Si
compone di tre parti, pubblicate dapprima in rivista:
I. Dio ti salvi, in «Nuova Antologia» dal 1œ gennaio al 16 maggio 1938. La prima
edizione in volume recava un prologo dal titolo «I mulini del Po», già apparso
sul «Corriere della sera» del 7 gennaio 1938 e successivamente ripubblicato, con
modifiche e aggiunte, come «Prologo quasi una fantasia» nelle successive
edizioni.
II. La miseria viene in barca, in «Nuova Antologia»
III. Mondo vecchio, sempre nuovo.
L'edizione definitiva è apparsa nei tomi I-III del volume VIII di Tutte le opere
di Riccardo Bacchelli. Risale al 1970.
L'opera narra le vicende di quattro generazioni di una stirpe di mugnai di fiume
della riva ferrarese del Po, gli Scacerni, protagonisti diretti o testimoni di
oltre un secolo di storia, dal periodo napoleonico alla prima guerra mondiale.
Oltre a fare da sfondo alle vicende dei personaggi, la storia entra nel romanzo
in modo diretto, con digressioni che l'autore giustifica appellandosi alla
necessità della ricerca del vero e al proposito di svelare l'umanità che nella
storia stessa è presente.
La prima parte comprende gli eventi che vanno dal 1812 al 1848. L'antefatto ha
luogo nel 1812 sul Vop, un fiume della Russia che le armate napoleoniche
attraversano durante la disastrosa ritirata. Lì il coscritto Lazzaro Scacerni
(nato sul Po, figlio di un traghettatore - morto durante una rivolta contro le
armate napoleoniche sedata nel sangue nel 1807 -, mandato mozzo in marina,
quindi passato al genio - ottiene dal capitano Mazzacorati un lascito, frutto
del furto di un tesoro ecclesiastico, consistente in gioielli depositati presso
un banco di ebrei a Ferrara. Tornato sul Po col suo segreto, Lazzaro vive
randagio nei boschi, preda del timore di avvicinarsi al tesoro sul quale pende
una scomunica: si reca alla fine nel Ghetto a riscuotere e, sepolto il tesoro
maledetto, si guadagna il pane lavorando come bracciante, poi come pontiere per
le guarnigioni austriache, infine come operaio presso i calafati di Occhiobello
che costruiscono mulini e barche fluviali.
Suggestionato dai racconti sulla fortuna dei mugnai, decide di investire i suoi
averi nella costruzione di un mulino e, cambiati i gioielli in scudi presso il
contrabbandiere Raguseo, dà corso all'opera. Il mulino è dedicato a San Michele
e sistemato sulla riva del fiume. Con i proventi dell'attività, subito fiorente,
Lazzaro acquista un piccolo podere alla Guarda in riva al fiume, e mette su
famiglia sposando la giovane Dosolina, figlia di un sensale in fallimento,
Princivalle Malvegoli. Dosolina gli dà, a rischio della vita, un maschio,
proprio nel giorno in cui Lazzaro, accorso a salvare il mulino da una piena,
scampa alla morte grazie all'intervento della misericordia: ricorre in questo
evento uno dei numerosi debiti strutturali con i Promessi sposi, che
caratterizzano l'opera e diverranno più fitti nella parte finale del romanzo.
Lazzaro subisce il ricatto del Raguseo, che è a parte dell'origine del suo
capitale, e medita di ucciderlo, ma è un altro brigante, Fratognone, a
realizzare il proposito, dopo avergli chiesto un aiuto per passare il fiume.
Fratognone viene arrestato dopo il delitto, e Lazzaro, sentendosi complice, e
tormentato da crisi di coscienza alle quali rimedia con la visita a una suora in
odore di santità.
