La tendenza realistica in campo letterario ebbe le sue prime manifestazioni in Francia, ove assunse il nome di “naturalismo”.
Ne fu precursore il Balzac e primi rappresentanti Gustavo Flaubert, autore di opere famose, quali “La Signora Bovary”, “Salammbô” e “L’educazione sentimentale”, e Guido Maupassant, autore di celebri novelle e romanzi, come “Palla di sego”, “Una vita”, e “Forte come la morte”.
Ma la voce più autorevole del naturalismo francese fu Emilio Zola al quale si deve la definizione di “romanzo sperimentale”, cioè la teoria secondo la quale lo scrittore di romanzi deve descrivere la realtà quotidiana anche, anzi principalmente, nei suoi aspetti più squallidi e deteriori, deve affondare il proprio “bisturi” nelle viscere della società per metterne a nudo le passioni e le angosce, i vizi e le turpitudini, deve “fotografare” la realtà per rappresentarla e farla conoscere nuda e cruda come è, senza alcuna ingerenza di natura sentimentale e personale. Questa teoria, che fu poi detta dell’ “impersonalità dell’arte”, fu variamente interpretata dai vari esponenti del realismo europeo, che in linea di massima l’accettarono anche se non sempre l’applicarono rigidamente, come invece fece lo Zola. Questi, in ben venti romanzi (fra cui “Teresa Raquin”, “Lo scannatoio”, “Il ventre di Parigi”, “La terra”, “Nanà”, ecc.), descrisse la “commedia umana del Secondo Impero” francese.
I naturalisti francesi rivolsero di preferenza la loro attenzione ai bassifondi parigini, agli ambienti più malsani della metropoli, ai vizi più degradanti dell’umanità, ai personaggi più squallidi dell’emarginazione sociale. Loro intendimento era di portare alla luce quegli aspetti della vita sociale che generalmente si tende a nascondere ed ignorare, ma che esistono ed hanno una spiegazione e non è giusto considerare un problema che non riguardi l'intera società. La loro fu dunque un’opera di denuncia sociale, cui sovente sacrificarono l’orgoglio dell’artista per non tradire il linguaggio degli ambienti
descritti.
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