IL NOVECENTO ITALIANO : ALDO PALAZZESCHI

 

Luigi De Bellis

 
 
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Nel 1909 anche Aldo Palazzeschi, come Govoni, confluisce spontaneamente nel movimento futurista come autonomo e un po' atipico fiancheggiatore. Palazzeschi in effetti ha già trovato una sua maniera poetica, coscientemente folle e dissacratrice e al tempo stesso ingenua, che non abbandona dopo l'adesione al futurismo.
Non una rigida attuazione dei precetti tecnici marinettiani troveremo nella lirica di Palazzeschi; ma una parallela e originale azione di demistificazione dei modi e delle forme poetiche tradizionali.

I procedimenti palazzeschiani
È stato notato che Palazzeschi compone i testi della sua prima stagione poetica ripetendo quasi macchinalmente e ossessivamente una cadenza trisillabica che dà ai componimenti un senso di automatismo espressivo, induce cioè un senso di spersonalizzazione della dizione poetica. Tale procedimento (episodico nei testi che abbiamo riprodotto) è evidente in enunciati del tipo: «Son forse un poeta? / No, certo. / Non scrive che una parola, ben strana, / la penna dell'anima mia: / "follia"» (da Chi sono?, un primo componimento rilevante per le enunciazioni di poetica, che si conclude: «Chi sono? / Il saltimbanco dell'anima mia»).
Altrove il medesimo effetto di spersonalizzazione dell'enunciato lirico è ottenuto mediante il collage di frasi pronunciate da una serie di anonimi interlocutori (come nel caso di Lasciatemi divertire e in gran parte dell'Incendiario, nelle parti da noi però omesse) o il collage di percezioni pure di anonimi personaggi (è il caso della Passeggiata in cui si susseguono testi di insegne di negozi, di manifesti pubblicitari, titoli di giornali esposti al pubblico, numeri civici ecc.). Tale procedimento tende a sostituire all'io lirico tradizionale che parla di sé, si analizza, enuncia desideri, problemi, dolori, un soggetto impersonale che può essere individuato nella «gente» (Sanguineti).
In entrambi i casi si tratta, è chiaro, di una forma di distanziamento e di demistificazione della tradizione poetica regolare e alta.

Poetica della dissacrante allegria
Altrove parla invece direttamente il poeta: e allora, come nei due testi proposti, l'opera di dissacrazione è affidata ad altri mezzi. In Lasciatemi divertire, dove pure si ha il collage di voci anonime, è affidata anche al provocatorio non-senso delle frasi pronunciate dal poeta, alle sue affermazioni di concepire la poesia come puro e folle divertimento (anche Palazzeschi rifiuta il modello ancora egemone del poeta-vate, del poeta investito di una funzione pubblica, ma al lamento dei crepuscolari sostituisce ora una dissacrante allegria). Anche il nonsense è parola spersonalizzata, rifiuto degli istituti lirici tradizionali, desemantizzazione di procedimenti normali nella poesia della tradizione, "licenza poetica" elevata all'ennesima potenza. Nell'Incendiario la dissacrazione è affidata all'immagine futurista di colui che dà fuoco alle cose e alle parole del passato, ai simulacri della tradizione (e della realtà dei comuni borghesi, delle istituzioni pubbliche).
Non c'è più in Palazzeschi, come in altri poeti di questi anni, la fiducia nei modi, nelle forme, nei valori della poesia precedente, nei compiti pubblici e privati ad essa affidati. E' una situazione di crisi, che si manifesta però in forme giocose e allegre - di un'allegria sempre dissacrante - talora nella parodia, talora nella deformazione amabilmente grottesca.

Tra crepuscolarismo e futurismo
A proposito del passaggio da una fase crepuscolare a una futurista, cui si accennava nella premessa, e dell'atipicità del suo futurismo si consideri la seguente osservazione di Sergio Antonielli: «Oggi sappiamo che il crepuscolarismo fu a doppia faccia: nostalgia, elegia per un verso e corrosione ironica, demistificazione per un altro. Palazzeschi fu crepuscolare più nel secondo verso che nel primo. Dopodiché fu futurista. Ma poté compiere una sua feconda sintesi di crepuscolarismo e futurismo proprio perché la sua vena di ribelle, di "anarchico borghese" in contraddizione col proprio ambiente sociale e, in parte, con se medesimo, era già viva durante la fase crepuscolare. Futurismo, per lui, significò proseguimento di una giovanile lotta contro le convenzioni. Quanto ai corollari politici dei "teoremi" marinettiani: nazionalismo e interventismo, non li fece mai propri».

Altri, e per primo Edoardo Sanguineti, hanno proposto una diversa classificazione e denominazione di questa prima fase della lirica italiana novecentesca (che comprende fra gli altri Govoni e Palazzeschi), introducendo la categoria di "liberty"
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