LETTERATURA ITALIANA: PROMESSI SPOSI

 

Luigi De Bellis

 


 

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PROMESSI SPOSI






DALLA "MORALE CATTOLICA" AL ROMANZO
a cura di Giuseppe De Robertis


Giuseppe De Robertis (Matera, 1888-Firenze, 1963) è stato uno dei maggiori protagonisti della vicenda letteraria italiana del Novecento, fino dai tempi della "Voce". Muovendo dalla lezione di Renato Serra e dalla personale ipotesi del "saper leggere" è giunto all’elaborazione di un originale metodo di critica stilistica fruttuosamente applicato sia agli antichi che ai contemporanei (da ricordare almeno il commento ai Canti di Leopardi del 1925 ed il Saggio sul Leopardi del 1944). I due passi che seguono sono tratti rispettivamente dal saggio La Morale cattolica (1946) e Nel segreto del Libro (1948) poi raccolti in Primi studi manzoniani (1949). Altri notevolissimi studi manzoniani sono raccolti nel postumo Studi II, apparso nel 1971.

Dalla "Morale cattolica" al romanzo

Io [... ] considererei [le Osservazioni sulla morale cattolica] un precedente mediato dei Promessi sposi, immediato degli Sposi promessi [= Fermo e Lucia]; ma non teorico, sebbene di tono e di linguaggio, e non di tutti gli Sposi promessi, ma della grande figura di Federigo, prima d’ogni altro (della sua voce), e poi di quelle parti degli Sposi promessi che esorbitano un poco dal romanzo, che non saranno infatti riprese nei Promessi sposi, o vi saranno tutte assorbite; dico le grandi pagine del moralista, del ritrattista, del saggista, dello storico, che fanno blocco nel romanzo, e lo fanno per un’altra ragione, che offrono l’esempio d’uno scrittore maturo, come maturo non è, invece, dove narra e descrive e rappresenta. È che il moralista, il ritrattista, il saggista, lo storico degli Sposi promessi ha un precedente nel moralista, ritrattista, saggista e storico della Morale cattolica e, in moda a volte più penetrante, nel Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia, nella "Prefazione" al Carmagnola, nelle "Notizie storiche" riguardanti il Carmagnola e l’Adelchi; e il narratore, al contrario, non ha nessun precedente. Precedente, se mai, sarebbe lo studio, per lui assai fruttuoso, attraverso il Vocabolario milanese-italiano del Cherubini, dei dati e dei modi espressivi e narrativi; cominciato certo assai per tempo, ma che si risolse solo per gradi, lentissimamente, da quell’aprile del ’21 che diè principio alla prima stesura degli Sposi promessi, all’anno ’40 che finiva di licenziare gli ultimi fogli dell’ultima edizione dei Promessi sposi. Più che precedente, dunque, una contemporanea fatica, rimasta in sospeso per giunta, e che il Manzoni continuò di là dal suo mondo dell’arte, come ricerca per se. A noi ha lasciato ciò che è riuscito a finire, ma anche ci ha suggerito che cos’altro voleva e che non gli riuscì; e ce n’è rimasto il segno astratto, lo scatto d’uno sforzo mentale. Intravediamo di là dalla pagina l’insoddisfazione dello scrittore: avesse ragione o torto, è un altro discorso. Dire che nella Morale cattolica preesiste il mondo morale dei Promessi sposi, in tutta la sua lenta formazione, è così semplicemente chiaro che par quasi ingenuo l’affermarlo. Ma la dipendenza tra l’una e l’altra opera s’avviva e quasi moltiplica solo per mezzo d’un personaggio, del suo linguaggio, della sua voce; e quel personaggio, s’è già detto, è Federigo Borromeo. Bisognerà dunque dire che non già tutti i Promessi sposi si ritrovano nella Morale cattolica, o se ne trova solo il senso, la legge, la morale; ma si ritrova vivo, parlante, Federigo Borromeo e, dei Promessi sposi, tutto ciò che prende colore dalla sua presenza, da lui s’informa. Diremo, per una reciproca identità, che la Morale cattolica pare quasi tutta detta (nient’altro che detta) da Federigo Borromeo. Perché il Borromeo noi lo conosciamo, certo, in quel memorabile ritratto che è nel XXII dei Promessi sposi, ma più lo conosciamo "in azione", per usare l’espressione stessa del Manzoni, nei capitoli seguenti, nei colloqui coll’innominato [cap. XXIII], con don Abbondio [capp. XXV-XXVI], con Lucia [capp. XXIV e XXV], dunque alla sua voce, che ci par di ritrovare prima nella Morale cattolica e questa voce è il suo contrassegno più vero. Nella Morale cattolica, dunque, opera tutta d’alta oratoria, pur con le necessarie varietà e differenziazioni, o noi sentiamo in anticipo una parte dell’eloquenza di Federigo, e delle sue ragioni; o, per un inganno del tempo, ci par di sentirne la prosecuzione, mossa allo stesso fine, se pur diversa d’accenti. Se poi guardiamo alla qualità della prosa, troviamo, corrispondente a quel tono anzidetto, come una luce diffusa, una quieta luce, un armonioso accordo di parti, la cui bellezza sta nella perfetta e, direi, contenta compenetrazione dell’una coll’altra, quasi specchio d’una superiore altitudine. Solo talvolta, quella pienezza a lungo trattenuta, tumultua, fa impeto. Ricordiamoci di queste improvvise strette, di queste clausole: le parole stesse ne portano il segno.


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