La figura di Lucia che, nel corso del romanzo,
sembra vivere in ogni circostanza in una dimensione ideale e
rarefatta di religiosità, con una eccezionale e coerenza rispetto
alla sua umile condizione sociale e agli altri più sanguigni
personaggi, suscitò qualche dubbio persino nel vecchio Manzoni, se è
vero che, rivolgendosi al figliastro Stefano Stampa, gli chiese:
"Dimmi un po’, non ti pare che come contadina abbia idealizzato un
po’ troppo la Lucia?". Così Francesco De Sanctis osservava che "è in
lei fin troppo della santa", per sottolineare la semplificazione
operata dall’autore sulla psicologia della ragazza tanto diversa
dalle eroine romantiche: ``Essa non ha immaginazione e non ha
iniziativa, non ha ricchezza sufficiente per rappresentare
degnamente l’ideale del poeta. È un ideale, se posso dir così,
iniziale e passivo rimasto così com’è stato stampato e fazionato
[formato] dalla madre e dal confessore, senz’alcuna discussione e
opposizione interna, senz’alcuna deviazione o transazione venutale
dall’esperienza della vita, senz’alcuna capacità di malizia e di
riflessione". Questo giudizio, con poche varianti, è stato ripetuto
molto frequentemente: eccezione di rilievo Attilio Momigliano
(1883-1952), uno dei maggiori studiosi del Manzoni della prima metà
del secolo, il quale, nella monografia dedicata allo scrittore
lombardo (la cui prima edizione apparve tra il ’15 e il ’19), compie
una raffinata analisi della psicologia della ragazza
-fondamentalmente centrata sulla rassegnazione ai disegni della
Provvidenza - che assume la funzione di testimone innocente della
presenza di Dio in tutti i momenti dell’esistenza. Le pagine del
Momigliano contribuirono in maniera decisiva a rivalutare il
personaggio di Lucia; per limitarci agli esempi più significativi,
il Barbi ne sottolinea la volontà eroica illuminata dalla fede:
"mentre tutti piegano a questo o a quel sentimento, ella sola non
deflette e vince con la sua fermezza, con la sua rassegnazione, col
suo segreto dolore"; e il Russo osserva che Lucia "non è un essere
passivo, ma un’eroina della volontà, un temperamento di martire
vittoriosa dei propri ideali", come appare fin dai primi capitoli,
dove dimostra "una capacità assai notevole di opposizione", quando
resiste al cattolicesimo "facile e accomodante dei suoi familiari".
A proposito di Lucia creatura di fede, dopo quelle del Momigliano,
si riproducono le pagine di Piero Fossi che, nel saggio La Lucia del
Manzoni del 1937, indica in Lucia sì la testimonianza e lo strumento
della Provvidenza ("l’incarnazione di un atteggiamento fondamentale
alla spiritualità cristiana: il perfetto e tranquillo abbandono alla
volontà di Dio e alla sua contemplazione"), ma anche la donna legata
a sentimenti terreni, primo fra tutti il trepido amore per Renzo,
che dalla fede prende luce e vigore. Vale infine la pena di
ricordare che, muovendo da tutt’altre premesse rispetto a quelle dei
critici finora ricordati considera Lucia in contrapposizione a
Gertrude, uno dei poli del contrasto "tra la purezza naturale del
popolo e la corruzione della storia e delle classi che fanno la
storia’’.
