La valutazione della figura di padre Cristoforo,
legata com’è al nucleo profondo dell’ispirazione religiosa e morale
del romanzo, è stato fra le più controverse. Così, per esempio, la
cultura laica risorgimentale vide nel cappuccino un personaggio
delegato alla propaganda religiosa, come confermerebbe l’affiorare,
a tratti, di un moralismo apologetico nelle forme di un pedantesco
tono oratorio. Ma Francesco De Sanctis individuò con sicurezza il
fondo drammatico della psicologia delirate, diviso fra lo spirito di
carità e la non sopita aggressività giovanile: "La sua vita è una
lunga espiazione, una reazione contro l’uomo antico. Le stesse sue
cattive abitudini si trasformano. Quel suo umore battagliero e
avventuroso diviene energia e iniziativa del bene. Quel suo falso
orgoglio, quel "fare stare" i prepotenti, prendono forma di ardente
carità, di olocausto della sua persona al bene de’ prossimi. [...]
Le macerazioni, le penitenze, le volontarie umiliazioni non valgono
a spengere in tutto l’antico Adamo, che pur talora risorge e si
ribella, ciò che rende più drammatica la vittoria del convertito".
La diffidenza nei confronti di padre Cristoforo non può dirsi vinta
ancor oggi. Così Alberto Moravia vede in lui "il personaggio nel
quale il realismo cattolico del Manzoni fa la sua prova meno
felice", tradito com’è dall’intento di fare propaganda religiosa; la
stessa decisione di vestire il saio non scaturirebbe da un confitto
interiore, ma "da una specie di inversione orgogliosa del complesso
di inferiorità il quale dopo averlo spinto a primeggiare con la
violenza, gli suggerisce di fare lo stesso con l’umiltà". Muovendo
dal contrasto già individuato dal De Sanctis, Luigi Russo ne
rivendica la dimensione realistica di personaggio, tracciandone,
nelle pagine che seguono, il suggestivo ritratto di "uomo fra gli
uomini".
Fra Cristoforo "uomo fra gli uomini"
Come Gertrude, l’innominato, il cardinale Borromeo, e poi i vari
rappresentanti del governo spagnuolo in Italia, anche fra Cristoforo
è un personaggio storico, e il suo nome è stato ricercato e frugato
nelle storie, nelle cronache, negli archivi pubblici e privati del
vecchio Ducato di Milano, per discernere nel romanzo le parti che al
poeta aveva somministrato la storia. Ma questa ricerca
extra-artistica conferma ancora una volta l’ispirazione storica del
Manzoni. Fra Cristoforo non è solo un personaggio, ma in lui si
intravede, come in tutti gli altri personaggi, una complessa scena
di vita secentesca. Il personaggio più vero è sempre il Seicento; il
cap. IV, in cui è narrata la storia di Lodovico, è una di quelle
stampe secentesche che costituiscono l’atmosfera generale del
romanzo. Nel concepire con quel carattere il nostro fra Cristoforo,
il Manzoni obbedì alla sua intima educazione giansenistica; quel
giansenismo del Manzoni, noi sappiamo, non più di ordine teologico,
come ancora si può cogliere nelle opere giovanili, ma di ordine
morale, convertito in una forma di rigorismo, il quale pur si
concilia con la più piena ortodossia cattolica: reagire all’eccesso
di diplomazia, di opportunismo, di lassismo, di temporalismo ,
predicato dai moralisti e realizzato nella morale gesuitica. Fra
Cristoforo è un personaggio ideale, ma per il suo interno movimento
artistico, egli è realissimo, ha, cioè, tutte le sfumature
particolari di un individuo e non affatto la rigidità e la
genericità di un tipo. Egli è un uomo fra gli uomini e per questa
sua idealità è il personaggio più vicino all’innominato, anche
questo uomo di eccezione, ma calato e incastrato vigorosamente nella
vita. Con fra Cristoforo il Manzoni adotta altro metodo che col
cardinale; lo tratta a tu per tu; e l’umanità in lui è molto vicina
alla nostra; è un peccatore contrito, ma che nella sua contrizione
mostra lampante la perpetua capacità di peccare, frenata soltanto
dalla riflessione dell’umiltà. Codesto perpetuo e irrequieto
contrasto tra l’uomo antico e il nuovo costituisce appunto il
fascino realistico di fra Cristoforo, il quale non è davvero quel
tipo ideale-platonizzante che la critica giacobina dei carducciani
