Nato
a Firenze nel 1881 da un'umile famiglia, Giovanni Papini fu
sostanzialmente un autodidatta che sin dalla prima giovinezza si
immerse nella lettura, spaziando nei più disparati campi del
sapere. Conseguito il diploma magistrale, insegnò per alcuni anni e
fece il bibliotecario, Attivissimo nel dibattito politico culturale
fondò con Prezzolini il «Leonardo» (1903-07), fu nel 1903
redattore capo del quotidiano nazionalista «Il Regno», diresse nel
1912 «La Voce», fondò la rivista futurista «Lacerba» (1913-15),
si batté per l'interventismo. Pubblicava intanto, fra l'altro: Il
crepuscolo dei filosofi, 1906; i racconti fantastici de Il tragico
quotidiano, 1903, e Il pilota cieco, 1907; l'autobiografia Un uomo
finito, 1913; le raccolte di versi Cento pagine di poesia, 1915 e
Opera prima, 1917; i saggi letterari e filosofici di Stroncature,
1916. Frutto letterario della sua conversione al cattolicesimo fu
nel 1921 la Storia di Cristo che ebbe larga notorietà. Della sua
posteriore attività di scrittore prolifico (forse un po' troppo) e
polemico (quasi deliberatamente) ricordiamo: l'incompiuta Storia
della letteratura italiana, 1937; Dante vivo, 1933, e Vita di
Michelangelo, 1949; Lettere agli uomini di papa Celestino VI, 1946.
Fu nominato Accademico d'Italia nel 1937; morì a Firenze nel 1956.
Su «Lacerba» trovò collocazione e sfogo, esasperandosi fino alle
sue estreme conseguenze, quella componente di rivoluzionarismo
anarchico e gratuito, quell'atteggiamento fatto più di boutades
letterarie che di maturate convinzioni che era già visibile nel «Leonardo»
e si era poi rivelato in pieno, irrobustito, col futurismo.
A proposito del «caldo bagno di sangue nero» va precisato che, «la
barocca immagine si riallacciava (nonostante l'apparenza di
sconvolgente novità) a un vecchio motivo retorico della nostra
tradizione post-risorgimentale», come nota lo storico Nino Valeri,
il quale poi cita Rocco de Zerbi, che nel 1882 auspicava un «tiepido
fumante bagno di sangue» come mezzo per far grande l'Italia
avvilita, Felice Cavallotti che sognava «qualche battesimo cruento»,
e poi Oriani e Carducci. Nel Novecento, con D'Annunzio, Marinetti
(la guerra «igiene del mondo»), Corradini e i nazionalisti questa
esaltazione dello scontro cruento e della guerra trova largo spazio.
Chiarita questa filiazione o questa persistenza di un motivo
retorico, va però precisata la fisionomia, la specificità di
questo testo, nel quale c'è anzitutto una forte dose di
letteratura, cioè di vistoso compiacimento di toni satanici, di
gratuito gusto della provocazione, di ostentato cinismo, di
calcolata irrisione dei «buoni sentimenti». Fino ad arrivare ad
atteggiamenti volgari, beceri («E quando furono ingravidate non
piansero: bisogna pagare anche il piacere»; «Che bei cavoli... che
grosse patate... quest'altro anno!»).
Inoltre, mentre nella tradizione citata dal Valeri il "bagno di
sangue" è motivato (se non giustificato) da finalità
nazionalistiche (far grande l'Italia, "lavare" le
sconfitte, ecc.), qui tale motivo è assente e quello dominante è
il superomistico disprezzo per gli altri (classificati vigliacchi,
ipocriti, paciosi) e addirittura per l'umanità.
Certo, ci sono molti modi di concepire la letteratura e di
praticarla; Piero Gobetti a proposito di pagine come questa parlava
di «letteratura canagliesca». |