La
presente Biografia di Giuseppe Parini è stata scritta dal prof. Giiuseppe
Bonghi ed è coperta da diritti d'autore. Può
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Nasce a Bosisio, in Brianza, sul lago di Pusiano in provincia di Como,
ultimo di dieci figli, nel 1729, da Francesco Maria Parino e Angela Maria
Carpani (o Carpana) e muore a Milano nel 1799: una vita relativamente
lunga, dunque, alquanto operosa, condotta all'insegna del rigore morale,
che investe una concezione dell'arte altrettanto severa, in un'epoca di
grandi trasformazioni politiche e di straordinaria crescita sul piano
della consapevolezza dei diritti umani: l'età dell'Illuminismo, della
rivoluzione francese, dell'epopea napoleonica in Italia. Giuseppe Parini
ha rappresentato, soprattutto per la generazione successiva alla sua
(quella di Manzoni e di Foscolo), un esempio di coerenza, amore sincero
per la virtù, fede nell'uomo e nei princìpi di onestà e lealtà.
Soprattutto è stato quasi il simbolo dell'incarnazione del concetto di
arte per la vita, ossia della poesia come dono dell'artista all'umanità,
per la sua crescita, per la sua educazione morale, per il progresso civile
e politico.
Proviene da una modesta e
numerosa famiglia brianzola, il padre era mediatore o sensale di seta. Non
si hanno notizie sicure sulla sua infanzia, ma sembra probabile che la sua
prima istruzione sia stata affidata a due parroci del paese natale: Carlo
Giuseppe Cabiati, morto nel 1736, e Carlo Giuseppe Gilardi, suo
successore.
Nel 1738, per proseguire
gli studi, viene inviato a Milano presso la prozia Angela Maria Parino
vedova Lattuada e senza figli, che, morendo nel 1745 all'età di
novantanni, gli lascia una piccola rendita, secondo un testamento che
aveva firmato nel 1739: un materasso a scelta e la costituzione del
beneficio ecclesiastico di una messa giornaliera, che gli avrebbe
consentito di dedicarsi agli amatissimi studi letterari, purché prendesse
gli ordini sacerdotali. Nello stesso anno viene raggiunto in Milano dai
genitori, rimasti oramai privi degli altri nove figli.
Al dolore per i lutti si
accompagnano però gli stenti di una vita quotidiana, operosa ma quasi
priva di mezzi di sostentamento, sopportati però con animo fermo, come ci
testimonia lo stesso Parini con accenni sparsi nelle poesie giovanili e in
una celebre polemica che nel 1760 ha avuto con un suo maestro, il Padre
Onofrio Branda, accusato di intendere la continuità della tradizione
linguistica italiana in modo pedantesco e di farsi difensore di una lingua
toscana priva di legami con la realtà quotidiana.. Superati gli esami di
ammissione nel settembre 1740, frequenta le scuole dei Padri Barnabiti di
Sant'Alessandro (già scuole Arcimbolde) fino al 1752, frequentando le
varie classi di grammatica, umanità, logica, teologia speculativa e
morale; ma nei primi anni il suo rendimento scolastico è piuttosto
modesto (tanto da ripetere addirittura alcune classi) sia per la salute
malferma che ne ha attardato lo sviluppo fisico, sia per una istruzione
elementare compiuta in fretta e con mezzi fortunosi, sia infine
l'istintiva antipatia per i mediocri e antiquati metodi pedagogici in uso
nelle scuole ecclesiastiche del tempo. Ma a poco a poco comincia a
distinguersi e a manifestare, in mezzo a compagni nobili e ricchi, fra i
quali sentiva forte la sua condizione di povertà, pur sopportata con una
grande coscienza di sé, una certa vivacità di temperamento e uno
spiccato gusto per il bello, che gli permettono di rivelare una forte
propensione per la poesia e fors'anche per la professione di educatore e
di formarsi un carattere indipendente e autonomo.