La "nobiltà" di Lucia
Lucia, il cardinale, fra Cristoforo, sono già tutti sulla via del
cielo: molti altri personaggi del romanzo sono radicati nella terra
come alberi; ma quelli vi passano come pellegrini. Umili tutti in
mezzo alla gloria del loro spirito immortale; dominati tutti da una
calma che rivela l’anima intenta non alle conquiste effimere e
torbide del mondo ma a quella di un’intima armonia. Nei loro momenti
sublimi, negli estremi consigli di Cristoforo [cap. XXXVI], nel
colmo del colloquio con don Abbondio [cap. XXVI], nella risoluzione
del sacrificio a Maria [cap. XXI], noi li contempliamo estatici e
reverenti, come apparizioni di esseri che ci assomigliano, che la
miseria della terra non tange e l’incendio delle passioni non
assale. Con questi tre personaggi la psicologia comune è superata: i
critici se ne sono accorti solo per Lucia, che è uno spirito incolto
e, per incapacità di comprendere la fede, hanno sentito un difetto
dove c’è invece un’arte che oltrepassa quella del romanzo alla
Bourget. Ma chi non ha capito la somma verità di Lucia, non ha
capito veramente nemmeno Cristoforo e Federigo. La nobiltà di Lucia
è di quelle che non si acquistano né con la dottrina né con
l’esercizio: nelle anime le gerarchie della cultura non contano; il
nostro linguaggio è l’espressione della nostra coscienza prima che
del nostro ingegno. Il Manzoni è più su di un romanziere realista:
le differenze di vita e di cultura fra quei tre personaggi non
possono far dimenticare che essi sono avviati ad un medesimo destino
da un’uguale nobiltà di cuore. [...]Lucia, staccata dalla fede,
considerata soltanto come una contadina fidanzata, muore fra le mani
del critico arido, il quale- allora - non comprende nemmeno più il
suo divino pudore, il respiro sommesso di quello spirito che al
contatto con la terra s’adombra come al ricordo malinconico d’una
patria abbandonata. "E, tra tante cagioni di tremare, tremava anche
per quel pudore che non nasce dalla trista scienza del male, per
quel pudore che ignora se stesso, somigliante alla paura del
fanciullo, che trema nelle tenebre, senza saper di che" [cap. VIII].
Anima solinga che ci rapisce coi tremiti, i presentimenti, le divine
parole, le chiaroveggenze candide e formidabili dell’innocenza. Così
è sempre nel romanzo, raccolta nella sua concentrazione soave: il
pervertimento di Gertrude le ispira "un confuso spaventosi, le
disperazioni e le gioie di Renzo e di Agnese la sfiorano appena, le
persecuzioni di don Rodrigo e la violenza dell’innominato non le
insegnano altro che la rassegnazione e l’oblio, chiusa com’è nel suo
cuore timido ma forte, ignara della passione che sfigura le anime,
mentre la sua rimane sempre uguale, guidata da una voce che non
sbaglia. Sotto l’ala di Dio Lucia può essere addolorata ma non
disperata: questo è il significato e la grandezza dell’"Addio",
inseparabile dalla descrizione del lago [cap. VIII]. Nella pacata
malinconia di quella notte lunare si specchia silenziosamente il
pacato dolore di Lucia. Questa pagina e quelle legate al ratto [cap.
XX] sublimano questa creazione, troppo inconsueta alla nostra prosa,
troppo pura e lontana dalle donne piccole e comuni, troppo
concentrata perché il più dei lettori la possa capire. Anche sotto i
particolari più definiti mormora una sommessa musica di dolore; la
frase scorre quasi silenziosa, come sopra un fondo d’erbe; e
l’atteggiamento finale di Lucia, di mesto abbandono e di segreto
pianto, sembra già delinearsi via via nella pittura del paesaggio.
