Personaggio intermedio tra "il gruppo ideale del bene" e quello
del male, Agnese è, secondo il De Sanctis - che ne ha tracciato un
ritratto al quale si sono variamente ispirati molti critici
successivi- "una Lucia in reminiscenza [nel ricordo], cos’ buona e
credente, così educata e fazionata /formata], ma divenuta nel corso
degli anni, tra gli accidenti della vita e in quell’atmosfera
paesana, un po’ come tutte le altre; larga di maniche, con non
troppi scrupoli, con la sua malizia, col suo saper fare, massaia,
ciarlona, semplice e vera nella sua volgarità, con tutti gli abiti
[abitudini] buoni e cattivi contratti nella bassa sfera in cui è
nata, la è una brava donna di villaggio". Approfondendo i tratti del
personaggio, Luigi Russo nel commento al romanzo (1935) ne
sottolineava la "bontà popolaresca", la "sollecitudine materna", il
"temperamento affettuosamente petulante" e una religiosità che
"sebbene assai grossa [ ] ha qualcosa di più risoluto della trepida
sospensione di Lucia", a correzione dell’"abuso della fiducia
contemplativa" della figlia. Nei suoi discorsi ·"popolarescamente
pletorici" si può addirittura rilevare una singolare anticipazione
del "verismo linguistico" come testimoniano la sintassi popolaresca
ed il linguaggio "schietto, impudente, esuberante, superfluo"Un
garbato ritratto di Agnese "vedova scaltra" offre, nel saggio
L’umano e il divino nei "Promessi sposi>> (1932), Antonio Belloni
(1868-1934), autore anche di un commento ai Promessi sposi (1923)
Agnese "vedova scaltra"
Se Perpetua era la serva padrona, Agnese era la vedova scaltra, i
pareri di tutt’e due erano ugualmente fondati sopra una lunga
esperienza del mondo in contrasto con la storditaggine di don
Abbondio e col candore di Lucia. Ma in ordine all’azione del romanzo
com’era predisposta dall’autore, bisognava che, quanto a pareri, la
prima fosse una Cassandra, la seconda una Pitia. Però, a confronto
dei pareri dell’una, come sono spregiudicati quelli dell’altra!
Scrivere una bella lettera al Cardinale arcivescovo [cap. I] era
seguire la via diritta, la via giusta; ricorrere all’Azzeccagarbugli
[cap. III] invece che al console e al podestà, cioè ai poteri civili
costituiti, era far quello che tutti facevano allora, fidando più
negli imbrogli dei faccendoni che nel senso di giustizia dei
magistrati. Vero è che questi ne avevan tanto poco, che il fidarsene
in certi casi non avrebbe giovato; ma nel caso di Agnese, peggio di
così non si poteva scegliere. L’altro parere di Agnese quello del
matrimonio per sorpresa, [cap. Vl], trova un po’ riluttante persino
Renzo, che vi intravede una contraddizione. Avendo la consigliatrice
dovuto ammettere che ed religiosi dicono che veramente è cosa che
non istà bene"; Renzo osserva: "Come può essere che non istia bene,
e che sia ben fatta, quand’è fatta?". A questa logica obiezione,
Agnese non sa né può rispondere a tono. "Che volete ch’io vi dica?
La legge l’hanno fatta loro, come gli è piaciuto; e noi poverelli
non possiamo capir tutto. E poi quante cose... ".Si noti che il suo
consiglio, la buona donna l’aveva dato in piena buona fede. Infatti
ciò che Agnese afferma di aver sentito dire sulla validità dei
matrimoni per sorpresa, corrisponde esattamente a verità; infatti fu
ritenuto allora e poi, anche da autorevoli trattatisti di diritto
canonico (per esempio dal gesuita secentista Tommaso Sanchez), che,
nonostante ciò ch’era stabilito dal Concilio di Trento circa la
necessaria e indispensabile presenza del parroco nel matrimonio,
questo fosse da considerarsi come valido, se avvenuto nelle
circostanze precisate da Agnese, pel rifiuto del sacerdote a
intervenire.Ora messa alle strette da Renzo, prima adduce come
scusante l’ignoranza della legge da parte della povera gente; indi
con quella sospensione: "e poi quante cose...", lascia intendere che
insomma, a questo mondo, ci son cose che, lente per un verso, sono
illecite per un altro: è, in fondo, il pensiero stesso espresso dal
dottor Azzeccagarbugli alla tavola di don Rodrigo [cap. V], quand’è
chiamato a dire il suo parere su ciò che aveva sentenziato fra
Cristoforo, ma la distinzione tra morale e morale si può perdonare
alla povera donnicciola, che pensava e parlava a fin di bene, non al
leguleio imbroglione, pel quale la giustizia si riduceva all’usar
due pesi e due misure.In fine Agnese crede di tagliare la testa al
toro con quel suo: "Ecco; è come lasciar andare un pugno a un
cristiano. Non istà bene, ma, dato che gliel’abbiate, né anche il
papa non glielo può levare". Quest’uscita è un portento di comicità,
specialmente perché l’esempio non calza affatto: un pugno, quand’è
dato è dato, e su ciò non c’è dubbio; è dubbio, invece, se un
matrimonio per sorpresa, una volta fatto, sia valido: un pugno, il
papa non può levarlo di certo; ma un matrimonio per sorpresa, il
papa lo può annullare, se non lo ritien legittimo. L’argomentazione
di Agnese non solo zoppica, ma ottiene l’effetto opposto a quello
desiderato, perché Lucia, seguendo l’ispirazione morale che le viene
dagli insegnamenti di fra Cristoforo, osserva: "Se è cosa che non
istà bene, non bisogna farla,. S’essa poi s’arrende, non è già
perché sia persuasa della bontà delle ragioni della madre, ma perché
le fa paura la collera (forse a bella posta esagerata) di Renzo [cap.