Nel 1752 termina gli
studi e nello stesso anno pubblica la sua prima raccolta di poesie: Alcune
poesie di Ripano Eupilino (che recavano il nome dello stampatore Tomson
con pubblicazione a Londra nel MDCCLII, in realtà il volumetto fu
pubblicato a Milano dallo stampatore Bianchi); la raccolta, 94
componimenti tra poesie serie e piacevoli, sonetti petrarcheschi d'amore e
religiosi, sonetti berneschi, capitoli ed egloghe piscatorie, è un
documento abbastanza importante della prima educazione letteraria del
poeta, che in questa prima prova si ispira allo stile dell'Arcadia e ai
poeti cinquecenteschi. Questa prima opera gli permette di farsi conoscere
presso gli intellettuali milanesi, tanto che l'anno dopo, presentato da
Gian Carlo Passeroni, viene accolto in seno all'Accademia dei Trasformati,
di origine cinquecentesca e rifondata nel 1743 dal Conte Giuseppe Maria
Imbonati (l'Accademia durerà fino al 1768), col programma di una moderata
apertura alla problematica illuministica insieme a una certa attenzione ai
problemi della società, e della plebe in particolare, oltre che di una
letteratura più vicina alla realtà quotidiana. Proprio in seno
all'Accademia dei Trasformati partecipa all'entusiasmo che in vari campi
agitavano idee di rinnovamento, come Verri e Beccaria. Da notare, infine,
che Ripano è l'anagramma di Parini ed "Eupilino" si riferisce
al fatto che nei pressi di Bosisio si trovava il lago di Pusiano, che in
latino veniva denominato Eupilis, ora prosciugato.
Nel 1754 Parini viene
ordinato sacerdote. Non bastandogli la modesta rendita della prozia,
arrotondava i suoi magri introiti insegnando ai rampolli dei nobili
milanesi: gli viene offerto in quello stesso anno l'incarico di precettore
dal Duca Gabrio Serbelloni, trovandovi la protezione della duchessa
Vittoria. Mantiene l'incarico fino al 1762, quando se ne allontana
volontariamente in seguito a un contrasto con la stessa Duchessa, che
aveva schiaffeggiato, in un impeto d'ira, la giovane figlia del maestro di
musica Sammartino; l'episodio, drammatizzato da molti biografi, non è
stato che un banale atto abbastanza comune in quei tempi, di scarsa
importanza, tanto che Parini si riconcilia abbastanza presto con la
Duchessa, alla quale continuerà ad essere legato ancora per molti anni da
cordiale amicizia e alla quale dedicherà un'ode rimasta incompiuta:
Spesso de' malinconici sapienti. Casa Serbelloni diventa quasi un
osservatorio particolare, dall'interno del quale analizzare vizi e
debolezze dell'aristocrazia milanese, oltre che il luogo in cui avrebbe
conosciuto importanti intellettuali del tempo, come Pietro Verri e il
medico Cicognini: può osservare la vita scioperata e futile dei nobili e
sentirne da vicino il contrasto coi suoi nobili ideali, che lo portano a
rivedere il presente e la tradizione, a restituire all'uomo la coscienza
dei suoi diritti, a combattere l'irragionevole dispotismo del secolo. Casa
Serbelloni lo mette direttamente a contatto con la vita aristocratica del
tempo, con le sale fastose dei palazzi, i graziosi salotti delle
conversazioni intime, i lieti svaghi delle villeggiature, i costumi
preziosi e raffinati, la bellezza suggestiva delle donne e il perfetto
cerimoniale dei cavalieri (Caretti, pag. 106).
Sono anni di grande
fervore, in cui alterna composizioni poetiche a saggi su argomenti
d'attualità, come il Dialogo sopra la nobiltà (1757) in cui afferma
l'eguaglianza fra gli uomini e denuncia gli abusi della nobiltà.