Quando incomincia l’"Addio", sembra che il motivo nascosto venga
fuori limpido e tranquillo a dominare tutta la sinfonia. L’anima di
Lucia, prima trasfusa in tutto il paesaggio, ora lo ha assorbito in
se: sicché il suo "Addio" ha le linee serene di quella notte di
luna. Il cielo, i monti sorgenti dalle acque, e Lucia sono ora una
cosa sola: un respiro solenne di malinconia. Le parole sono del
Manzoni, ma il respiro è quello dell’anima rassegnata e fiduciosa di
Lucia. Perciò il suo pianto è così semplice, il suo dolore è così
conscio e senza fremiti. [...]Le traversie danno occasione a Lucia
di mostrar la rassegnazione ai disegni della Provvidenza, quest’altro
aspetto della fede, che è il motivo artistico unico di tanti
personaggi ed è uno degli scopi e delle facce del romanzo. In fra
Cristoforo la rassegnazione nasce da un’esperienza meditata, dalla
pratica di tutta la vita, dall’osservazione del prossimo al quale
s’è votato; in Lucia è più affascinante, perché è puramente
istintiva ed è una cosa sola col candore della sua anima dolce e
vereconda: Lucia è la creatura più spontaneamente religiosa di tutto
il romanzo, fiduciosa senza lotte, senza incertezze, senza
meditazioni, sicura della bontà di Dio come noi siamo sicuri di quel
che vediamo, difesa da questa certezza soave come da una forza
nascosta: Gertrude che la vede tremare, la richiama - vacillando per
un attimo - quando sta per mandarla incontro ai bravi [cap. XX], il
Nibbio sente dinanzi alle sue preghiere una strana viltà [cap. XXI];
l’innominato ascolta nella sua voce la voce di Dio che lo chiama e
lo perdona [cap. XXI].Durante la peste, Lucia scompare per un po’ di
tempo dal nostro sguardo; Renzo la cerca a lungo, e finalmente la
trova. "Si china per levarsi il campanello, e stando così col capo
appoggiato alla parete di paglia d’una delle capanne, gli vien da
quella all’orecchio una voce... - Paura di che? - diceva quella voce
soave: - abbiam passato ben altro che un temporale. Chi ci ha
custodite finora, ci custodirà anche adesso" [cap. XXXVI]. Sentiamo
come l’anima di Lucia che ritorna; Lucia non si vede, ma è tutta in
quella voce: la sua calma sovrumana, la sua anima che- dalla cima
della sua purezza - non sente le tempeste dell’uomo senza fede che
desidera e soffre. Non sembra il ritrovamento d’una creatura umana,
ma della pace e della fede. Rivediamo Lucia che non vuole il
matrimonio per sorpresa e presente che fallirà [capp. VI e VII],
Lucia che prega angosciata ma serena nel castello dell’innominato [cap.
XXI], e questa calma "ai terrori immobile e alle lusinghe infide" ci
trasporta nel regno d’una realtà superiore, che è la sublime
dominatrice del poema: la Provvidenza.
Lucia e il "sentimento del divino"
Il Manzoni ha sentito profondamente la natura della donna, fatta di
sensibilità, di dedizione, di tenerezza; ma egli l’ha illuminata di
quella luce particolare del Cristianesimo il quale conduce la natura
femminile ad una dignità sublime, pur mantenendo ad essa le sue
caratteristiche, anzi mediante quelle caratteristiche di trepida
tenerezza. Le donne dell’età classica acquistano la loro grandezza
assumendo delle note di stoicismo e di forza quasi maschili; al
contrario nel Cristianesimo voi vedete che la forma di più alta
eccellenza è raggiunta con quelle parole, che pure conservano tutto
il sapore e la grazia femminile: Ecco l’ancella del Signore, si
faccia di me secondo la sua parola . [... ] Nella carità, che è la
virtù per eccellenza del Cristianesimo, la sua scoperta, è mirabile
vedere come si uniscano la intrepidità e generosità, caratteristiche
della natura maschile, con la delicata tenerezza e la perfetta
dedizione; nella mitezza del Cristo è visibile l’armonica fusione di
queste forze. Ma di tutto questo noi abbiamo accennato non già per
ripetere cose già note, ma per condurre il lettore a riflettere come
in questa atmosfera particolare va sentita la figura di Lucia per
poter comprendere il significato e la poesia - ovverosia il canto -
di quella sua apparente immobilità, di quel suo tranquillo abbandono
nel Signore. Abbiamo detto dianzi che questa caratteristica di Lucia
ne postulava un’altra che rendeva la prima possibile: un