Si chiudono in pratica qui le vicende che vedono protagonista Lazzaro, la sua
fortuna "maledetta" e il suo sincero pentimento. Lazzaro, personaggio dal
carattere schivo e carico di una selvatica superbia, è l'unico vero protagonista
del romanzo, che da qui in avanti amplia la galleria dei personaggi minori: di
ciascuno di essi è narrata la vicenda, immancabilmente in relazione con i
tumultuosi avvenimenti dell'epoca e il più delle volte determinata da essi. Così
è, ad esempio, per Argia Malvegoli, sorella di Dosolina, che, dopo la morte
della madre, diventa pubblica concubina del ricco Giaurro, liberale e
rivoluzionario. In seguito ai «moti effimeri» scoppiati nel 1831, e alle
reazioni spropositate del governo pontificio (che in esse mostra tutta la sua
debolezza), Giaurro è esiliato e Argia diviene la protetta del cavalier
Flaminio, un sanfedista moderato che, per aver guidato la repressione, è
divenuto barone. Flaminio è, fra i personaggi minori, uno dei più accuratamente
disegnati: cresciuto dai gesuiti dopo aver perduto il padre, è accompagnato da
una cattiva fama cresciuta in tutta Ferrara che, a torto o a ragione (l'autore
non lo svela), lo sospetta di ogni intrigo. Servitore devoto dell'Austria,
convinto della missione pacificatrice degli Asburgo, Flaminio spazza via con
disprezzo più che con odio i liberali, ma deplora nello stesso tempo la
debolezza del restaurato governo pontificio; per aver guidato la Ferdinandea,
una setta reazionaria (nella quale entra il feroce sanfedista Alpi, che avrà una
parte importante negli sviluppi successivi della storia), sarà assassinato dai
liberali quando essi, amnistiati, rientreranno a Ferrara dall'esilio.
Intanto Giuseppe, il figlio di Lazzaro, cresce con la fissazione degli affari e
matura un carattere scontroso e avido. Per il suo sgraziato aspetto fisico e per
il suo cinismo, si guadagna il nomignolo di «Coniglio mannaro» che lo
accompagnerà per tutta la vita. Con una manipolazione assai meccanica, una delle
tante di cui risente la trama, l'autore introduce un altro personaggio
importante: durante una piena, Lazzaro ferma la deriva di un mulino e vi
rinviene una ragazza, Cecilia, figlia del mugnaio Rei morto durante la tempesta.
Cecilia è adottata da Lazzaro e i mulini diventano due: il San Michele e il
Paneperso. Coniglio mannaro, che non ama il fiume e il mestiere di mugnaio,
inizia un'attività di sensale di granaglie: competente e cinico, si guadagna la
nomea di affamatore e usuraio. Intuisce che Argia ha accumulato una discreta
ricchezza e ottiene di farsi nominare amministratore delle sue sostanze. Grazie
alle aderenze di Argia, assume l'appalto per il vettovagliamento della
guarnigione austriaca, ma, nel clima di concordia nazionale che precede il '48,
tale incarico gli attira l'odio della popolazione. Coniglio mannaro, ritenuto
sfruttatore e nemico della patria, è costretto a fuggire da Ferrara e ad
abbandonare il discreto patrimonio nelle mani inesperte della zia. La prima
parte del romanzo si chiude su un anno di rivoluzioni e di carestie, che porta
con sé fame e saccheggi di soldataglie italiane e austriache.
La seconda parte, che comprende gli eventi del periodo 1848-1872, ha per
protagonista Coniglio mannaro, che diviene incettatore di grano per l'Intendenza
austriaca al di là dal Po: egli rappresenta in questa fase il tipo d'uomo che
sta con chi lo paga, subito e in contanti. Per denaro, è coinvolto nell'assedio
di Bologna da parte degli austriaci, quale addetto al rifornimento di un reparto
guidato da Alpi. E tempo di guerra e di repentine fortune: di una di esse si
giova Pietro Vèrgoli, un borghese ambizioso, a suo modo rivoluzionario, un
fattore che acquista le terre dei propri padroni, i conti Machiavelli.
