Il volume raccoglie trentasei racconti già pubblicati come elzeviri sul
«Corriere della sera».
«Ho vissuto molti anni lontano dal mio paese d'improvviso Napoli e la mia
giovinezza e persone e vicende che la abitarono o che si affacciarono appena si
sono messi a chiamarmi». Questo richiamo della memoria avviene attraverso
oggetti, profumi, luoghi di Milano, la città dove Marotta era stato costretto a
trasferirsi. Così l'autore può ordinare il caotico cumulo dei ricordi,
componendo una totalità in cui si rispecchiano, come egli confessa, «Napoli, io,
certe pietre, certa gente». L'«oro di Napoli», il prezioso tesoro che lo
scrittore scopre tra i calcinacci del rione Sanità, è la pazienza, l'illimitata
capacità dei napoletani di accettare la vita. Solo questa dote innata consente a
don Ignazio Ziviello - in L'oro di Napoli, il racconto che dà il titolo alla
raccolta di adattarsi agevolmente in una buca scavata da una bomba, dopo un
bombardamento che gli ha distrutto la casa, ultima sciagura di una vita
costellata di lutti e rovine. È la stessa risorsa che induce don Saverio Palumbo,
in Le cartoline, a credere che «delle disgrazie non ci si possa disfare». Ma
questa «possibilità di rialzarsi dopo ogni caduta» per il napoletano non ha
nulla a che fare con la rassegnazione, è piuttosto un istinto, non disgiunto da
un forte senso della morte: «Volevo morire quando nacqui, per avvolgimento del
cordone ombelicale intorno al collo, mi fu concesso? Volevo morire di emottisi a
tredici anni, ne ebbi maniera? Volevo morire cento altre volte. Ora spetta a me
decidere: ora sono io che non voglio» (così dice don Alfonso Corrado Mazzullo
che parla con la morte in Ninna nanna a una signora).
Una straordinaria dignità accompagna questa virtù partenopea, incarnata in don
Saverio Petrillo (Trent'anni diconsi trenta), tormentato per trent'anni da don
Carmine Iavarone, un guappo insediatosi in casa sua. La ribellione potrà
avvenire soltanto quando a don Carmine viene diagnosticata una malattia
cardiaca, ma, appena si scopre che non è vero, il guappo ritornerà con le sue
pretese a vessare la famiglia di don Saverio, ora decisa però a resistergli. La
pazienza assume aspetti molteplici: si trasforma di volta in volta, a seconda
del «basso» in cui viene esercitata. In Pane, con sale e olio, Gli spaghetti, Il
ragù, si mescola ai sapori della cucina napoletana, grazie ai quali l'autore può
"salvare" frammenti della sua terra che sarebbero destinati all'oblio:
«Mangiamo: il fresco e malinconico sapore riaffluisce in noi e veramente ci
ricongiunge». Ed ecco allora le mani della nonna intente a «spremere» una
bottiglia d'olio che apparentemente è vuota; ecco la madre intenta a stirare in
una nuvola di vapore, mentre l'autore-bambino lega indissolubilmente quel
momento all'odore penetrante dell'amido. In I parenti ricchi, dopo la morte
prematura del padre avvocato, la madre, senza alcun aiuto da parte dei
familiari, riesce a sistemarsi come guardarobiera e stiratrice presso un conte
obeso ed eccentrico, lo stesso «sterminato individuo» a cui il giovane Marotta
ha fatto leggere le sue poesie, ricevendone illusori incoraggiamenti. Le lettere
d'amore scritte alla madre a diciotto anni contengono, in Cara mamma, tutta la
contrizione di chi si sente diventare «un uomo sbagliato». In quegli anni di
miseria il rapporto con la madre è tormentato, ma intensissimo.
A Marotta non rimane che porre tutti i suoi interrogativi (Il «professore») a
don Ersilio Miccio, che elargisce saggezza a pagamento: «Ci sono un inferno e un
paradiso per voi? Che senso ha questo vivere in concubinaggio con la vita?
Rispondete o piango, don Ersilio: rispondete o non vi pago». In Gente nel vicolo
si narra della spasmodica ricerca dell'anello di donna Sofia Pugliese (la bella
pizzaiola di Vico Lungo Sant'Agostino degli Scalzi), che il marito tradito crede
ingenuamente finito in una pizza; in Porta capuana, si narra il dramma della
gelosia di don Peppino Cammarota, «pazzariello» del quartiere Vicaria; in I
giocatori il vecchio conte Prospero, dopo aver perso al gioco gran parte del
capitale, è costretto dalla moglie a sfogare la sua passione giocando a carte
solo con il figlio del portinaio, «Antonio Criscuolo di anni sette». In Lo
sberleffo viene illustrata l'ampia gamma di possíbilità espressive del «pernacchio»
, di cui don Pasquale Esposito è inimitabile virtuoso. Il controverso rapporto
dei napoletani con il divino assume carattere sacrilego in Il miracolo, dove don
Bernardo Scuteri, per far rendere omaggio a una statuetta di sant'Anna
dimenticata da tutti, non esita a organizzare un falso miracolo.
L'opera di Marotta ci restituisce una Napoli in cui il legame tra la città e la
gente risulta indissolubile, tanto che, come asserisce l'autore in La morte a
Napoli, i napoletani sarebbero disposti ad accettare una vita di sofferenze e
miserie «per il piacere di essere esistiti qui e non altrove».
L'oro di Napoli fu il libro con il quale lo scrittore acquistò «credito tra i
letterati», come egli stesso ammise. Marotta, che proveniva dal giornalismo, in
questi racconti non è un semplice cronista; ogni sua pagina è intrisa di una
"memoria" che gli permette, a giudizio di Carlo Bo, «di mettersi sullo stesso
piano dei suoi personaggi e diventare uno del coro, di quel coro infinito che
egli sapeva distinguere fra il popolo più umile della sua città».
Nel 1954 fu tratto dalla raccolta il film omonimo con la regia di Vittorio De
Sica; sceneggiatura dello stesso De Sica, Marotta e Cesare Zavattini; tra gli
interpreti principali, Silvana Mangano, Sophia Loren, Totò, De Sica e Eduardo De
Filippo.
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