(ma cominciò lo stesso De Sanctis) ha voluto credere. La vecchia
umanità non muore mai in fra Cristoforo, e noi dobbiamo apertamente
riconoscere che questa di fra Cristoforo è stata intuizione poetica,
ma non rappresentazione oratoria. Nel descrivere un tipo eccezionale
come il nostro frate, sarebbe stato assai facile cadere nello stile
dell’oratoria catechistica; mostrare ad ogni momento l’operazione
virtuosa dei principi della fede cattolica, quando siano accolti da
una natura forte e generosa; oppure ci sarebbe stata un’altra
maniera agiografica di presentare il personaggio prima tutto
impetuoso e violento e poi tutto santo e mansueto: ciò che
rispondeva all’ingenua mente dei cronisti del Medioevo,
spiccatamente dualistici e per i quali il cielo e la terra, lo
spirito e la carne, il Dio e il demonio costituivano una antitesi
assoluta. Ma per il cristianesimo moderno, e per quello manzoniano
in particolare, il cielo e la terra non costituiscono
un’inconciliabile antitesi: il cielo è calato sulla terra e Dio
discende dalle sue remote profondità nel cuore stesso dell’uomo. Il
Manzoni ha fatto subito un’osservazione acutissima sulla logica del
temperamento di fra Cristoforo: "Per dar coraggio al nostro fra
Cristoforo, non c’è mezzo più sicuro e più spedito, che prenderlo
con maniera arrogante". È la caratteristica del temperamento
polemico: aggirato con parole miti, si offre anch’esso tutto umile e
disarmato, preso di fronte, richiama d’istinto tutte le sue energie
della difesa e dell’offesa. Si dice che fra Cristoforo è personaggio
oratorio: ma la maniera enfatica del suo dire non ha mai nulla di
generico. La sua predica, il suo sentenziare, non è un predicare e
sentenziare per una platea invisibile di fedeli, il suo predicare è
un venire a tu per tu con una determinatissima situazione storica,
con quell’uomo che gli sta davanti; il suo sentenziare nasce da
quella lotta, la sua pietà religiosa nasce da un doloro contrasto
attuale, in cui egli si sente alla pari del suo avversario. In
questo, la differenza tra la poesia di fra Cristoforo e l’oratoria
del cardinale; questi fin dal primo momento si colloca sull’altare o
sul pergamo, fra Cristoforo invece se ne va umile e dimesso apostolo
del suo ideale, e anche nei momenti gravi, quando sale al drammatico
e all’enfasi biblica, si misura da pari a pari con gli altri uomini
e ritorna in campo l’antico Lodovico con il suo impeto di duellatore.
Solo che le armi sono cambiate: dalle armi cavalleresche è passato
alle armi religiose, alle parole di Dio. C’è ancora questo che in
lui il penitente non si risolve una volta per tutte, ma la sua
contrizione è sempre in perpetuo. Il pane del perdono che egli reca
nella sua sporta, per tutta la vita, non è un mero simbolo, ma un
ricordo perennemente attuale, un ricordo perpetuo celato nella sua
anima, e il Manzoni non trascura occasione per darvi artistico
rilievo. Nella fantasia comune, fra Cristoforo ha sempre qualcosa di
ieratico, di solenne, di rigido, di compassato, ma, è evidente, sono
sorpassate nella memoria, allora, molte note disseminate qua e là
con le quali il Manzoni mescola il suo eroe alla realtà quotidiana:
fra Cristoforo che approva l’indiscrezione del vecchio servo di don
Rodrigo [cap. VI], fra Cristoforo che se ne torna "correndo e quasi
saltelloni" al convento [cap. VII], fra Cristoforo che introduce
donne di notte nel convento, contro la regola invocata perfino dal
suo frate zoccolante e conclude con quel misterioso "Omnia munda
mundi" [cap. VIII], non ha nulla di tipico, di stilizzato, di
compassato. Egli si muove in un’animazione sempre realistica di
sentimenti senza vani e frondosi abbellimenti idealistici. L’uomo
irregolare nella vita del secolo resta anche l’uomo irregolare nella
vita del chiostro. Questo che viene presentato come il personaggio
più enfatico del romanzo, tace sempre nei momenti più decisivi.
Anche sulla sua morte non si sofferma lo scrittore. In un fascio di
notizie, al cap. XXXVII, Lucia, fra le altre nuove, apprende quella
della morte del frate. L’eroe del romanzo scompare nel silenzio, in
un’asciutta notizia di cronaca.
|