La
storiografia
Nel
clima del primo Romanticismo si svolse
in Italia l’attività di alcuni
storici, che con le loro opere
mostrarono maggiore concretezza dei
letterati nel capire i problemi
emergenti dell’unità nazionale,
dell’indipendenza dallo straniero,
dell’autogoverno del popolo.
Carlo
Botta, oltre a continuare la “Storia
d'Italia” del Guicciardini
fino al 1814, scrisse la “Storia
della guerra d'indipendenza degli Stati
Uniti d'America” con l'intento
di dare un esempio di come si conducono
le rivoluzioni per ottenere la libertà
e di screditare il regime napoleonico.
Pietro
Colletta, napoletano, scrisse in esilio
la “Storia
del reame di Napoli dal 1743 sino al
1825”, mettendo in luce la
crudeltà e l’incapacità dei Borboni.
Il
più grande di tutti fu Vincenzo Cuoco
che, nel “Saggio
storico sulla rivoluzione napoletana del
1799” afferma che ogni popolo ha
una sua precisa identità, frutto di una
secolare e particolare storia propria, e
che perciò le rivoluzioni liberali
possono riuscire solo se traggono
ispirazione da motivi che affondano le
radici nella realtà sociale di ciascun
popolo: la rivoluzione napoletana è
fallita per la mancata partecipazione
popolare e questa si è verificata
perché i princìpi propagandati erano
stati desunti dalla Rivoluzione Francese
ed erano perciò sentiti come estranei
dai Napoletani.
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