Filippo Tommaso
Marinetti nacque nel 1876 ad Alessandria d'Egitto, dove studiò
presso scuole francesi; più tardi seguì corsi universitari in
Italia, laureandosi in giurisprudenza a Genova. Già dal 1893
stabilisce la sua residenza a Parigi, dove ha la vera e propria
formazione letteraria. Alla letteratura si dedica interamente a
partire dai primi anni dei Novecento. Pubblica varie opere in
francese, prima di pubblicare il suo primo Manifesto del futurismo
sulle pagine del «Figaro, il 10 febbraio 1909. Seguono altri
manifesti e opere ispirate alla nuova poetica, tra cui il romanzo Mafarka
il futurista (1910), le raccolte poetiche Zang
Tumb Tuuum, Adrianopoli ottobre 1392
(1914), Dune (1914), 8
anime in una bomba (1919), ecc. Vari gli scritti politici in
cui espose la sua concezione nazionalistica e interventistica prima
e l'adesione al fascismo poi: ad esempio Guerra
sola igiene del mondo (1915), Democrazia
futurista (1919) e Futurismo e Fascismo
(1924). Nel 1929 venne nominato Accademico d'Italia. Mori a Bellagio
(Como) nel 1944.
Sulla poetica del futurismo e su alcune
sue implicazioni politico-culturali proponiamo una nota di Luisa
Bonesio:
L'antipassatismo, e il suo correlato, la modernolatria, sono i
tratti ideologici salienti dei manifesti marinettiani. «Uccidere il
chiaro di luna», combattere contro Venezia passatista, sono gli
emblemi di una volontà di recuperare l'unità di arte e vita,
eliminando tutti i ciarpami e gli ingombri di una cultura ritenuta
irrimediabilmente arretrata. I futuristi volevano «cambiare la
vita», passare a un ordine sociale diverso, a un'esistenza più
frenetica e disinibita, e ritenevano mezzi idonei a conseguire
queste mete l'attivismo sfrenato e la guerra. In questo senso,
l'efficacia presso il pubblico più vasto, fu quella di una retorica
di fatto prefascista, anche se le velleità di trasformazione
politica furono assorbite dal fascismo e il futurismo si ridusse a
una scuola letteraria di epigoni. Marinetti seppe confezionare con
grande abilità una merce culturale in cui le innovazioni sul piano
della letterarietà si accompagnavano a posizioni ideologiche
reazionarie, come l'esaltazione della violenza, una feroce
misoginia, un accentuato nazionalismo. «(Marinetti) proprio perché
organicamente legato alla borghesia, è il primo a rendersi conto
che l'arte è produzione subordinata alle leggi del mercato
capitalistico, e soggetta quindi a un consumo che rende
indispensabili una sempre nuova progettazione di modelli formali e
un loro continuo aggiornamento, un diverso tipo di contatto, diretto
e pressante, con la massa degli acquirenti e un'incessante
pubblicità della novità insuperabile e della perfetta efficienza
dei prodotti». La risonanza che Marinetti riuscì a creare intorno
al fenomeno futurista, a livello di pubblico, è legata anche alla
messinscena parodistica della letteratura, che esce dai confini dei
luoghi deputati - libri, musei, biblioteche - per trasformarsi in
spettacolo, cioè un accadimento da vivere collettivamente. Sotto
questo profilo, è rilevabile qualche analogia fra gli spettacoli
futuristi e le teatralizzazioni di massa della retorica fascista.
Tuttavia il futurismo ebbe nei confronti della cultura borghese
italiana chiusa e arretrata, una funzione dirompente. Gramsci stesso
seppe vedere la positività del movimento futurista, quando
nell'«Ordine nuovo» del 5 gennaio 1921, scrisse: «I futuristi
(...) hanno avuto la concezione netta e chiara che l'epoca nostra,
l'epoca della grande industria, della grande città operaia, della
vita densa e tumultuosa, doveva avere nuove forme di arte, di
filosofia, di costume, di linguaggio (...). I futuristi, nel loro
campo, il campo della cultura, sono rivoluzionari; in questo campo,
come opera creativa, è probabile che la classe operaia non
riuscirà per molto tempo a fare più di quanto hanno fatto i
futuristi».
Tutto, nel futurismo, a cominciare dalle innovazioni tecniche, è
uno sforzo per liberare lo spazio dall'assoggettamento allo spirito.
Lo spazio fisico, ritrovato, restituito a se stesso, percepito come
altro, esterno all'uomo, è avvertito nella sua avvolgente
drammaticità. Così si pone il problema della «ricostruzione
futurista dell'universo», anch'essa concepita in modo polemologico:
«Col futurismo l'arte diventa arte-azione, cioè volontà,
aggressione, possesso, penetrazione (...), proiezione in avanti.
Dunque l'arte diventa Presenza, nuovo oggetto, nuova realtà creata
con gli elementi astratti dell'universo. Le mani dell'artista
passatista soffrivano per l'Oggetto perduto; le nostre mani
spasimavano per un nuovo Oggetto da creare». |