Luigi
De Bellis

 


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Madre e figlia

 
 

 

 
 

 

 
     
     

 





Francesca Sanvitale



MADRE E FIGLIA: Romanzo


E' diviso in quattro capitoli con numerazione romana e spaziature interne che scandiscono tempi e spostamenti del "punto di vista". La narratrice parla in prima persona solo nelle pagine di apertura e chiusura, rivolgendosi direttamente al lettore, chiamato con perentorietà ad "ascoltare"; il resto è affidato a una terza persona, Sonia ("la figlia"), che però incorpora nel suo narrato frammenti di dialogo con Marianna ("la madre"), la quale diviene a sua volta, a tratti, una "prima persona" reinventata dall'immaginazione della figlia. Il complicato scambio delle "parti" non impaccia, peraltro, il dipanarsi di una trama che è costituita dalle storie di due vite incrociate, in un lungo arco di tempo: dai primi del Novecento alla Grande Guerra, dalla seconda guerra mondiale alla Resistenza, dalla "ricostruzione" alla crisi del '68. Gli eventi della Storia con la maiuscola fanno soltanto da sfondo, sfiorano i personaggi e colorano di tinte sfumate i loro tempi interiori. L'alfa e l'omega del racconto è la morte della madre. Quando il libro comincia, Marianna è già morta (se ne descrive il funerale); e sulla malattia che l'ha consumata il libro si chiude. Tra i poli della sua scomparsa si snoda, a vivide scene reali o sognate, la ricostruzione della "vita" che è una "vita a due".

Marianna è l'unica figlia femmina di una nobile famiglia di una cittadina del Nord, nata dopo sette maschi, ed è la prediletta del padre che la protegge e vezzeggia. La sua infanzia e la sua adolescenza trascorrono in un clima da belle époque e da operetta viennese: valzer nel palazzo avito sulle note di Lehàr, pattinaggio sul laghetto ghiacciato, scuola in un collegio di lusso. A vent'anni Marianna si fidanza con il giovane Fritz, anche lui un aristocratico, che però ha una relazione con una donna sposata, la quale si uccide non sopportando di essere abbandonata. Prostrato da questo suicidio, Fritz rompe il fidanzamento e decide di vivere per sempre in solitudine. Le quinte del palcoscenico da operetta si sgretolano e fa irruzione la realtà. Muore il Conte padre, la casa va in rovina e si devono mettere all'asta i mobili. Marianna è sconvolta, ma resta prigioniera del mondo dorato in cui è cresciuta: fugge con un bell'ufficiale, sposato, e dalla loro relazione nasce Sonia. Ben presto la vita della mamma e della figlia diventa una fuga perenne, perché l'ufficiale fa credere che la moglie le insegua con l'intenzione di uccidere la bambina. Si trasferiscono a Milano e, terrorizzate, cambiano continuamente alloggio: un appartamento ammobiliato, un albergo, una pensione, e per Sonia, temporaneamente, un istituto di suore. Rare le visite dell'ufficiale, che nasconde la sua paternità e inventa pretesti per non venire (tra cui la cura maniacale per il cane Woolf). Nel girovagare tra diversi ambienti e persone, Sonia fa le prime scoperte ed esperienze: il circo e i film con Shirley Temple; le affascinanti invenzioni di Cino e Franco; la morte di Dario, il bambino malato dei padroni di casa, cui lei si è affezionata; il suicidio per amore di un'inquilina. Nella pensione, pittoresca e un po' equivoca, conosce l'avvocato siciliano Lo Bue, che le impartisce lezioni di violino; il tenore argentino Huber, che la porta a una recita di Beniamino Gigli in Cavalleria rusticana e Pagliacci; un tal signor Andrea che, con il pretesto di insegnarle il valzer, la stringe con lascivia.

Nel secondo dopoguerra le due donne (Sonia è ormai una ragazza) si trasferiscono a Firenze: ad abitare con loro viene un fratello di Marianna, lo zio Paris, un sessantenne che ha avuto un'esistenza avventurosa, ex combattente e poi prigioniero nella guerra d'Africa, con una moglie emigrata in Inghilterra. Per Sonia lo zio prende il posto del padre, ma l'affetto si intorbida in reciproca attrazione carnale e culmina in un amplesso incestuoso. Lo zio Paris lascia la casa, e Sonia non sa se Marianna si sia accorta di quanto è avvenuto. Comunque, da quel momento decide di prendersi cura soltanto lei della madre e invita il padre a non occuparsi più di loro. Si sposa e va a vivere con il marito a Roma e, per un periodo, anche a Milano, dove rivedrà lo zio Paris, penosamente invecchiato (il turbine del '68 lo indurrà al suicidio). Non sarà un matrimonio felice, quello di Sonia: prima delle nozze, un drammatico aborto "procurato"; poi la nascita di un figlio; la malattia della mamma (un tumore al seno), rimasta a Firenze; una gravidanza interrotta. Si arriva alla separazione, soprattutto perché il marito odia Marianna. Sonia rivede il padre, ricoverato in una casa di riposo e, alla sua morte, scopre la crudele verità: non c'è mai stata una moglie vendicativa, intenzionata a uccidere. «Il padre aveva costruito del mondo un teatro, per lei e la madre (o con la madre), dove tutti recitavano il rifiuto sociale e la crudeltà, dove solo le bestie apparivano protagoniste di una vita insensata»; e, negli ultimi giorni, « si era preso il lusso di fingersi un uomo finito, solo; un vecchio senza affetti».
La vita di Sonia si concentra e si risolve, ora, esclusivamente nell'assistere la madre malata, in una sorta di appropriazione della maternità, in una fusione che fa di lei, insieme, la madre e la figlia: «La teneva fra le braccia, debole e difesa dalla sua debolezza; sarebbe dipesa dal nutrimento, dalla cura e dall'amore che la figlia avrebbe saputo offrirle». La sua morte apre una strada ignota, che Sonia dovrà percorrere da sé, portandosi dentro la storia sua e quella di Marianna.

Giovanni Raboni ha definito Madre e figlia «un romanzo che esibisce con tremante, limpida audacia il segreto delle sue radici psichiche». Per Arianna Guarnieri, il libro può essere considerato «come la storia del rapporto di una madre e di una figlia che fra il "dopo" della morte dell'una e il "prima" della nascita dell'altra si consuma in un "durante" tragico sotto molteplici aspetti, che vede la figlia compiere -in prima e in terza persona, ma sempre senza indulgenze - un bilancio personale pericolosamente compromissorio, tenuto com'è in bilico sullo spartiacque impalpabile che separa l'amore dall'odio, la rabbia dalla dedizione, la dolcezza dalla crudeltà».

 

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