Il romanzo è il primo della serie che ha per protagonista Duca Lamberti,
investigatore dilettante, figlio di un funzionario della Questura e con doti
poliziesche innate, divenuto medico ma subito radiato dall'ordine e condannato a
tre anni di carcere per aver praticato l'eutanasia. Da quell'evento tragico che
ha sconvolto la sua famiglia (il padre è morto di crepacuore, la sorella è stata
sedotta e abbandonata con un figlio), Lamberti ha avuto in dote una persistente
insonnia e un irriducibile cinismo. Il romanzo si apre con un breve «Prologo per
una commessa», il crudo resoconto del rinvenimento del cadavere di una ragazza
nei prati di Metanopoli, alla periferia di Milano. Lamberti, che è appena uscito
di galera, ha trovato, con l'aiuto di Carrua, un collega del padre, uno strano
impiego: è ingaggiato dall'ingegner Auseri, ricchissimo industriale, per guarire
il figlio ventenne, Davide, dall'alcolismo. Il giorno stesso in cui viene
affidato a Lamberti, Davide, con estrema freddezza, tenta il suicidio. Salvato
da Lamberti, egli confessa i motivi del suo gesto: ha ucciso una donna. Si
tratta di Alberta Radelli, la commessa ritrovata nel prato di Metanopoli, la cui
morte è stata archiviata dalla polizia come suicidio. In realtà Lamberti capisce
che non è stato Davide - che pure prova il senso di colpa di un vero assassino -
a uccidere Alberta. La ragazza, che usava prostituirsi privatamente, senza
protettori, era stata con lui il giorno stesso della sua morte; era stato Davide
l'ultima persona a vederla viva, e viva l'aveva scaricata nei pressi del prato
dove sarebbe stata rinvenuta, contro la volontà della donna che lo aveva pregato
di tenerla con sé una settimana, altrimenti, diceva, sarebbe stata uccisa.
Finito tra i singhiozzi il suo racconto, Davide mostra a Lamberti uno strano
oggetto che la ragazza ha lasciato nella sua macchina: è un caricatore Minox per
macchine fotografiche miniaturizzate. Il rullino, opera di un fotografo
professionista, contiene foto oscene di due ragazze: una delle due è la Radelli.
Lamberti passa le foto a Carrua e chiede il suo aiuto per proseguire le
indagini. Dall'agenda di Alberta egli risale a Livia Ussaro, una studiosa di
sociologia che aveva in comune con l'uccisa certi «esperimenti» di prostituzione
privata. Livia fornisce alcuni importanti indizi: uno studio di fotografia
industriale (che si scoprirà abbandonato) e il nome dell'altra ragazza delle
foto, Maurilia, anche lei morta in circostanze sospette. Lamberti e Carrua
capiscono di trovarsi di fronte a un caso di tratta delle bianche, gestito da
un'organizzazione potente e senza scrupoli. Per poterla incastrare serve una
ragazza che non desti sospetti e faccia da esca. Lamberti propone il ruolo a
Livia, che si presta al rischiosissimo gioco con il proposito di provare una
teoria secondo cui non può esistere prostituzione privata: la donna è una merce
troppo richiesta e suscita troppi interessi perché non le si crei attorno una
struttura di sfruttamento. Accetta anche per ragioni ideali: vorrebbe eliminare
lo sfruttamento, ma, ben sapendo che è impossibile, desidera almeno incastrare
uno sfruttatore. Il compito di Livia è trovare l'uomo che fa da tramite tra le
ragazze e l'organizzazione: a tale scopo deve scendere in strada e adescare.
Dopo alcuni incontri a vuoto, Livia incontra per puro caso l'uomo giusto, che la
invita a farsi fotografare e la paga, profumatamente e in anticipo, per
presentarsi in uno studio di fotografia pubblicitaria. Livia vi si reca, seguita
da Lamberti e Davide. Mentre costoro attendono gli eventi, vedono giungere
un'auto da cui Davide ricorda di essere stato seguito il giorno dell'uccisione
di Alberta. Ne scende un giovane che sale allo studio. Nel frattempo, il
fotografo ha iniziato il servizio dedicato a Livia, ma ha avuto qualche
sospetto: ha infatti notato che lo sguardo di Livia è caduto su una scacchiera
con una mossa rimasta aperta, la stessa che, un anno prima, era servita ad
Alberta per distrarlo e impadronirsi del rullino appena impresso. Il fotografo
mette a parte delle sue sensazioni il giovane appena salito: Livia, scoperta,
tenta di negare la sua amicizia con Alberta, ma viene torturata e sfregiata.
Finita l'opera, l'aguzzino e il fotografo cercano di allontanarsi, ma trovano
all'uscita Lamberti e Davide che, dopo un breve inseguimento, li catturano.
Lamberti riesce, con metodi spicci, a farsi rivelare dai due l'indirizzo del
capo del ramo milanese dell'organizzazione, presso cui si reca e da cui ottiene
- con gli stessi metodi che Carrua non avrebbe approvato - altri nomi e
indirizzi. La battaglia con gli sfruttatori può dirsi vinta: ma Livia, che
quella battaglia ha intrapreso con motivazioni più alte, ne è la vittima.
Piuttosto che al giallo - di cui mancano la gradualità delle "scoperte" e
l'intreccio degli elementi che convergono all'agnizione finale - Venere privata
va accostata, per l'atmosfera di rassegnato fatalismo e per la crudezza di
alcune scene, all'hard-boiled di cui Scerbanenco è stato il riconosciuto
caposcuola italiano: una produzione da grandi tirature che ha dato vita al
filone cinematografico del "poliziottesco", di scarso valore artistico ma di
buon successo negli anni Sessanta e Settanta. La scrittura rapida e accattivante
ha rapidamente incontrato i gusti del grande pubblico.
Dal romanzo è stato tratto nel 1970 un film di coproduzione italo-francese: Il
caso Venere privata [Cran d'arrét]; regia di Yves Boisset; sceneggiatura di
Antoine Blondin e Yves Boisset; interpreti Bruno Cremer (Duca), Renaud Verley
(Davide), Marianne Comtell (Livia), Raffaella Carrà (Alberta Radelli), Mario
Adorf (Carrua).
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