Troviamo, in nuce, gli ideali che sostengono Il giorno; nel Discorso sopra
la poesia (1761) chiarisce il suo concetto di arte come valore educativo,
affermando che la poesia deve indurre al bene e alla virtù, senza
tuttavia dimenticare le esigenze formali di armonia ed equilibrio. Negli
stessi anni viene scrivendo l'opera sua più importante, Il Giorno, che
nel corso degli anni, fino alla morte, subirà cambiamenti radicali sia
nella struttura generale che sul piano espressivo e contenutistico.
Nel 1757 comincia a
scrivere Le Odi: fino al 1795 ne scriverà in tutto diciannove. Le odi
elaborano ideali propri dell'illuminismo e guardano alla società con
accenti modernissimi. La vita rustica contrappone l'operosità della vita
in campagna all'oziosa corruzione in cui cadono moltissimi tra coloro che
vivono in città. La salubrità dell'aria (1759) interviene in quello che
era un dibattito assai acceso, in quel tempo, e che riguardava l'impianto
di colture quali il riso. Risalgono al 1765 L'innesto del vaiuolo, in cui
sostiene l'utilità della vaccinazione, e Il bisogno in cui sostiene
l'inutilità della tortura e dimostra che il crimine sempre legato alla
povertà. La musica (1769) è un'accusa contro l'evirazione del fanciulli
per farli diventare buoni cantanti dalla voce bianca. L'impostura (1761) e
L'educazione (1764) mostrano l'attenzione del poeta ai problemi pedagogici
connessi con la sua attività di insegnante e precettore. Il pericolo
(1787) e Il dono (1790) rivelano un Parini sensibile al fascino femminile.
Il messaggio (1793), invece, riflette una vena nostalgica: il poeta, ormai
vecchio, riafferma la superiorità della vita e dell'amore sulla morte.
Alla Musa (1795) celebra la poesia nella sua funzione consolatrice ed
educatrice dell'uomo ai valori immortali. Ma il testamento spirituale del
Parini è contenuto ne La caduta (1785), in cui illustra i "buoni
consigli" di un passante che lo aiuta a rialzarsi dopo una caduta sul
marciapiede sdrucciolevole. Parini ribatte che non utilizzerà mai la sua
poesia per procacciarsi beni materiali e che non si umilier mai a farsi
intrattenitore dei potenti per avere del denaro.
Lasciata casa Serbelloni,
trova lavoro presso il conte Imbonati nel 1763, diventando precettore del
figlio Carlo, per il cui compleanno nel 1764 scriverà l'ode L'educazione.
È lo stesso nobile e ricco Carlo Imbonati che nel 1792 conoscerà Giulia
Beccaria, madre di Alessandro Manzoni, colla quale, dopo un breve
soggiorno in Inghilterra, si stabilirà a Parigi, dove il 15 marzo 1805
morirà improvvisamente lasciandola erede di una cospicua fortuna.
Nel 1763 Parini pubblica
Il Mattino e nel 1765 Il Mezzogiorno, le prime due parti del poemetto
satirico Il Giorno, che potremmo definire un "poema satirico" in
endecasillabi; alla luce dei suoi ideali egualitari, Giuseppe Parini si
indigna dell'ozio e del degrado morale della nobiltà che, invece,
dovrebbe dare esempio di integrità di costumi e solerzia. In seguito
verranno composte altre due parti, Il Vespro e La Notte, che rimane
incompiuta, edite postume nel 1801. Queste ultime due parti del poema, però,
sottolineano la perplessità e la delusione dell'autore di fronte agli
eccessi della rivoluzione francese.
Nel Giorno la voce
narrante è costituita da un solerte precettore che insegna al suo "giovin
signore" a lui affidato le regole dello stare al mondo. È evidente
l'intento satirico dell'autore che, in taluni punti, disapprova
palesemente le norme che regolano la vita oziosa e frivola dei nobili,
quelle stesse norme che, con grande serietà, finge di inculcare al suo
pupillo.