particolare, cristiano distacco, dalla vita e dal mondo. Questo è
senza dubbio il tratto più delicato e possiam dire difficile della
personalità di Lucia; difficile infatti far coesistere nell’animo di
lei un certo distacco dal mondo, e insieme farla apparire come la
sposa promessa di Renzo, che soffre le sue pene d’amore. Eppure
Lucia è per l’appunto la fusione di quei due motivi; e, in questo
senso, creazione che non trova riscontro in nessun tipo simile nelle
varie letterature. Del sentimento di distacco di Lucia, non è il
caso di dare esempi particolari; perché esso è dentro il timbro di
tutto il suo dire ed agire; e del resto nel seguirla, come abbiamo
fatto adesso, per illustrare quella sua dolce rassegnazione, quella
sua interiore contemplazione, noi abbiamo anche ascoltati gli
accenti di un tale distacco, che è supposto in essi, quasi anima di
essi. Anche nel voto [cap. XXI], nella possibilità ch’esso sorgesse
nel suo spirito, è già manifesto quell’atteggiamento; e io debbo
confessare che per alcun tempo quel voto non lo capivo; non mi
riusciva a comprendere ch’essa dovesse sacrificare, nel momento
dell’estrema prova, il suo carissimo. Ma che cos’è il voto di
Lucia?Esso s’intende quando ci si è abituati a sentire quel suo modo
eccezionale d’esser legata al sentimento del divino: ciò che
tuttavia non impedisce a Lucia, quasi attraverso questa vocazione
interiore, di prender contatti con le persone, con le cose, col
mondo. Fra questi nasce il suo umano e tenero affetto per Renzo;
ricco di tanta femminile sensibilità, di così sfumato pudore, di
tale trepidazione, che lo si può ben chiamare il suo amore. Un amore
che, per quel primitivo passaggio attraverso il sentimento del
divino, assume un carattere e un accento particolari: "Addio,
chiesa, dove l’animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del
Signore; dov’era promesso, preparato un rito; dove il sospiro
segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l’amore
venir comandato, e chiamarsi santoni [cap. Vlll]. Ecco l’amore di
Lucia; se l’amore, come è più generalmente sentito ed esaltato,
tende a trasferire le note dell’assoluto al sentimento che nasce fra
due creature, e a divinizzare il sentimento umano, in Lucia invece
il sospiro segreto del cuore tende a venire a contatto col
sentimento di un divino trascendente, con la benedizione celeste,
per raggiungere la sua più vera grandezza. Ora se voi pensate questa
creatura nelle circostanze terribili della sua cattura presso l’lnnominato
[capp. XX-XXI], nel terrore dei pericoli che minacciavano la sua
vita e la sua purezza (minacciavano cioè di staccarla violentemente
dalla sua più intima vita), comprendete che mentre implora da Dio la
sua salvezza, le possa sembrare che le sia richiesto in quel momento
supremo di sacrificare ciò che di più caro essa aveva nel mondo, e
render compiuto e perfetto il suo distacco [...].Distacco e
sacrificio tremendamente dolorosi al cuore di Lucia, e di cui essa
si rende pieno conto soltanto quando è passato per lei il momento
della disperazione, e ha riconquistata la fiducia nella vita.
"Lucia, tornatele alquanto le forze, e acquietandosele sempre più
l’animo, andava intanto assettandosi... In far questo, le sue dita
s’intralciarono nella corona che ci aveva messa la notte avanti, Io
sguardo vi corse, si fece nella mente un tumulto istantaneo; la
memoria del voto, oppressa fino allora e soffogata da tante
sensazioni presenti, vi si suscitò d’improvviso, e vi comparve
chiara e distinta. Allora tutte le potenze del suo animo, appena
riavute, furon sopraffatte di nuovo, a un tratto: e se quell’animo
non fosse stato così preparato da una vita d’innocenza, di
rassegnazione e di fiducia, la costernazione che provò in quel
momento, sarebbe stata disperazione... " [cap. XXIV]. Questo è
amore; ed è soltanto attraverso quel suo perfetto abbandono alla
volontà del Signore, ch’essa quando si ritrova con la madre, può
riconquistare l’equilibrio spirituale: "I suoi disegni eran ben
diversi da quelli della madre, o per dir meglio, non ne aveva; s’era
abbandonata alla Provvidenza" [cap. XXV]. Il carattere particolare
dell’amore in Lucia, ha facilitato al Manzoni di realizzare il suo