VII].Il disastroso insuccesso de’ due pareri non depresse l’animo di
Agnese, né le tolse gli spiriti arditi coi quali soleva difendere i
suoi interessi. Così, appena presentata dal padre guardiano del
monastero di Monza alla Signora, le si rivolse, per nulla
imbarazzata, dicendole: <<Deve sapere reverenda madre..."; né
l’occhiata con cui il padre guardiano le tronca le parole in bocca,
vale a farle capire che con quella Signora non s’aveva da parlare se
non interrogati; sicché poco dopo, vedendo che la figliuola non
risponde a quanto le si chiede intorno al suo persecutore, la madre,
per venirle in aiuto, le dà le notizie richieste. Anche questa volta
la sua iniziativa è disgraziata perché la Signora la interrompe con
un atto altero e iracondo: "Siete ben pronta a parlare senza essere
interrogata. State zitta voi; già lo so che i parenti hanno sempre
una risposta da dare in nome de’ loro figliuoli". Qui il discorso è
indirizzato, sì, ad Agnese, ma lo strale mira a ben altro segno: il
rimprovero fatto alla povera donna è una frustata contro la patria
podestà che abusa de’ suoi diritti. Ciò che provoca quel rimprovero
non è dunque l’ardimento di Agnese, ma il segreto rancore della
Signora [cap. IX].Se quella volta, da persona di rango elevato
Agnese ricevette una mortificazione, ebbe un compenso più tardi nel
trattamento benevolo e cordiale usato a lei e alla figlia dal
cardinale Federigo nella casa del sarto [cap. XXIV]. Lì essa poté
sfogarsi liberamente col narrare le cose a modo suo, gettando tutta
la colpa su don Abbondio e sorvolando sul tentato matrimonio di
sorpresa. Quello sì era un signore che ascoltava i poveri! E come
sapeva compatire! Compativa tanto, da non scandalizzarsi neppure del
tentativo fatto in casa del curato. Che respiro per Agnese, dopo gli
occhiacci fatti alla figliola perché tacesse, a sentir dire dal
Cardinale, come conclusione, queste semplici e sante parole:
"Prendete dalla sua mano i patimenti che avete sofferti e state di
buon animo".Con un personaggio così affabile e alla mano, quello che
in Agnese potrebbe sembrar sfrontatezza, diviene una ingenua e
simpatica, anche se un po’ rozza, disinvoltura. Così, avuta da donna
Prassede la lettera da recare al Cardinale con la proposta di
ricoverar Lucia in casa sua [cap. XXV], Agnese la presenta al
porporato con queste parole: "è della signora donna Prassede, la
quale dice che conosce molto bene vossignoria illustrissimo,
monsignore, come naturalmente tra loro signori grandi si devon
conoscer tutti".Se ci fosse stato presente don Abbondio le avrebbe
detto di star zitta, che non era quello il modo di trattar coi
grandi. Ma Agnese gli avrebbe risposto con un’occhiata simile a
quella che gli diede, più tardi, al loro giunger, profughi, al
castello dell’lnnominato [cap. XXX]: "un’occhiata che voleva dire:
veda un po’ se c’è bisogno che lei entri di mezzo tra noi due a dar
pareri". E aveva ben ragione la buona donna d’andare orgogliosa
d’esser la madre di Lucia, se quell’uomo divenuto santo in grazia di
questa esclamava, voltandosi a lei con la testa bassa: "Del bene,
io! Dio immortale! Voi mi fate del bene a venir qui... da me... in
questa casa. Siate la ben venuta. Voi ci portate la benedizione".Al
momento di lasciare il rifugio Agnese ha una nuova prova della
benevolenza dell’innominato, che le regala un corredo di biancheria
e del denaro, e la congeda pregandola di ringraziare Lucia e di
dirle ch’egli confida in Dio che la sua preghiera tornerà anche in
tante benedizioni per lei.Coi denari ricevuti in dono Agnese può
rimettere in sesto la casa guastata dai soldati; e pensa: "si
sarebbe creduto che il Signore guardasse altrove, e non pensasse a
noi, giacché lasciava portar via il povero fatto nostro: ecco che ha
fatto vedere il contrario, perché m’ha mandato da un’altra parte di
bei danari con cui ho potuto rimettere ogni cosa,.E poiché dopo la
peste, tornando da Pasturo, trova ogni cosa come l’aveva lasciata
non può far a meno di dire, che trattandosi d’una povera vedova e
d’una povera fanciulla, avevan fatto la guardia gli angioli [cap.
XXXVII].In quella vecchia casa la povera vedova e la povera
fanciulla avevano sofferte molte tribolazioni; ma ne furono l’una e
l’altra compensate dalle consolazioni che la Provvidenza largì loro
nella casa nuova del paese adottivo. E là ecco nonna Agnese
affaccendata a portare i nipotini "in qua e in là, l’uno dopo
l’altro chiamandoli cattivacci, e stampando loro in viso dei bacioni,
che ci lasciavano il bianco per qualche tempo" [cap. XXXVIII].
|