IL NOVECENTO: VIRGINIA WOOLF

 

Luigi De Bellis

 
 
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Nata a Londra nel 1882, Virginia Woolf crebbe e si formò in un ambiente di raffinata cultura (il padre, sir Leslie Stephen, era un intellettuale molto in vista nel periodo vittoriano), sposò uno degli esponenti di questo ambiente, Leonard Woolf, nel 1912, e pubblicò il suo primo romanzo (La crociera) nel 1913. Non si dedicò soltanto alla letteratura, ma fondò e gestì una casa editrice - The Hogart Press - attenta alla produzione contemporanea, e si interessò ai problemi della condizione femminile (e il saggio Una stanza tutta per sè del 1929 ne è una celebre testimonianza). Della sua produzione, che comprende racconti, saggi critici, interventi di vario genere, sono da ritenere fondamentali i romanzi Gita al faro (1927), Orlando (1928) e Le onde (1931). Soggetta non di rado a crisi depressive, non riuscì a superare quella che la colse dopo che la sua casa londinese fu distrutta dai bombardamenti, e nel marzo del 1941 si tolse la vita annegandosi.

Nel romanzo Gita al faro (1927), un testo di grande importanza nella narrativa del Novecento, Virginia Woolf realizza una rappresentazione esemplare di quello che viene chiamato "tempo interiore", cioè di quel fluire della coscienza che, indipendentemente dal tempo fenomenico, cronologico, accosta, sovrappone, aggroviglia sensazioni e frammenti d'esperienza, ricordi del passato e intuizioni sul presente, in un movimento imprevedibile e perennemente cangiante.

II romanzo è tutto un incastro fra azioni esterne e memorie, impressioni, "illuminazioni", cioè in ultima analisi fra tempo fenomenico, cronologico, e tempo interiore. Sarà utile ripercorrerlo e scandirlo rapidamente. All'inizio la signora Ramsay conforta il più piccolo dei suoi figli, James, deluso della mancata gita al faro, e si dedica poi a portare a termine i calzerotti da regalare al figlio del guardiano del faro. Ma intanto la narrazione fa posto, oltre che all'attività esterna della protagonista, alla sua interiorità, alle sue impressioni sugli «occhi cinesi» di una sua ospite, su un suo possibile matrimonio. La descrizione di ciò che è esterno, di ciò che la protagonista fa, viene interrotta dall'inserimento di una lunga sequenza nella quale nella dimensione del tempo interiore c'è posto per rievocazioni che si collegano sia alla contemporaneità (la condizione della domestica svizzera, Maria) sia a un imprecisato passato (le dediche del «poeta in persona»).

Si ritorna poi alle azioni esterne, al tempo fenomenico, ma è un breve incastro, perché a partire dalla r. 73 si succedono vari blocchi narrativi, varie sequenze tutte centrate sulla signora Ramsay, sulla sua splendida e tuttavia enigmatica bellezza, sulla sua indefinibile personalità, che viene presentata col ricorso ad angolazioni multiple, a punti di vista differenti: viene eliminato cioè quello che Auerbach definisce «soggettivismo unipersonale» e che era la caratteristica del romanzo ottocentesco classico, nel quale tutto veniva focalizzato, in ultima istanza, dal narratore demiurgo. E così, a partire dalla r. 73, c'è posto prima per gli enunciati delle rr. 73-75; poi per gli interrogativi della "gente", che introducono - senza alcuna precisazione cronologica - elementi sul passato della signora Ramsay; e poi ancora per il blocco delle rr. 88-108, nel quale la protagonista è presentata attraverso le impressioni e la telefonata (sciolta da qualsiasi indicazione di tempo cronologico) del signor Bankes. Dalla r. 109 sino alla fine si ritorna alle azioni esterne, al fenomenico
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