Il Mattino si apre con il
risveglio del giovane signore. Il sole è già alto e il lavoro di
artigiani e contadini è già iniziato da tempo, ma per il nobile allievo
sembra che sia appena spuntata l'alba: naturale, visto che al cantar del
gallo andava a dormire! Il resto della mattinata viene trascorso in una
girandola di impegni: la colazione, la lezione di ballo e canto, di
violino, di francese, che comunque si riducono a cicaleccio mondano. Segue
una raffinata toeletta mattutina; ma il pensiero del nobile è tutto per
la dama di cui è "innamorato". Così il servo deve correre a
informarsi se la "bella" ha dormito bene e se il marito non l'ha
importunata. In attesa del suo ritorno, il giovin signore si abbandona
alle mani del parrucchiere oppure posa per un ritratto, senza rinunciare a
criticare con arroganza l'opera dell'artista. Ora il nobile allievo è
pronto per uscire. Ma c'è ancora un rito da compiere: la distribuzione
dei suoi oggetti personali nelle tasche dell'abito nuovo. La lente, il
cannocchiale, una boccetta di profumo, un sedativo, un astuccio da
toilette... tutto trova il suo posto, ma manca il tocco finale: la cipria:
un vero e proprio sacro rito. Altre mattine, poi, ci sarà quello della
rasatura, altre ancora il bagno, una sorta di lavacro universale!
E' l'ora del pranzo: il
signore va a casa della "sua" dama. Ne Il meriggio Parini
descrive il pranzo e la conversazione che si intreccia tra una portata e
l'altra. Intorno alla tavola spiccano due "personaggi": il
buongustaio, che giudica con competenza le vivande, e il vegetariano, che
rammenta la crudeltà dei macellai. A questo punto la dama asciuga una
lacrima, al ricordo della sua cagnolina che, giorni addietro, era stata
colpita con un calcio dal sacrilego piede di un servo. E, anche se la
cagnetta ha ottenuto la sua "giusta vendetta" perché lo
screanzato servitore viene subito licenziato con la sua famiglia, il
dispiacere e l'onta infiammano ancora il viso della signora, che ama gli
animali quanto il vegetariano.
Dopo pranzo si parla di
filosofia e di scienza: i convitati citano i grandi intellettuali francesi
che vanno di moda, come Voltaire e Rousseau, ma recitano a memoria anche
versi di Orazio e Petronio che piacciono tanto alle signore. Passati in
salotto, ecco il rito del caffè e il gioco del trich-trach. Il Vespro
descrive le visite di amicizia e di cortesia del giovin signore. Il primo
della lista è un amico malato cui, prudentemente, lascia solo il
biglietto da visita. Invece la dama vola dall'amica del cuore per
conoscere i motivi dello svenimento del giorno prima ed è tutto un
intrecciarsi di piccanti pettegolezzi, scanditi dall'agitarsi dei
ventagli. La notte si apre con la contrapposizione tra la notte dei tempi
antichi e quella dei tempi moderni: ora, dice il Parini, le strade sono
piene di carrozze, di uomini e donne agghindati che vanno nelle case
illuminate a giorno, per invischiarsi nel gioco o farsi inebriare dalle
danze e, naturalmente, esibire le proprie elegantissime cose: tabacchiere
d'oro, anelli ecc. Nei salotti, gruppi di uomini chiacchierano, altri
giocano, altri intrecciano storie d'amore, mentre alcune signore posano a
fare le intellettuali. È un maestoso spettacolo di vanità delle
"dive" e degli "eroi".
La sua crescente celebrità
nel mondo delle lettere e della cultura milanese, oltre che nella società
del tempo, spinge il conte Firmian ad affidargli innanzitutto la direzione
della Gazzetta di Milano (1768) e, l'anno dopo, la cattedra di eloquenza
alle Scuole Palatine, (riqualificate come Ginnasio Brera nel 1773, anno in
cui, soppressa la Compagnia di Gesù, il Parini comincia a tenere la
cattedra di "Princìpi generali di Belle Lettere applicate alla Belle
Arti"). Il nuovo incarico gli fa cessare il lavoro di precettore in
casa Imbonati. Da ultimo gli viene affidato l'incarico di Sovraintendente
delle scuole pubbliche della città. Il frutto di questa attività è il
trattato Dei principi fondamentali e generali delle belle lettere
applicati alle belle arti, una raccolta delle sue lezioni scritte nel
1773/4, uscirà postumo.
