Il titolo pone in risalto il legame parentale che unisce i due protagonisti. Il
rilievo enfatico, attribuito al termine mediante la soppressione dell'articolo,
suggerisce l'indissolubilità e le complesse implicazioni di un vincolo che va
ben oltre le normali consuetudini. Ad essere tematizzata non è però la relazione
dell'uno con l'altro, ma quella dell'uomo con l' "Altro da sé", in tutta la sua
difficoltà di realizzazione. Non a caso l'autore ha insistito in un'intervista
sull'«ostacolo della comunicazione linguistica» e sulla «tensione che
caratterizza, comunque, ogni rapporto umano» come nuclei centrali dell'opera.
Suddivisa in ventuno capitoli brevissimi, la vicenda si consuma in gran parte
nello spazio claustrofobico di un appartamento. È la casatana di due fratelli,
uno sano, l'altro, si lascia supporre, vittima di un disturbo mentale. La
convivenza è tormentata, dal momento che entrambi sono dominati da impulsi
contrastanti: il desiderio di un incontro e l'esigenza di sottrarvisi. Il
resoconto di vittorie precarie e laceranti fallimenti è affidato al fratello
normale e "intelligente". È lui che registra in una prosa precisa e minuziosa
gli avvenimenti della giornata per quanto sia coinvolto, fino alla perdita della
propria identità, nella pratica quotidiana dello scambio degli abiti, dello
sparpagliamento del cibo, del rituale congedo dagli escrementi, della
passeggiata-racconto. Il malato è invece l'obliqua e indecifrabile presenza,
«barlume anelante che batte dietro la porta» e poi scompare; tiranno e insieme
evanescente oppositore, che sa travestirsi e simulare, ma soprattutto deridere
l'io narrante che lo osserva, lo fiuta, gli racconta favole di ogni tipo,
inventa itinerari fantastici - improbabili vie di fuga - per i «Grandi Viaggi»,
lo tormenta, lo interroga e ne è interrogato.
Tuttavia una medesima «ansia di possesso e di scambio» li accomuna e si traduce
materialmente in una specie di nascondino: è il gioco che «bisogna dirlo, si è
ridotto a pochi meccanismi essenziali; il tema è praticamente uno solo: la
ricerca dell'altro». I due contendenti proseguono quindi per anni fino alla
vecchiaia, a inseguirsi nel groviglio delle viuzze cittadine oppure nella vasta
dimora, dove il malato può scomparire per giorni dopo una lite, dandosi magari
appuntamenti a cui è impossibile arrivare. Ogni fuggevole contatto è logorante
come lo è lo spostamento obbligato verso la "diversità" per l'uno, e verso
l'instabile equilibrio che ogni contatto con la sanità determina per l'altro.
L'impedimento alla comprensione reciproca non è solo di ordine fisico, ma
linguistico: i fogli dell'io scrivente hanno riempito la casa ma non lo aiutano
a capire; viceversa "il malato" non può ritrovarsi nella logica perentoria del
fratello che sembra però a poco a poco avvicinarsi all'anarchia selvaggia del
compagno: «Leggo nella sua arte combinatoria (una parola e un'occhiata, una
parola e uno schiocco della lingua contro il palato, un gesto inverso alla
parola che lo accompagna, o un incrocio di due parole opposte) qualche indizio
di senso che viaggia verso di me». Forse una forma larvata d'incontro è già la
continua ricerca di un medium linguistico, come suggerisce la saggezza del folle
(«cercami di nuovo, anche se mi hai trovato») e come deve infine constatare lo
stesso io raziocinante: «Vi sono momenti in cui mi sembra di essere vicino a uno
spiraglio di verità, di cogliere una trasparenza simile ad un significato
intero. Mi concentro, in questi casi, e arresto ogni movimento. Sono come sul
punto di abbattere una cortina alla cui base mi sto scavando, a forza di unghie,
un passaggio». Solo così gli involontari antagonisti potranno davvero trovarsi
«uno di fronte all'altro, a specchiarsi, immobili, finalmente e pacati».
Fratelli costituì un caso editoriale per diversi motivi. Malgrado la
"difficoltà" dell'argomento e della scrittura, esaurì nel giro di sei mesi le
trentamila copie previste per il lancio e, arrivato in cinquina, insidiò la
vittoria di Ferdinando Camon al premio Strega. Recensori eccellenti, da Giorgio
Manganelli a Natalia Ginzburg, a Walter Pedullà, ad Alfredo Giuliani (che lo
definì «un libro di conoscenza e di rara eleganza intellettuale»), fecero
accostamenti lusinghieri, da Kafka a Conrad a Canetti, soffermandosi in
particolar modo su due temi principali della scrittura di Samonà: quello della
malattia mentale e quello del linguaggio. Il primo filone, scorrettamente
indagato anche per questioni ideologiche, venne ben presto sconfessato
dall'autore; per quanto riguarda il secondo, è calzante il parere di Pedullà:
«Fratelli è il territorio conquistato, ma non pacificato, in cui si realizza
l'incrocio linguistico che consente a una scrittura perspicua e insieme
continuamente spostata verso l'attesa di stabilire un dialogo tra due modi di
pensare e di parlare separati dalla storia e dalla cultura». Antonio Porta ha
proposto un parallelo con Beckett, poiché «il narratore incarna, pagina dopo
pagina le contraddizioni della cultura occidentale e ne interroga, con forti
caratteristiche di novità, le tematiche fondamentali: dalla formazione dell'io
alla sua disgregazione». Parimenti - sono ancora parole di Porta - la scrittura
«esce vittoriosa dal conflitto col disordine, pur rimanendo consapevole di non
poter essere risolutiva». Non mancò qualche critica sulla qualità
«eccessivamente letteraria» del romanzo e forse su questa valutazione agì un
pregiudizio indotto dalla professione dell'autore, professore di Letteratura
spagnola nella Facoltà di Lettere della "Sapienza" di Roma.
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