Contrabbandiere per necessità, per sfuggire la vessatoria burocrazia pontificia
e i dazi doganali che soffocano la libera iniziativa, Vèrgoli si serve per i
suoi traffici con l'Oltrepò di Coniglio mannaro e di Alpi, divenuto nel
frattempo sovrintendente alle dogane di Ferrara. È proprio Alpi a suggerire a
Coniglio mannaro lo stratagemma per conquistare Cecilia, della quale si è
innamorato con tutta la brama che un cuore arido come il suo può provare: la
ragazza dovrà acconsentire a sposarlo se vorrà evitare l'arresto di Lazzaro, che
rischia la ghigliottina perché in possesso di armi. Argia, nel frattempo, ha
perso quasi tutto il capitale messo da parte da Coniglio mannaro con
investimenti nelle obbligazioni della repubblica proclamata a Ferrara nel 1849,
e divenute con la restaurazione carta straccia. Incattivito dalla circostanza,
Coniglio mannaro decide di mettere in atto il suo ricatto, al quale Cecilia
cede: la farsa del matrimonio, celebrato da un prete sospeso a divinis, si
consuma in casa di Argia. Il piccolo Lazzarino, figlio di Giuseppe e Cecilia,
nasce a bordo del Paneperso nel '55, nello stesso anno in cui il colera si porta
via padron Lazzaro e Dosolina. Cecilia avrà altri sei figli: la trama seguirà
principalmente le storie di due di essi, Princivalle e Berta.
II contrabbando di granaglie, che ormai dilaga, è d'improvviso sanzionato dalle
stesse autorità che lo avevano tollerato, permesso e favorito grazie alla
corruzione: ciò causa la rovina del Vèrgoli, mentre Alpi riesce a riparare in
Austria. Prima di fuggire a sua volta, Vèrgoli, temendo una confisca dei beni,
fa acquistare per suo conto da Coniglio mannaro il podere della Ca' Morgosa.
Anche Coniglio mannaro è arrestato, fra gli schiamazzi di una folla plaudente:
le scene in cui la folla ottusa si abbandona a linciaggi e ondeggiamenti sono un
altro tratto manzoniano che percorre l'intera opera, dall'inizio, con i moti
antigiacobini del 1809, fino agli scioperi agrari del 1872 con i quali si
esaurirà la presenza della storia nel romanzo.
Scagionato senza danni, Coniglio mannaro si impegna in migliorie del podere
acquistato gli restituisce la Ca' Morgosa. Anche la fortuna di Giuseppe, come
quella di Lazzaro, è dunque in origine maledetta; ma a differenza del padre, che
si era pentito ed era ricorso alla misericordia divina, Coniglio mannaro farà
affidamento a un rito satanico per difendere gli averi acquistati col dolo, e
finirà per perdere tutto. Si è giunti nel frattempo all'unità d'Italia, che al
popolo porta altra povertà e altre sofferenze. Lazzarino, per riscattare l'onore
del padre odiato dai compaesani della Guarda e offeso da un reduce garibaldino,
si arruola nelle camicie rosse e muore a Mentana. Il tragico evento acuisce la
rabbia e la cattiveria di Coniglio mannaro, che abbandona Cecilia e dà segni di
pazzia: comincia a essere ossessionato dall'idea che i lavori di bonifica della
riva del Po siano la causa prima dei propri mali e chiede a una fattucchiera un
incantesimo per distruggerli. La bonifica è in effetti rischiosa, e le parole
dell'autore contro lo sfruttamento della natura e l'avidità degli uomini svelano
il suo temperamento antiilluminista, che affiora costantemente nei brani in cui
egli prende le parti della saggezza popolare; al contrario, i personaggi
progressisti come la «libera pensatrice» Lupacchioli, fanatica carducciana, e il
bizzarro scienziato e massone Filopanti, sono rappresentati con tratti
caricaturali.
Coniglio mannaro ottiene quanto sperava: il fiume rompe i nuovi argini
artificiali; ma la sua perfidia è punita, poiché la piena invade il vecchio
podere di Lazzaro e la Ca' Morgosa. Coniglio mannaro è salvato dalle acque
dall'intervento di Cecilia, ma impazzisce definitivamente e viene internato in
manicomio. La seconda parte termina con la miseria che incombe su Cecilia e sui
mulini.
