E' diviso in quattro capitoli con numerazione romana e spaziature interne che
scandiscono tempi e spostamenti del "punto di vista". La narratrice parla in
prima persona solo nelle pagine di apertura e chiusura, rivolgendosi
direttamente al lettore, chiamato con perentorietà ad "ascoltare"; il resto è
affidato a una terza persona, Sonia ("la figlia"), che però incorpora nel suo
narrato frammenti di dialogo con Marianna ("la madre"), la quale diviene a sua
volta, a tratti, una "prima persona" reinventata dall'immaginazione della
figlia. Il complicato scambio delle "parti" non impaccia, peraltro, il dipanarsi
di una trama che è costituita dalle storie di due vite incrociate, in un lungo
arco di tempo: dai primi del Novecento alla Grande Guerra, dalla seconda guerra
mondiale alla Resistenza, dalla "ricostruzione" alla crisi del '68. Gli eventi
della Storia con la maiuscola fanno soltanto da sfondo, sfiorano i personaggi e
colorano di tinte sfumate i loro tempi interiori. L'alfa e l'omega del racconto
è la morte della madre. Quando il libro comincia, Marianna è già morta (se ne
descrive il funerale); e sulla malattia che l'ha consumata il libro si chiude.
Tra i poli della sua scomparsa si snoda, a vivide scene reali o sognate, la
ricostruzione della "vita" che è una "vita a due".
Marianna è l'unica figlia femmina di una nobile famiglia di una cittadina del
Nord, nata dopo sette maschi, ed è la prediletta del padre che la protegge e
vezzeggia. La sua infanzia e la sua adolescenza trascorrono in un clima da belle
époque e da operetta viennese: valzer nel palazzo avito sulle note di Lehàr,
pattinaggio sul laghetto ghiacciato, scuola in un collegio di lusso. A vent'anni
Marianna si fidanza con il giovane Fritz, anche lui un aristocratico, che però
ha una relazione con una donna sposata, la quale si uccide non sopportando di
essere abbandonata. Prostrato da questo suicidio, Fritz rompe il fidanzamento e
decide di vivere per sempre in solitudine. Le quinte del palcoscenico da
operetta si sgretolano e fa irruzione la realtà. Muore il Conte padre, la casa
va in rovina e si devono mettere all'asta i mobili. Marianna è sconvolta, ma
resta prigioniera del mondo dorato in cui è cresciuta: fugge con un bell'ufficiale,
sposato, e dalla loro relazione nasce Sonia. Ben presto la vita della mamma e
della figlia diventa una fuga perenne, perché l'ufficiale fa credere che la
moglie le insegua con l'intenzione di uccidere la bambina. Si trasferiscono a
Milano e, terrorizzate, cambiano continuamente alloggio: un appartamento
ammobiliato, un albergo, una pensione, e per Sonia, temporaneamente, un istituto
di suore. Rare le visite dell'ufficiale, che nasconde la sua paternità e inventa
pretesti per non venire (tra cui la cura maniacale per il cane Woolf). Nel
girovagare tra diversi ambienti e persone, Sonia fa le prime scoperte ed
esperienze: il circo e i film con Shirley Temple; le affascinanti invenzioni di
Cino e Franco; la morte di Dario, il bambino malato dei padroni di casa, cui lei
si è affezionata; il suicidio per amore di un'inquilina. Nella pensione,
pittoresca e un po' equivoca, conosce l'avvocato siciliano Lo Bue, che le
impartisce lezioni di violino; il tenore argentino Huber, che la porta a una
recita di Beniamino Gigli in Cavalleria rusticana e Pagliacci; un tal signor
Andrea che, con il pretesto di insegnarle il valzer, la stringe con lascivia.
Nel secondo dopoguerra le due donne (Sonia è ormai una ragazza) si trasferiscono
a Firenze: ad abitare con loro viene un fratello di Marianna, lo zio Paris, un
sessantenne che ha avuto un'esistenza avventurosa, ex combattente e poi
prigioniero nella guerra d'Africa, con una moglie emigrata in Inghilterra. Per
Sonia lo zio prende il posto del padre, ma l'affetto si intorbida in reciproca
attrazione carnale e culmina in un amplesso incestuoso. Lo zio Paris lascia la
casa, e Sonia non sa se Marianna si sia accorta di quanto è avvenuto. Comunque,
da quel momento decide di prendersi cura soltanto lei della madre e invita il
padre a non occuparsi più di loro. Si sposa e va a vivere con il marito a Roma
e, per un periodo, anche a Milano, dove rivedrà lo zio Paris, penosamente
invecchiato (il turbine del '68 lo indurrà al suicidio). Non sarà un matrimonio
felice, quello di Sonia: prima delle nozze, un drammatico aborto "procurato";
poi la nascita di un figlio; la malattia della mamma (un tumore al seno),
rimasta a Firenze; una gravidanza interrotta. Si arriva alla separazione,
soprattutto perché il marito odia Marianna. Sonia rivede il padre, ricoverato in
una casa di riposo e, alla sua morte, scopre la crudele verità: non c'è mai
stata una moglie vendicativa, intenzionata a uccidere. «Il padre aveva costruito
del mondo un teatro, per lei e la madre (o con la madre), dove tutti recitavano
il rifiuto sociale e la crudeltà, dove solo le bestie apparivano protagoniste di
una vita insensata»; e, negli ultimi giorni, « si era preso il lusso di fingersi
un uomo finito, solo; un vecchio senza affetti».
La vita di Sonia si concentra e si risolve, ora, esclusivamente nell'assistere
la madre malata, in una sorta di appropriazione della maternità, in una fusione
che fa di lei, insieme, la madre e la figlia: «La teneva fra le braccia, debole
e difesa dalla sua debolezza; sarebbe dipesa dal nutrimento, dalla cura e
dall'amore che la figlia avrebbe saputo offrirle». La sua morte apre una strada
ignota, che Sonia dovrà percorrere da sé, portandosi dentro la storia sua e
quella di Marianna.
Giovanni Raboni ha definito Madre e figlia «un romanzo che esibisce con
tremante, limpida audacia il segreto delle sue radici psichiche». Per Arianna
Guarnieri, il libro può essere considerato «come la storia del rapporto di una
madre e di una figlia che fra il "dopo" della morte dell'una e il "prima" della
nascita dell'altra si consuma in un "durante" tragico sotto molteplici aspetti,
che vede la figlia compiere -in prima e in terza persona, ma sempre senza
indulgenze - un bilancio personale pericolosamente compromissorio, tenuto com'è
in bilico sullo spartiacque impalpabile che separa l'amore dall'odio, la rabbia
dalla dedizione, la dolcezza dalla crudeltà».
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