Nel 1909 anche Aldo Palazzeschi,
come Govoni, confluisce spontaneamente nel movimento futurista come
autonomo e un po' atipico fiancheggiatore. Palazzeschi in effetti ha
già trovato una sua maniera poetica, coscientemente folle e
dissacratrice e al tempo stesso ingenua, che non abbandona dopo
l'adesione al futurismo.
Non una rigida attuazione dei precetti tecnici marinettiani
troveremo nella lirica di Palazzeschi; ma una parallela e originale
azione di demistificazione dei modi e delle forme poetiche
tradizionali.
I procedimenti palazzeschiani
È stato notato che Palazzeschi compone i testi della sua prima
stagione poetica ripetendo quasi macchinalmente e ossessivamente una
cadenza trisillabica che dà ai componimenti un senso di automatismo
espressivo, induce cioè un senso di spersonalizzazione della
dizione poetica. Tale procedimento (episodico nei testi che abbiamo
riprodotto) è evidente in enunciati del tipo: «Son
forse un poeta? / No, certo. / Non scrive che una parola, ben
strana, / la penna dell'anima mia: / "follia"»
(da Chi sono?, un primo componimento rilevante per le enunciazioni
di poetica, che si conclude: «Chi sono? / Il saltimbanco dell'anima
mia»).
Altrove il medesimo effetto di spersonalizzazione dell'enunciato
lirico è ottenuto mediante il collage di frasi pronunciate da una
serie di anonimi interlocutori (come nel caso di Lasciatemi
divertire e in gran parte dell'Incendiario, nelle parti da noi però
omesse) o il collage di percezioni pure di anonimi personaggi (è il
caso della Passeggiata in cui si susseguono testi di insegne di
negozi, di manifesti pubblicitari, titoli di giornali esposti al
pubblico, numeri civici ecc.). Tale procedimento tende a sostituire
all'io lirico tradizionale che parla di sé, si analizza, enuncia
desideri, problemi, dolori, un soggetto impersonale che può essere
individuato nella «gente» (Sanguineti).
In entrambi i casi si tratta, è chiaro, di una forma di
distanziamento e di demistificazione della tradizione poetica
regolare e alta.
Poetica della dissacrante allegria
Altrove parla invece direttamente il poeta: e allora, come nei due
testi proposti, l'opera di dissacrazione è affidata ad altri mezzi.
In Lasciatemi divertire, dove pure si ha il collage di voci anonime,
è affidata anche al provocatorio non-senso delle frasi pronunciate
dal poeta, alle sue affermazioni di concepire la poesia come puro e
folle divertimento (anche Palazzeschi rifiuta il modello ancora
egemone del poeta-vate, del poeta investito di una funzione
pubblica, ma al lamento dei crepuscolari sostituisce ora una
dissacrante allegria). Anche il nonsense è parola spersonalizzata,
rifiuto degli istituti lirici tradizionali, desemantizzazione di
procedimenti normali nella poesia della tradizione, "licenza
poetica" elevata all'ennesima potenza. Nell'Incendiario la
dissacrazione è affidata all'immagine futurista di colui che dà
fuoco alle cose e alle parole del passato, ai simulacri della
tradizione (e della realtà dei comuni borghesi, delle istituzioni
pubbliche).
Non c'è più in Palazzeschi, come in altri poeti di questi anni, la
fiducia nei modi, nelle forme, nei valori della poesia precedente,
nei compiti pubblici e privati ad essa affidati. E' una situazione
di crisi, che si manifesta però in forme giocose e allegre - di
un'allegria sempre dissacrante - talora nella parodia, talora nella
deformazione amabilmente grottesca.
Tra crepuscolarismo e futurismo
A proposito del passaggio da una fase crepuscolare a una futurista,
cui si accennava nella premessa, e dell'atipicità del suo futurismo
si consideri la seguente osservazione di Sergio Antonielli: «Oggi
sappiamo che il crepuscolarismo fu a doppia faccia: nostalgia,
elegia per un verso e corrosione ironica, demistificazione per un
altro. Palazzeschi fu crepuscolare più nel secondo verso che nel
primo. Dopodiché fu futurista. Ma poté compiere una sua feconda
sintesi di crepuscolarismo e futurismo proprio perché la sua vena
di ribelle, di "anarchico borghese" in contraddizione col
proprio ambiente sociale e, in parte, con se medesimo, era già viva
durante la fase crepuscolare. Futurismo, per lui, significò
proseguimento di una giovanile lotta contro le convenzioni. Quanto
ai corollari politici dei "teoremi" marinettiani:
nazionalismo e interventismo, non li fece mai propri».
Altri, e per primo Edoardo Sanguineti, hanno proposto una diversa
classificazione e denominazione di questa prima fase della lirica
italiana novecentesca (che comprende fra gli altri Govoni e
Palazzeschi), introducendo la categoria di "liberty". |