La terza parte, relativa agli anni 1872-1918, si apre con la morte in manicomio
di Coniglio mannaro, cristianamente perdonato da Cecilia e dai figli, e con uno
dei più celebrati excursus storici di Bacchelli, che ha per tema l'esaurirsi del
Risorgimento e l'inconsistenza della sua eredità. Per gli Scacerni continuano
miseria e fame: vengono aiutati dalla solidarietà dei Verginesi, una famiglia di
boari che mantiene vive le antiche tradizioni contadine. Con i Verginesi,
l'azione principale del romanzo si sposta dal fiume alla campagna, con
documentate descrizioni dei costumi agresti, dei lavori, dei canti e delle
tradizioni popolari della campagna ferrarese; ma la vicenda è destinata a
tornare sul fiume. L'odiosa tassa sul macinato e i continui controlli della
finanza convincono i mugnai di fiume, gente solitaria e riottosa a qualsiasi
socialità, a un'alleanza che ha lo scopo di segnalare i controlli della finanza.
Nonostante le precauzioni, Cecilia è sorpresa a macinare di frodo, e rischia la
galera: per salvarla, con un gesto disperato Princivalle dà fuoco al San
Michele, ed è incarcerato per incendio doloso. Iniziano intanto ad attecchire
fra i contadini le prime idee socialiste: le propaga il giovane Galasso
Machiavelli, mentre la parte reazionaria ha a capo il possidente Clapasson.
La sorte si accanisce sugli Scacerni, e Cecilia, ridotta in povertà, è costretta
a mettere a servizio due delle sue tre figlie; Berta è accolta dai Verginesi,
dove si promette al giovane Orbino, da tempo innamorato di lei. I Verginesi sono
affittuari delle terre di Clapasson, ma non accettano, per antico sospetto
contadino verso ogni novità, di attuare i suoi progetti di miglioria del fondo,
e si iscrivono alla lega agraria capeggiata dal cinico Epicarmo Raibolini.
Costui, istigato dalla Lantision, sorella di Orbino, si oppone alle nozze tra
Orbino e Berta, perché gradite a Clapasson che vorrebbe dividere il fondo e
affidarne una parte a una nuova famiglia di coloni. La vicenda del matrimonio
contrastato ribalta il modello manzoniano: le nozze sono qui osteggiate non dai
signori (anzi, Clapasson le gradisce), ma dalla lega e, a malincuore, dalla
famiglia di Orbino: ciò offre il destro all'autore per affermare che il
socialismo rivoluzionario è contrario alle leggi del sangue e al timore di Dio,
i due pilastri di una società contadina vagheggiata con tratti oleografici.
Scoppiano gli scioperi agrari. Gli Scacerni, che macinano per conto di Clapasson
e grazie a un suo finanziamento stanno reimpiantando il mulino bruciato, sono
boicottati come crumiri dal resto della popolazione; Berta è licenziata dai
Verginesi, i quali sono sfrattati dal podere di Clapasson. La lotta si fa dura e
lunga; quando i soldati mietono al posto dei contadini in sciopero, e costoro
manifestano reclamando ingenuamente la proprietà delle terre, il clima diventa
teso, e un accolito della lega, il malvagio Smarazzacucco, per inasprire ancor
più gli animi dà a intendere a Princivalle che Orbino si vanta di aver
disonorato Berta. Princivalle, soggetto ad accessi a ira, picchia Urbino fino a
ucciderlo ma, sentendolo dichiarare il suo amore per Berta mentre muore sotto i
suoi pugni, si accorge, troppo tardi, della verità. Princivalle confessa il
delitto alla madre e alla sorella, e insieme a esse si reca in pietosa
processione a ripescare il corpo di Orbino, che Smarazzacucco ha gettato nel
fiume; mentre attendono che il corpo riemerga, Berta perdona in silenzio
Princivalle, offrendogli un pezzo di pane.