proposito di non dipingere, nel romanzo, gli sviluppi della passione
d’amore; ha preferito egli farci sentire il palpito dell’amore, nel
suo incontro col sentimento religioso del divino. Ma, si può bene
obbiettare al Manzoni: quel sospiro segreto del cuore che viene in
Lucia ad inserirsi nel sentimento religioso, ha pure la sua realtà e
la sua bellezza perché non parlarne? Il Manzoni in quel poco felice
suo brano degli Sposi promessi [= Fermo e Lucia], dice di avere
scritto molto su quel sentimento, ma d’aver poi cancellato tutto;
lasciandoci soltanto i tratti della personalità che riflettono e
suppongono quel sentimento. Perché egli è del parere di coloro che
dicono che non si debba scrivere d’amore in modo da far consentire
l’animo di chi legge a questa passione, ed anche perché convinto che
non c’è scritto dove sia trasfuso l’amore quale il cuore dell’uomo
può sentirlo. Ragionamento assai estrinseco alle ragioni dell’arte;
del tutto in contrasto con le vigorose dissertazioni critiche che
accompagnano le produzioni del Manzoni ed in genere con il
rinnovamento letterario da lui operato contro le morte regole che
non nascono dall’argomento stesso e dalla visione poetica. Infatti
ci si accorge facilmente che quando nel suo romanzo le circostanze
richiedono che del sentimento d’amore si debba parlare, si ha
l’impressione che il poeta giochi a nascondino con l’amore e che
egli mostri, per tanti piccoli segni e accenni, che c’è dietro
nascosto proprio quello di cui non vuole parlare. Diventa necessario
che il poeta faccia arrossire un po’ troppo spesso la sua Lucia, per
far comprendere come la natura di lei vibri di quel sentimento del
quale, d’altra parte, s’è imposto di tacere. Qualche momento c’è,
che il poeta s’abbandona più liberamente a dipingere ciò che passa
in Lucia; particolarmente nel sospiro e nell’affanno del cuore di
lei, dopo il suo voto: quando ne tace o ne parla con la madre.
Ricordate quei tratti rivelatori: "- Sai perché ti par così? -
diceva Agnese - perché hai tanto patito e non ti par vero la possa
voltarsi in bene. Ma lascia fare al Signore; e se... lascia che si
veda un barlume, appena un barlume di speranza; e allora mi saprai
dire se non pensi più a nulla. - Lucia baciava la madre, e piangeva"
e quando è costretta a rivelare il suo segreto: "- Povera mamma! -
esclamò Lucia gettandole un braccio al collo e nascondendo il viso
nel seno di lei" [cap. XXVI]. E qui voi potete avvertire quanto in
alto il Manzoni ponga Lucia; essa, nel suo dolore, tanto sublime da
poter dir lei, che è quella direttamente colpita, quel tenero ed
accorato: povera mamma! Così anche in alcuni accenti dove l’amore
appare come ingentilito e benedetto dalla visione dei nuovi legami
familiari che esso suscita; ad es. quando, nei primi affanni, Agnese
fa la sua proposta del matrimonio di sorpresa: "- Sentite figliuoli!
Se volete aver cuore e destrezza, quanto bisogna, se vi fidate di
vostra madre; - a quel vostra Lucia si riscosse" [cap. Vl]; e il
corsivo è del Manzoni. Questo l’amore che il Manzoni tratteggia e
rivela; ma l’amore nell’atto di nascer nel cuore dell’uomo, per un
moto spontaneo della umana natura; l’amore che inonda a un tratto
l’essere di dolcezza e lo lega ad una forza e logica sua; l’amore
che brilla nel creato; quella freschezza gemmata della primavera, il
canto delle sorgenti; la giovinezza della donna che si desta e che
sogna, l’incanto nascosto della sua tenerezza; I’amore che, nella
donna, si fa dedizione perfetta e sembra così raggiungere i termini
dell’assoluto questo amore, Manzoni non ha voluto cantare. È parso a
lui ch’esso già viva e trionfi nella vita, noto a tutti, a tutti
vicino; gli è parso che un parlarlo così sia quasi un inutile
stimolar la natura e non cantare lo spirito; dire ciò che dice
meglio e con rigoglio trionfante il creato negli esseri e
nell’universo. Noi non intendiamo qui discutere questo suo giudizio;
ci basta di aver mostrato come esso si sia andato formulando in una
norma estrinseca ai principi dell’arte, ed ha perciò in qualche
luogo fatto ostacolo al libero canto della sua poesia.
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