Luigi
De Bellis

 


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Opere riportate:

     
 

L'oro di Napoli

 
 

 

 
 

 

 
     

 





Giuseppe Marotta



L'ORO DI NAPOLI: Racconti


Il volume raccoglie trentasei racconti già pubblicati come elzeviri sul «Corriere della sera».

«Ho vissuto molti anni lontano dal mio paese d'improvviso Napoli e la mia giovinezza e persone e vicende che la abitarono o che si affacciarono appena si sono messi a chiamarmi». Questo richiamo della memoria avviene attraverso oggetti, profumi, luoghi di Milano, la città dove Marotta era stato costretto a trasferirsi. Così l'autore può ordinare il caotico cumulo dei ricordi, componendo una totalità in cui si rispecchiano, come egli confessa, «Napoli, io, certe pietre, certa gente». L'«oro di Napoli», il prezioso tesoro che lo scrittore scopre tra i calcinacci del rione Sanità, è la pazienza, l'illimitata capacità dei napoletani di accettare la vita. Solo questa dote innata consente a don Ignazio Ziviello - in L'oro di Napoli, il racconto che dà il titolo alla raccolta di adattarsi agevolmente in una buca scavata da una bomba, dopo un bombardamento che gli ha distrutto la casa, ultima sciagura di una vita costellata di lutti e rovine. È la stessa risorsa che induce don Saverio Palumbo, in Le cartoline, a credere che «delle disgrazie non ci si possa disfare». Ma questa «possibilità di rialzarsi dopo ogni caduta» per il napoletano non ha nulla a che fare con la rassegnazione, è piuttosto un istinto, non disgiunto da un forte senso della morte: «Volevo morire quando nacqui, per avvolgimento del cordone ombelicale intorno al collo, mi fu concesso? Volevo morire di emottisi a tredici anni, ne ebbi maniera? Volevo morire cento altre volte. Ora spetta a me decidere: ora sono io che non voglio» (così dice don Alfonso Corrado Mazzullo che parla con la morte in Ninna nanna a una signora).

Una straordinaria dignità accompagna questa virtù partenopea, incarnata in don Saverio Petrillo (Trent'anni diconsi trenta), tormentato per trent'anni da don Carmine Iavarone, un guappo insediatosi in casa sua. La ribellione potrà avvenire soltanto quando a don Carmine viene diagnosticata una malattia cardiaca, ma, appena si scopre che non è vero, il guappo ritornerà con le sue pretese a vessare la famiglia di don Saverio, ora decisa però a resistergli. La pazienza assume aspetti molteplici: si trasforma di volta in volta, a seconda del «basso» in cui viene esercitata. In Pane, con sale e olio, Gli spaghetti, Il ragù, si mescola ai sapori della cucina napoletana, grazie ai quali l'autore può "salvare" frammenti della sua terra che sarebbero destinati all'oblio: «Mangiamo: il fresco e malinconico sapore riaffluisce in noi e veramente ci ricongiunge». Ed ecco allora le mani della nonna intente a «spremere» una bottiglia d'olio che apparentemente è vuota; ecco la madre intenta a stirare in una nuvola di vapore, mentre l'autore-bambino lega indissolubilmente quel momento all'odore penetrante dell'amido. In I parenti ricchi, dopo la morte prematura del padre avvocato, la madre, senza alcun aiuto da parte dei familiari, riesce a sistemarsi come guardarobiera e stiratrice presso un conte obeso ed eccentrico, lo stesso «sterminato individuo» a cui il giovane Marotta ha fatto leggere le sue poesie, ricevendone illusori incoraggiamenti. Le lettere d'amore scritte alla madre a diciotto anni contengono, in Cara mamma, tutta la contrizione di chi si sente diventare «un uomo sbagliato». In quegli anni di miseria il rapporto con la madre è tormentato, ma intensissimo.

A Marotta non rimane che porre tutti i suoi interrogativi (Il «professore») a don Ersilio Miccio, che elargisce saggezza a pagamento: «Ci sono un inferno e un paradiso per voi? Che senso ha questo vivere in concubinaggio con la vita? Rispondete o piango, don Ersilio: rispondete o non vi pago». In Gente nel vicolo si narra della spasmodica ricerca dell'anello di donna Sofia Pugliese (la bella pizzaiola di Vico Lungo Sant'Agostino degli Scalzi), che il marito tradito crede ingenuamente finito in una pizza; in Porta capuana, si narra il dramma della gelosia di don Peppino Cammarota, «pazzariello» del quartiere Vicaria; in I giocatori il vecchio conte Prospero, dopo aver perso al gioco gran parte del capitale, è costretto dalla moglie a sfogare la sua passione giocando a carte solo con il figlio del portinaio, «Antonio Criscuolo di anni sette». In Lo sberleffo viene illustrata l'ampia gamma di possíbilità espressive del «pernacchio» , di cui don Pasquale Esposito è inimitabile virtuoso. Il controverso rapporto dei napoletani con il divino assume carattere sacrilego in Il miracolo, dove don Bernardo Scuteri, per far rendere omaggio a una statuetta di sant'Anna dimenticata da tutti, non esita a organizzare un falso miracolo.

L'opera di Marotta ci restituisce una Napoli in cui il legame tra la città e la gente risulta indissolubile, tanto che, come asserisce l'autore in La morte a Napoli, i napoletani sarebbero disposti ad accettare una vita di sofferenze e miserie «per il piacere di essere esistiti qui e non altrove».

L'oro di Napoli fu il libro con il quale lo scrittore acquistò «credito tra i letterati», come egli stesso ammise. Marotta, che proveniva dal giornalismo, in questi racconti non è un semplice cronista; ogni sua pagina è intrisa di una "memoria" che gli permette, a giudizio di Carlo Bo, «di mettersi sullo stesso piano dei suoi personaggi e diventare uno del coro, di quel coro infinito che egli sapeva distinguere fra il popolo più umile della sua città».

Nel 1954 fu tratto dalla raccolta il film omonimo con la regia di Vittorio De Sica; sceneggiatura dello stesso De Sica, Marotta e Cesare Zavattini; tra gli interpreti principali, Silvana Mangano, Sophia Loren, Totò, De Sica e Eduardo De Filippo.

 

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