa compare nei primi sette versi (racchiusi tra le ombre del v. 1 e le tenebre del v. 7). Lo stesso Sogno è concetto ambivalente (positivo in quanto enuncia una tensione ideale, ma negativo in quanto ne è messa in luce l'irrealizzabilità). Ma quando nella seconda quartina sembra che l'ombra del nulla trionfi su tutto si ha la svolta: l'ombra trionfa su tutte le cose esistenti in natura, ma non sulla poesia, sulla fede del poeta (il Sogno, ambivalente, diventa luminosa, accecante fede). Ecco allora che il miracolo si avvera (con forza si dice: «sì io so», che è un presente puntuale) e chiama a testimoni i vili fuochi naturali. La luce del genio e della poesia trionfa sulle tenebre dell'universo-nulla. È la più palese e forse alta affermazione del potere magico-creatore della parola poetica, approdo estremo - come altrove si è detto - della concezione simbolistica dell'arte.

Come ha scritto la Noulet, in Toast funèbre - un altro suo componimento - Mallarmé «proclamava che solo la gloria del poeta sfugge al nulla»; ora «questo sonetto trae le dirette conseguenze di un tale ragionamento: vincitore del caso, il poeta, ogni poeta, l'io del poeta, rappresenta nell'universo una luce insigne; e la certezza cosciente che egli ne ha è uno splendore a paragone del quale tutti gli splendori del mondo, comprese le più lussuose feste stellari, non sono nulla. Questo componimento, a fianco di tutti quelli che dicono l'impotenza e l'amarezza, è il canto della fiducia».

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