Segue un epilogo, che narra le vicende dei sei figli di Cecilia: Princivalle si
costituisce e affronta con una sorta di egoistico orgoglio il processo e la
condanna a trent'anni di galera. Antonio fa lo scrivano di Clapasson; Giovanni,
dopo la morte della madre, manda avanti, assieme a Berta e Maria, il Paneperso e
il San Michele secondo, gli ultimi mulini di fiume rimasti nella zona. Dosolina,
serva presso un fornaio, ha un figlio da padre ignoto: il piccolo, cui è dato
nome Lazzaro, viene portato al mulino e adottato da Giovanni, che non ha figli.
La storia finisce sul fiume, dove era iniziata. Lazzaro muore nel '18, durante
l'attraversamento del Piave; e con la sua morte si estingue la famiglia degli
Scacerni.
«Dietro il Mulino sta l'esperienza del Bacchelli storico» (Mario Fubini): la
presenza della storia nel romanzo non vive solo dei documentatissimi inserti
autonomi (per i quali l'autore fece ricorso, oltre che a opere storiografiche e
a documenti, alla tradizione orale), ma si estende sulle vicende dei personaggi,
influenza e determina la trama, condiziona l'impianto dell'opera. La forza della
storia e i tentativi a volte eroici degli individui per volgerla a proprio
profitto sono immancabilmente sconfitti dalla potenza della natura. L'autore
mette in grande risalto le virtù (o i vizi) individuali dei personaggi-cardine
del romanzo, ma le loro vicende si risolvono sempre in una serie di sciagure e
fallimenti. I numerosi personaggi minori hanno una debole caratterizzazione:
sono per lo più dei "tipi" per mezzo dei quali l'autore rappresenta intere
classi sociali.
Nell'impianto dell'opera si intrecciano registri stilistici diversi, che
risentono del gusto per la descrizione minuta e per la scrupolosa resa dei
tratti linguistici particolari. La lingua «risponde a tre ordini di tendenze, la
letterarietà, la popolarità, il realismo storico e tecnicistico» (Maurizio
Vitale), che si dispiegano rispettivamente nella parte narrativa e storica, nei
dialoghi che ricreano il parlato e nel massiccio uso dei proverbi che connota
tutta la seconda parte (lo stesso titolo «La miseria viene in barca» è un
proverbio), nella individuazione minuziosa delle coordinate geografiche e
ambientali entro cui la vicenda si svolge.
La scarsa considerazione che, nella storia della critica del Novecento, ha
accompagnato Il mulino del Po è forse dovuta al debito con la lingua della
tradizione letteraria più elevata, o a una visione del mondo troppo poco
progressista, o alla scarsa fortuna novecentesca del genere romanzo storico, o
ancora alla pedissequa fedeltà da parte dell'autore alla matrice stilistica e
strutturale manzoniana.
La fortuna popolare del romanzo è invece testimoniata, oltre che dalle riduzioni
scolastiche, dalle numerose traduzioni e dalle numerosissime ristampe, dalle
trasposizioni cinematografiche e televisive.
Fra le traduzioni ricordiamo: quella inglese (The mill on the Po, 1950); quella
spagnola (El molino del Po, 1951); quella tedesca (Die Múhle am Po, 1952);
quella francese (Moulins du Po, 1949).
Dal terzo libro è stato tratto nel 1948 un film sceneggiato da Federico Fellini
e Tullio Pinelli, con la regia di Alberto Lattuada. Tra gli interpreti: Carla
Del Poggio, Isabella Riva, Dina Sassoli, Jacques Sernas; musiche di Ildebrando
Pizzetti. Di maggiore risonanza i due sceneggiati televisivi del 1963 e del
1971, con la regia di Sandro Bolchi, importanti (soprattutto il primo) per la
storia della televisione italiana. In entrambi i casi la sceneggiatura è di
Sandro Bolchi e dello stesso Bacchelli. Interpreti dell'edizione 1963: Raf
Vallone, Giulia Lazzarini, Gastone Moschin, Vittorio Sanipoli, Tino Carraro,
Corrado Pani, Renzo Montagnani, Ave Ninchi.
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