"Durante i molti
anni d'insegnamento, al quale sempre attese con grande fervore e
illuminata intelligenza, suscitando ammirazione e affetto tra i discepoli,
il Parini venne stendendo vari scritti in prosa che videro la luce
soltanto dopo la sua morte, nella edizione delle Opere curata dal Reina.
Questi scritti… ci testimoniano nel Parini un assiduo e coerente
sviluppo della sua poetica classicistica, non aliena dalle innovazioni, ma
sempre intesa ad armonizzare le moderne esigenze, alle quali il poeta non
chiudeva l'animo suo, con il rispetto, che egli sentiva vivissimo, della
tradizione letteraria e linguistica. Non c'è nulla dunque, in questi
scritti pariniani di teoria e di ammaestramento, proprio nulla di
impetuosamente rivoluzionario e spregiudicato." (Lanfranco Caretti,
introduzione a Parini, Le odi, Einaudi,
Torino 1977).
Nel 1777 viene accolto
nell'Arcadia di Roma con il nome pastorale di Darisbo
Elidonio e nello stesso anno diventa membro della Società
patriottica di Milano.
Prosegue intanto la sua
attività poetica, che culmina nel 1791 con la pubblicazione delle Odi, la
cui composizione era cominciata fin dal 1756, curata dal discepolo
Agostino Gambarelli, un'edizione comunque poco gradita al poeta che ne
curerà una direttamente, con l'aggiunta di quelle composte negli ultimi
anni, ma che non vedrà mai la luce. Continua intanto l'elaborazione de Il
Giorno, con le due ultime parti, il Vespro (tra il 1767 e il 1780), e la
Notte (tra il 1780 e il 1791). L'edizione definitiva del poema non vedrà
mai la luce, e le pubblicazioni in nostro possesso sono state assemblate
dai critici in base alle carte del poeta in dotazione presso la Biblioteca
Ambrosiana.
Sempre nel 1791, oltre
all'insegnamento riceve l'incarico di sovrintendente delle Scuole
pubbliche, con un compenso finalmente dignitoso che gli permette di uscire
da quelle ristrettezze economiche che lo avevano sempre angustiato.
Nel 1796 Napoleone,
vittorioso contro gli Austriaci, entra in Milano e fonda la Repubblica
Cisalpina dopo aver ceduto la Repubblica della Serenissima all'Austria con
trattato di Campoformio; viene nominato membro della municipalità
democratica e fa parte della commissione che si occupa dell'istruzione e
della cultura, assumendo posizioni moderate e critiche e rivendicando il
diritto della Lombardia all'autonomia amministrativa; la sua posizione
umana e politica lo porteranno però in breve alla rimozione dal suo
incarico perché risultava troppo evidente il suo dissenso nei confronti
degli eccessi dei dominatori e di quanti, per opportunismo, li
assecondavano.
Nell'aprile 1799 gli
Austriaci rientrano in Milano, ma non subisce ritorsioni. Muore il 15
agosto 1799, circondato da amici e discepoli, due ore dopo aver dettato il
sonetto Predâro i Filistei l'arca di Dio, nel quale, dall'alto della sua
riconosciuta umanità e stimata saggezza, saluta sì i nuovi vincitori e
padroni, ma alle parole di lode fa seguire il monito ad amministrare
Milano con giustizia. Viene seppellito nel cimitero comune di Porta
Comasina, oggi Porta Garibaldi, lasciando una traccia profonda nella
storia della poesia italiana.
http://www.fausernet.novara.it/fauser/biblio/index080.htm